Mercato | La classifica Guamari

La congiuntura delle maggiori imprese di costruzioni

Per quanto riguarda il mercato nel suo insieme le classifiche, che per il primo anno accostano le imprese di costruzioni generali alle specialistiche, danno un quadro segnato da crisi aziendali tanto gravi quanto in certi casi inaspettate. 

Sulla base dell’annuale classifica delle maggiori 100 imprese di costruzioni italiane (generali e specialistiche) con uno zoom sulle prime 50 imprese edili attive nel mercato privato (cfr. www.guamari.it), le considerazioni che si possono fare (con aggiornamenti qualitativi al 2018 sui dati consuntivi 207) sono drammatiche.

Il lettore può saperne di più (ampliando gli interessi alle società d’ingegneria e di architettura) consultando il Report 2018 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Industry, pubblicato lo scorso novembre.

L’insipienza (e l’arroganza) dell’attuale Governo stanno gravemente danneggiando un settore che da anni era in sofferenza. Soprattutto nel mercato pubblico (in particolare domestico) nel quale alla cronica ineffettualità della committenza si somma la paralisi generata da un codice dei contratti che ha ingenerato la massima confusone e aggravato l’endemica fuga dalle responsabilità dei funzionari, ben versati nello “sciopero della firma”.   

Il top dell’offerta falcidiato dalla crisi

Per quanto riguarda il mercato nel suo insieme le classifiche, che per il primo anno accostano le imprese di costruzioni generali alle specialistiche, danno un quadro segnato da crisi aziendali tanto gravi quanto in certi casi inaspettate. 

Nel 2017 i 100 big (non necessariamente tutti general contractors) fatturano in totale 23 miliardi, in crescita del 5,3%, ma il dato risulta penalizzato dall’assenza delle imprese le cui difficoltà impediscono di depositare il bilancio: in primis Condotte, ma anche Mantovani (il cui ramo d’azienda è stato acquistato da Coge), la cooperativa Clc, Cipa e Piacentini Costruzioni, tutte in concordato preventivo con riserva, Pietro Cidonio (in liquidazione) e la specialistica Trevi che è invece in fase di ristrutturazione del debito.

Peraltro sono in classifica alcune imprese le cui difficoltà sono state “conclamate” dopo il deposito del bilancio: Astaldi, Cmc e Glf. Questa moria d’imprese provoca ovviamente una sempre maggiore concentrazione al vertice con le prime cinque società che esprimono il 54,5% del volume d’affari totale (contro il 50,7% del 2016). Il fatturato all’estero vale 13 miliardi e pesa sul totale per il 56,7% in lieve aumento rispetto al 56,1% dell’esercizio precedente.

La debolezza del vertice italiano è evidenziata dalla situazione reddituale: se infatti l’ebitda sale, ma solo del 2,1%, l’ebit scende del 43,5% e il risultato netto crolla del 94,9% ad appena 30,7 milioni, affossato tra l’altro dai risultati negativi dei due leader (Salini Impregilo e Astaldi e ancor peggio di Grandi Lavori Fincosit). Di queste imprese, mentre la prima si è limitata a un “vuoto d’aria” (per la svalutazione dei crediti in Venezuela) le altre due sono poi entrate in procedure concorsuali.

Nemmeno a livello finanziario-patrimoniale l’andamento è brillante per via di debiti finanziari netti appesantiti del 24,9% (nonostante siano 32 le imprese a poter vantare una posizione finanziaria netta attiva) e di un patrimonio in calo del 10,6%.

Le 100 maggiori imprese occupano oltre 85mila addetti ma riducono l’organico del 4,6% (tenendo conto che tra il 2016 e il 2017 sono confrontabili i dati di solo 70 imprese, non essendo l’informazione obbligatoria nella redazione dei bilanci).

Le prestazioni e gli indici 

La classifica mostra comunque alcuni casi virtuosi che sono finora riusciti a sottrarsi alla crisi che interessa soprattutto i lavori infrastrutturali. Limitando l’analisi alle prime dieci la sorpresa è Pizzarotti, che cresce del 59% grazie a un estero la cui incidenza sale al 61,5%.

Quanto a Rizzani de Eccher, anche se la crescita si limita al 16,9%, ha belle prospettive commerciali, nonostante l’aumento dei debiti. Vanno bene anche le due imprese leader del pipeline, Bonatti e Sicim, campioni di export. Nonché altre due specialistiche, Salcef e Gcf, che posano binari ferroviari.

A contrastare le difficoltà del mondo cooperativo vi è una realtà non in classifica per la sua natura giuridica, il Consorzio Integra, che associa 141 società (nelle costruzioni e nell’industria) con circa 6 miliardi di fatturato.

Nella top ten l’unica impresa che ha una posizione finanziaria netta attiva è Itinera (gruppo Gavio) che compensa il calo del mercato interno (soprattutto in house) con  una politica di crescita (anche esterna) all’estero. Seguono in classifica altre 31 imprese virtuose perché non indebitate, tra le quali spiccano: Sa-Fer, Todini (già scorporata da Salini Impregilo nel 2016 dopo essere stata acquistata da Salini nel 2009), De Sanctis Costruzioni, Intercantieri Vittadello e Cogeis.

Prendendo come riferimento i più significativi indici di bilancio si notano innanzitutto le imprese con le migliori redditività rapportate al fatturato: i cinque più alti ebitda margin sono quelli delle specialistiche Roda (31,2%) e Max Streicher (19,3%), della generale Icm (18,4%), della cooperativa Cmc (15,8%) e di un’altra specialistica, Sicim (15,6%), mentre considerando l’ebit margin si confermano nelle top 5 Roda (28,8%), Max Streicher (17,7%) e Sicim (9,1%) e inoltre altre due specialistiche, Salcef (12,6%) e Ceprini Costruzioni (8,7%).

Sempre a livello reddituale considerando però il net margin continuano a fare la parte del leone le quattro specialistiche citate con l’inserimento al terzo posto di Vianini Lavori, cassaforte del gruppo Caltagirone (8,5%), tolta dalla Borsa nel 2015.

I campioni all’estero

Delle cento imprese in classifica 43 sono attive all’estero, anche se alcune con quote minime. Quelle che dichiarano la percentuale maggiore di export sono in genere le specialistiche: nell’ordine, Sicim e Bonatti (nelle pipelines), Maeg Costruzioni e Cimolai (nella carpenteria metallica), Gcf (nell’armamento ferroviario).

Una classifica per attività all’estero delle imprese generali vede prima Todini (che però dal 2016 appartiene al gruppo kazaco Prime System KZ e lavora in quel Paese), Salini Impregilo (il cui mercato di riferimento è sempre più gli Usa dopo l’acquisto di Lane in cui ha fuso Healy), Rizzani de Eccher (che in Russia opera tramite Codest International), Ghella, Astaldi, Icm (già Maltauro), Pizzarotti (che in Australia ha formato una joint venture con Rf Holdings), la cooperativa Cmc.

Tutte imprese che esportano per oltre metà del fatturato. Significativo è l’affacciarsi all’estero di chi operava solo in patria: Itinera (gruppo Gavio), Vianini Lavori (gruppo Caltagirone), la cooperativa Cmb.

La “nicchia” del mercato privato

Un’altra classifica (limitata a 50 anziché 100 società) redatta da Guamari considera il mercato privato (ovviamente quello degli interventi edilizi e urbani promossi da “sviluppatori”, d’interesse delle imprese generali).

Soprattutto quello italiano (poiché all’estero il grosso dei contratti è ancora nel settore pubblico). Questo zoom è interessante perché dà qualche miglior segnale di salute dell’offerta.

Nell’insieme il mercato privato, secondo il 26° Rapporto Congiunturale e Previsionale del Cresme, nel 2017 vale 96,7 miliardi, di cui 25,6 nel nuovo e 71,1 miliardi nel recupero, ossia il 75 percento del totale di 129 miliardi d’investimenti. Ricordando che, includendo anche le forniture in opera (non di competenza delle imprese di costruzioni), la produzione totale secondo il Cresme vale 167,1 miliardi.

Il privato è un mercato interessante anche perché, almeno per le imprese di maggiori dimensioni nessuna (per ora) è in procedura concorsuale o in crisi di liquidità.

La classifica delle prime cinquanta imprese che operano nel privato è aperta dalle tre più grandi (Pizzarotti, Rizzani de Eccher, Cmb) che pur fatturando in edilizia un terzo “svettano” sulle concorrenti) seguite da imprese per le quali l’edilizia è, se non totalizzante, prevalente: Italiana Costruzioni, Carron, Colombo Costruzioni, Techbau, Sicrea, la cooperativa Cmsa, AeC Costruzioni (nata dalla fusione di Acea Costruzioni e Cls), Gilardi, Cds Costruzioni, Impresa Percassi (che ha aperto il capitale a Polifin), Tonon, Pessina (più presente nelle infrastrutture avendo acquistato Oberosler e presentato un’offerta per Tecnis).

Alcune delle quali (Percassi, Borio Mangiarotti, Devero) hanno successo anche nella promozione immobiliare (non scorporata in apposita società come fece a suo tempo, per esempio, Colombo. Mentre imprese più presenti nelle infrastrutture stanno sviluppando il mercato privato per mantenere i margini: Intercantieri Vittadello, De Sanctis, Vitali, … per citare le più dinamiche.

Nel 2017 le maggiori 50 imprese dell’edilizia privata in classifica fatturano 5,7 miliardi (più 10,5%), ma a livello reddituale non sono particolarmente brillanti: calano infatti ebitda, ebit e utile netto rispettivamente del 9,2%, 21,5% e 54,9%. L’indebitamento finanziario di oltre 900 milioni, pur appesantito del 32,8%, è ampiamente coperto dal patrimonio netto di 2,1 miliardi.

testo di Aldo Norsa
già professore, Università Iuav di Venezia
Stefano Vecchiarino
analista/ricercatore, Guamari srl

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