Punti di Vista | Bruno Gabbiani, Presidente Ala Assoarchitetti

La centrale di progettazione delle opere pubbliche, organismo contrario all’interesse pubblico

Nel momento in cui il Governo ha stabilito l’imminente adozione per legge del Bim nella progettazione delle opere pubbliche, anziché far sterile concorrenza ai privati, urge avviare un programma di formazione delle stazioni appaltanti, che dovranno imparare a controllare le nuove tecnologie.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Il testo approvato dell’art. 17 del ddl Bilancio 2019, è norma che si propone d’istituire la “Centrale di progettazione”, come struttura destinata a progettare opere pubbliche, su richiesta di amministrazioni centrali e territoriali.

Il modello della progettazione interna alle pa (retaggio del rd del 1895, quando gli ingegneri in Italia erano alcune centinaia) fu esteso in maniera sistematica con quella Legge “Merloni” del 1994, che fu emanata in un clima politico che voleva depotenziare l’autonomia del comparto libero professionale, per pregiudizio ideologico e per acquisire di riflesso vantaggi d’ordine economico.

Superando in statalismo sia la concezione ottocentesca dello Stato centrale, sia il dirigismo fascista, la Merloni interpretava la progettazione privata come un costo privo di controvalore, nell’assunto che l’ufficio pubblico di progettazione fosse più economico ed efficace.

Sia la legge di Bilancio 2019, sia la Merloni, hanno però ignorato che il progetto integrato dei nostri giorni è un processo assai più complesso del progetto com’era inteso nella prima metà del Novecento.

Oggi il progetto integrato abbraccia anche tutti i campi sui quali influisce la realizzazione dell’opera: dal risparmio del suolo, alla gestione delle risorse energetiche, al traffico, alla manutenzione, fino alla stessa sostituzione dell’opera, una volta compiuto il suo ciclo vitale, passando per una serie di attenzioni e competenze interdisciplinari, che non è il caso di ripetere in questa sede.

Un processo che richiede creatività, imprenditorialità, assunzione di responsabilità, organizzazione, efficienza, aggiornamento e sottende un dinamismo inconsueto nell’amministrazione pubblica, che invece ha di solito ben saputo trasformare in carrozzoni, le migliori intenzioni riformatrici.

Così, malgrado le intenzioni, quella che la Merloni concepiva come una regola, cioè l’affidamento in house, è stata in realtà l’eccezione, proprio perché l’acquisizione delle competenze, l’aggiornamento costante, la capacità manageriale e l’assunzione di rischio sono caratteri del lavoro intellettuale autonomo e non della pa. Così quest’ultima ha svolto all’interno solo le opere di minore complessità, mentre quelle di qualche rilevanza tecnico – economica, sono invece state progettate all’esterno.

La pa anche quando ha prodotto atti tecnici preliminari, mentre è riuscita a corrispondere alle caratteristiche formali di legge, ha per lo più rinviato alle fasi successive affidate all’esterno, la soluzione delle problematiche tecniche.

Né il progetto redatto all’interno ha comportato risparmi per il bilancio, poiché il 2% dell’importo del costo dell’opera riconosciuto quale incentivo oltre lo stipendio, ai tecnici in house dalla pa è addirittura maggiore dei compensi che sarebbero stati pagati ai liberi professionisti, per le corrispondenti prestazioni.

Però così è stato definitivamente perturbato il mercato della progettazione e assestato un colpo mortale agli studi professionali privati; è stata vanificata la dialettica tra controllore e controllato, con i relativi riflessi in termini di trasparenza del procedimento, oltre che della qualità e dell’economicità del prodotto.

Ora, nel momento in cui il Governo ha stabilito l’imminente adozione per legge del Bim nella progettazione delle opere pubbliche, anziché far sterile concorrenza ai privati, urge avviare un programma di formazione delle stazioni appaltanti, che dovranno imparare a controllare le nuove tecnologie.

Dopo 10 anni di crisi del settore infrastrutture e costruzioni, invece di questo tentativo di pubblicizzazione del progetto, programmato con la “Centrale unica”, ci si sarebbe attesi dal Governo una misura esattamente speculare e antitetica, rivolta a privilegiare l’assegnazione d’incarichi per servizi di progettazione di opere pubbliche, agli studi dei liberi professionisti.

Negli studi, dove sono occupate numerose professionalità, i giovani laureati trovano tirocinio e avvio alla professione, entro una cornice di vera sussidiarietà a costo zero. Sembra superfluo ricordare che l’irrobustimento degli studi professionali e, in generale, del ruolo del lavoro intellettuale a competenze elevate, apporterebbe ampi benefici alla bilancia dei pagamenti, sia per la riduzione dell’importazione di servizi professionali d’architettura e d’ingegneria, sia per l’incremento che ne deriverebbe dell’impiego di addetti d’alta qualificazione, sia per l’effetto di trascinamento che l’esportazione dei progetti avrebbe sulla vendita all’estero di componenti industriali per l’architettura.

La norma originariamente concepita con l’art. 17, costituisce invece, oltre che un atto evidentemente ostile al lavoro autonomo, un grave danno economico e sociale, per l’intero Paese.

Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

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