Rigoni di Asiago | Valorizzazione patrimonio artistico

La chiesa di San Giovanni in Monterrone riconsegnata alla città di Matera

A settembre è stata riconsegnata alla città di Matera la Chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone nel suo antico splendore, dopo un opera di restauro fortemente voluto dall’azienda veneta Rigoni di Asiago. Il restauro ha interessato gli affreschi oggetto nel corso dei secoli di numerose manomissioni e dell’incuria.
Matera | Interno della cripta della Chiesa San Giovanni in Monterrone, prima dei lavori di restauro.

Per Rigoni di Asiago l’attenzione e la responsabilità verso la valorizzazione del patrimonio artistico del nostro Paese non sono una novità.

Il primo importante intervento è stato quello del 2015, che ha interessato il restauro dell’Atrio dei Gesuiti del Palazzo di Brera seguito da quello della statua di San Teodoro di Palazzo Ducale, a Venezia e, poi, dal recupero della fontana «Venezia sposa il mare», nel cortile di Palazzo Venezia a Roma.

La promessa fatta a febbraio di quest’anno era di riconsegnare alla città di Matera, entro il mese di settembre, la Chiesa di San Giovanni in Monterrone in tutta la sua bellezza.

Per Andrea Rigoni, presidente della Rigoni di Asiago, la promessa è diventata un impegno e il 12 settembre scorso, nella città dei Sassi – Patrimonio dell’Unesco e Capitale della Cultura 2019  –  cittadini, stampa, critici d’arte, addetti ai lavori e tutti coloro che hanno partecipato al restauro hanno potuto finalmente godere del grande spettacolo che un’opera d’arte sa offrire quando si mostra in tutto il suo splendore.

Andrea Rigoni | Presidente Rigoni di Asiago

Andrea Rigoni | Presidente e Ad Rigoni di Asiago.

«Ritengo che fare impresa oggi significhi avere una visione più ampia rispetto a quella che limita l’attività dell’imprenditore al puro e semplice sviluppo della sua azienda. Ci sono ambiti, quali, ad esempio, l’arte e la cultura che un’industria illuminata deve fare propri.
Ringrazio la città per la calda accoglienza che ha riservato a me e ai miei collaboratori. Ci tengo a citare l’Arcidiocesi di Matera-Irsina e la Cooperativa Sociale Oltre l’Arte, che mi hanno supportato con energia e mi hanno regalato profonde emozioni. Un grazie anche a tutti i professionisti, in primis a Fondaco, che hanno condiviso con me questo progetto e mi hanno coinvolto, tenendomi aggiornato via webcam. Tanti momenti magici che abbiamo vissuto come un sogno, giorno dopo giorno, con passione».

Chiesa di San Giovanni in Monterrone

La chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone, totalmente ricavata nel masso roccioso ad eccezione della facciata e l’adiacente Santa Maria de Idris sono ricavate nel Monterrone, un pittoresco promontorio che si erge tra il Sasso Caveoso e l’antica contrada del Casalnuovo.

Dedicata a San Giovanni Battista, la chiesa si presenta ad unica navata e alterata, rispetto all’aspetto originario, dalla realizzazione di ambienti laterali ricavati soprattutto a scopo funerario come evidenziato, tra l’altro, nel corso degli scavi archeologici condotti alla fine degli anni ’90 del secolo scorso.

Probabilmente risalente all’XI secolo, doveva presentarsi interamente decorata da affreschi realizzati a partire dal momento dell’escavazione e nei secoli successivi ma senza grandi rilievi di tipo architettonico.

Dei diversi impianti decorativi succedutisi, testimonianza di un certo dinamismo culturale, sopravvivono soltanto poche tracce. Entrando nell’aula dall’antica porta di accesso, sulla sinistra, si ammira l’affresco cinquecentesco, palinsesto, dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista.

Il Battista, come di consueto, indica l’Agnus Dei rappresentato poco più in basso; l’Evangelista regge con la mano sinistra il suo tipico attributo iconografico: un calice con un serpente. Di fronte, lungo il fianco destro, sono evidenti alcuni santi non identificabili per la mancanza di elementi iconografici e un altro palinsesto.

All’antica immagine di Sant’Andrea, di cui è visibile il solo volto, severo e affilato, con capelli lisci e divisi, è sovrapposta una Madonna con il Bambino (probabilmente una Glikophilousa) riconoscibile dalle mani e dal Bambino col nimbo crucigero. Accanto, in sequenza, sono affrescate le immagini di un giovane santo e di San Girolamo, rappresentato in abiti vescovili.

La piccola cappella, scavata sempre a scopo funerario sul fianco destro dell’aula, presenta una pregevole decorazione a fresco: da un lato, in direzione della porta, sono evidenti San Pietro, il ‘principe degli apostoli’ e San Giacomo maggiore (primo ventennio del XIV secolo); di fronte l’Annunciazione.

Proseguendo, sempre sul fianco destro, si notano gli affreschi cinquecenteschi del Battesimo di Cristo nel fiume Giordano e parte di un pannello con la scena della Conversione di Sant’Eustachio, patrono della città di Matera.

Nel XVI secolo San Giovanni e Santa Maria de Idris erano entrambe dotate di un beneficio ecclesiastico di libera collazione dell’Arcivescovo di Matera e Acerenza; successivamente, con l’erezione e la costruzione del Seminario Arcivescovile, furono annesse tra alle proprietà del nuovo ente.

Profanata nel corso del XVIII secolo, il 20 marzo 1803 la chiesa fu concessa in enfiteusi perpetua, dall’Economo e Procuratore del Seminario, alla confraternita di Santa Maria dell’Idris che provvide a realizzare una nuova facciata, come dimostra la data incisa sull’architrave, un nuovo altare, di cui purtroppo restano pochi elementi lapidei, e il corridoio di collegamento con l’adiacente chiesa di Santa Maria.

In quest’ultima circostanza furono sacrificati, nel taglio, alcuni affreschi di cui sopravvivono solo le parti superiori; si distinguono ancora una Madonna con Bambino e un pannello con i Santi Pietro e Paolo. Pur essendo stata quasi del tutto abbandonata a seguito dello sfollamento dei rioni Sassi, la chiesa è stata sempre oggetto di attenzione da parte di storici e studiosi.

Nel 1973 lo storico dell’arte Alberto Rizzi, sollecitando l’intervento delle autorità pubbliche ed ecclesiastiche, così si esprimeva: «Estintasi nel secondo dopoguerra la civiltà rupestre materana, si impone ora il problema della conservazione, problema che sta assumendo in questi ultimi anni toni drammatici per gli ammonitori crolli avvenuti nel centro storico e la cui notizia ha valicato la sfera cronachistica locale. Unitamente alla difficilissima situazione generale vi sono poi i casi delle singole cripte.

Pensiamo ad esempio […] a S. Giovanni in Monterrone, dove in estate gli affreschi subiscono da parte di ragazzini quotidiani lavaggi per gli occhi e gli obiettivi dei turisti […]». Non mancò il tempestivo intervento dell’Ente Provinciale per il Turismo che nel 1974 finanziò un primo intervento di messa in sicurezza del complesso.

In questa circostanza si procedette, per San Giovanni, ad una pulizia generale del sito, alla demolizione di un ossario, al rifacimento delle murature abbattute dai vandali, alla sistemazione della porta d’ingresso e alla realizzazione di un impianto di illuminazione. Ulteriori lavori di restauro furono finanziati ed eseguiti in previsione del Grande Giubileo del 2000.

A seguito dell’abbattimento di un edificio abusivo degli anni ’50, costruito a ridosso della chiesa, il fianco roccioso è stato esposto per diversi anni alle intemperie con conseguente attecchimento di vegetazione in profondità. Oggi, grazie agli ultimi lavori di restauro, gli affreschi di San Giovanni tornano a splendere e a ‘illuminare’ i visitatori.

Matera, Chiesa San Giovanni in Monterrone | Restauro degli affreschi.

L’opera di restauro raccontata dal restauratore Luca Vincenzo Pantone

Gli affreschi della Chiesa di San Giovanni in Monterrone si presentavano in mediocre stato di conservazione; diversi cicli pittorici sovrapposti non permettevano una facile lettura al visitatore poiché le superfici erano particolarmente occultate da patine biologiche e solfatazioni.

Inoltre i dipinti sono stati oggetto nel corso dei secoli di numerose manomissioni e, l’incuria, ha causato lacune, fessurazioni, incisioni e abrasioni piuttosto pronunciate. Molti materiali adoperati nei restauri precedenti, sia di composizione organica che sintetica, si sono alterati negli anni anche a causa dell’habitat particolare che caratterizza gli ambienti ipogei.

L’intervento di restauro è cominciato con una prima fase di studio delle tecniche esecutive, dello stato conservativo e delle sostanze soprammesse non coeve, che sono state poi nel dettaglio, riportate su dei grafici per la stesura di una mappatura, completa di legende, didascalie e documentazione fotografica.

Altro intervento correlato e anch’esso localizzato graficamente è stata l’esecuzione di indagini diagnostiche che ci hanno permesso di caratterizzare, grazie a microscopi a scansione elettronica ed attrezzatura all’avanguardia, la materia e gli inquinanti, al fine di approfondire le tecniche esecutive coeve e non e l’individuazione dei materiali adoperati nel tempo.

Messi in opera i piani di lavoro e circoscritta l’area di cantiere ideale per i restauratori e idonea alla realizzazione del cantiere didattico, si è proceduti alla neutralizzazione della patina biologica, di piante con fusto e di radici che prolificano sulle coperture, mediante impiego di biocida naturale.

Successivamente si è intervenuti per arrestare i difetti di adesione degli intonaci dipinti e durante la pulitura si è eseguito il preconsolidamento superficiale per ripristinare l’adesione e la coesione del substrato pittorico. Il consolidamento di profondità è servito per porre rimedio ai difetti di adesione dei vari strati dei palinsesti e ai difetti di adesione degli intonaci al supporto murario in tufo.

Essi sono stati rinsaldati mediante iniezioni di malte idrauliche prive di sali, a basso peso specifico e con alto potere adesivo per colmare le sacche dei distacchi e trattenere gli intonaci.

I piccoli fori eseguiti per le iniezioni sono stati stuccati previo inserimento di perni in polipropilene che con la malta immessa facciano da ponte sull’intonaco longitudinalmente.

Al fine di riportare alla luce le cromie originali, offuscate dalla presenza di depositi superficiali di varia natura, sono stati eseguiti saggi di pulitura per determinare la tecnica più adeguata e selettiva che compatibilmente rimuovesse anche le solfatazioni.

Si sono adoperati dapprima dei solventi per la rimozione dello strato di Paraloid, una resina acrilica termoplastica risalente agli ultimi interventi, che si adoperava in passato sugli affreschi per consolidare e ravvivare i toni dei colori.

Tale barriera però non ha permesso l’adeguata traspirabilità degli intonaci dipinti e pertanto le superfici si presentavano matericamente e cromaticamente disomogenee poiché gli inquinanti trasportati dall’umidità indugiavano al di sotto.

Mentre si procedeva alla bonifica e alla rimozione meccanica di precedenti stuccature e ritocchi obsoleti, si eseguiva la pulitura e la desolfatazione delle superfici, mediante impacchi con resine anioniche e cationiche, rispettivamente per la bonifica dei sali non solubili in acqua e per l’asportazione di neo-carbonatazione formatesi negli ultimi vent’anni.

Le superfici bonificate sono state quindi consolidate localmente con nanosilici rispettando la compatibilità con la materia trattata; tale scelta è stata avvallata dalla qualità dei risultati ottenuti dopo vari saggi, eseguiti preliminarmente, che hanno dato un ottimo risultato.

Si è proceduti poi al reintegro materico delle lacune a livello, con malta bianca idraulica addizionata ad una piccola quantità di grassello stagionato naturalmente, per consentire una più prolungata lavorazione al fine di imitare la superficie adiacente l’originale.

Le lacune di media e grande entità sono state eseguite sottolivello con una malta più grossolana al fine di imitare le superfici in tufo sottostanti e limitrofi, tali stuccature sono state eseguite con sola malta idraulica. Il reintegro è stato eseguito sulle stuccature chiare a livello della superficie con colori ad acquerello per rendere reversibile l’intervento, adoperando la tecnica del tratteggio verticale.

Le abrasioni e piccole lacune sono state risarcite cromaticamente con i medesimi colori a tono. Per garantire la traspirabilità come in origine le superfici al termine del restauro non sono state protette da nessun prodotto.

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