Punti di Vista | Bruno Gabbiani

La tragedia del ponte di Genova

(...) Gli inglesi dopo le tragedie del Comet continuarono a sviluppare il progetto, emendandolo delle originarie carenze e ripresero con successo la produzione e la vendita dei loro aeroplani. Speriamo che il nostro Paese, pur applicando il necessario rigore nella ricerca e nella punizione delle responsabilità, non ripieghi invece su sé stesso, com’è avvenuto a Roma con il rifiuto delle Olimpiadi, per evitare i fenomeni di corruzione.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

Un’opera bella e utile che diventa il simbolo del male

Il tragico crollo del ponte di Genova, con i lutti, le sofferenze e i danni che ne sono derivati ha avuto enorme risalto sulla stampa nazionale e internazionale.

L’Italia ovviamente non ha fatto una bella figura, ma i giornali stranieri non hanno dimenticato di ricordare che il ponte, a suo tempo, fu considerato un’opera sorprendente e geniale, una meraviglia ingegneristica del XX secolo, in quanto univa arditezza, capacità innovativa ed esecutiva ed economicità della costruzione.

Infatti, nello spirito della scuola italiana dell’epoca, che a Morandi assommava Nervi, Montuori, Musmeci ed altri ancora, il ponte era contemporaneamente un’opera d’architettura, imponente ed elegante e una macrostruttura che rivestiva un forte ruolo urbanistico e insieme caratterizzava il paesaggio.

Oggi restiamo perplessi nel rilevare che un viadotto destinato a sopportare un traffico frenetico e ininterrotto, sia stata costruito sorvolando una parte di città, oscurando residenze, fabbriche e servizi. Ma il ponte dava a Genova la speranza di far ritornare la Città a rivestire quel ruolo di maggior porto del Mediterraneo occidentale, che per secoli le era appartenuto e che – stante l’orografia – i ritardi dei collegamenti infrastrutturali del dopoguerra, le avevano fatto perdere; significava favorire la creazione di posti di lavoro e così il sacrificio fu accettato.

È curioso a nostro parere, come la vicenda del ponte abbia qualche analogia con quella del Comet, l’aereo con il quale gli inglesi negli anni ’50, dieci anni prima, avevano realizzato il primo aereo commerciale a getto della storia. Anche questo era un gioiello ammirato in tutto il mondo, che tuttavia ben presto si tramutò nella causa di numerosi terribili incidenti. Gli innovativi metalli con i quali l’aereo era costruito, sottoposti a fatica, perdevano in breve le loro caratteristiche di resistenza, causando l’improvviso collasso strutturale del velivolo, che esplodeva disastrosamente in volo: uno stress dei metalli, che precedentemente non era stato nemmeno ipotizzato, né tantomeno studiato.

Anche il ponte è stato in qualche misura un’opera sperimentale e come tale andava e almeno in parte fu, controllato e curato nel tempo. Il calcestruzzo armato e precompresso del quale è costituito, nel sentimento comune e almeno fino al crollo, era ancora il materiale sinonimo dell’eternità, quello capace di emulare e superare le costruzioni dei romani antichi e di sfidare indenne i secoli, gli incendi, i terremoti.

Anzi, forse è stata anche la scossa derivata dall’infrangersi di questa certezza, che ha indotto gli italiani a partecipare in massa a una discussione che s’è banalizzata quando è passata dall’individuazione delle complesse cause del crollo, che è compito degli specialisti, all’espressione di opinioni per lo più dettate dalla pur comprensibile carica emotiva.

Coloro che s’occupano oggi delle costruzioni in calcestruzzo sanno invece bene che le tensioni, le vibrazioni e le deformazioni alle quali sono sottoposte le strutture, sommate alla corrosione e carbonatazione delle armature, limitano la vita utile delle costruzioni come i ponti, a un arco di tempo che non supera di molto i cinquant’anni, soprattutto di quelle opere non protette dagli agenti atmosferici e site in ambiente aggressivo, magari salino.

A questo, nel nostro Paese s’aggiunge una serie di problemi e carenze, che si tramutano in preoccupanti fattori negativi per la sicurezza: l’abitudine di trascurare la programmazione e l’esecuzione in tempo utile, di regolari manutenzioni e riparazioni; la scarsità di risorse finanziarie, che ha impedito la periodica sostituzione dei manufatti non più in grado di svolgere le loro funzioni; lo scarso rispetto delle regole, che consente ai mezzi pesanti di viaggiare in sovraccarico di peso e in eccesso di velocità, causando sollecitazioni non previste e non compatibili con le prestazioni di progetto; il sistema degli appalti al massimo ribasso, che non ha certo contribuito alla migliore esecuzione delle opere pubbliche; il sistema d’attribuzioni degli incarichi professionali delle stesse opere, anch’esso al massimo ribasso e il vezzo di promuovere e d’accettare prestazioni addirittura gratuite, che alla lunga hanno impedito la strutturazione e il mantenimento di studi professionali specializzati, capaci di fronteggiare ogni situazione ed emergenza, che sono invece essenziali per mantenere il rango al quale ambisce il nostro Paese.

Sono tutti fattori destinati a incidere sulla qualità e durata delle strutture ed è giusto che l’opinione pubblica ne sia informata.

Per concludere, gli inglesi dopo le tragedie del Comet continuarono a sviluppare il progetto, emendandolo delle originarie carenze e ripresero con successo la produzione e la vendita dei loro aeroplani. Speriamo che il nostro Paese, pur applicando il necessario rigore nella ricerca e nella punizione delle responsabilità, non ripieghi invece su sé stesso, com’è avvenuto a Roma con il rifiuto delle Olimpiadi, per evitare i fenomeni di corruzione.

Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

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