Analisi | Guamari

Le 50 maggiori imprese dell’edilizia privata nel 2020

Come già nel 2018 e 2019 anche nel 2020 l’andamento delle imprese (28) davvero specializzate in edilizia privata (con incidenza sul fatturato superiore all’85%) è decisamente migliore rispetto alle top 50. A partire dal giro d’affari che aumenta dell’8,3% e raggiunge 1,8 miliardi (con una quota estera del solo 2,3%) con una forza lavoro incrementata del 5,2%. Il portafoglio ordini (in questo caso limitato alle sole 19 imprese che hanno fornito il dato) cresce a fine 2020 del 42,8%. 

È in fase di pubblicazione il terzo Rapporto, a cura della società di ricerca Guamari, dedicato a un segmento specifico dell’offerta italiana di costruzioni: le 50 maggiori imprese attive nell’edilizia privata delle quali si illustrano dati di bilancio, posizionamento di mercato e strategie imprenditoriali.

I numeri e i commenti pubblicati in questo Rapporto saranno lo spunto per un approfondimento previsto in un incontro-dibattito tra i principali operatori della domanda e dell’offerta (privata) ospitato a Milano da Assimpredil Ance il 30 novembre 2021.

Il contesto di mercato

Premesso che nel 2020 gli investimenti in edilizia (in prevalenza privata) secondo l’Ance, pesano per ben l’80,8% nel totale delle costruzioni le abitazioni fanno la parte del leone: se le nuove pesano per il 12,9% quelle oggetto di manutenzione straordinaria non solo valgono il 36,6% di tutti gli investimenti ma sono in maggior crescita (più 14% nel 2021).

I cambiamenti in atto     

Non si può scrivere del 2020 (e a maggior ragione del 2021) senza tener conto dei profondi cambiamenti nel mercato causati dall’improvvisa epidemia sanitaria e dalle sue conseguenze (che sempre più appaiono strutturali anziché contingenti). Lo scorso annus horribilis sarà ricordato non tanto per l’iniziale emergenza del confinamento (che per le imprese di costruzioni ha comportato una chiusura dei cantieri ma di durata tale, spesso non più di un paio di mesi, da permettere sostanzialmente un recupero della produzione entro fine anno) quanto per i prolungati effetti in termini di modifiche dei comportamenti e quindi delle tipologie edilizie e delle morfologie urbane.

L’affermazione del tutto da remoto (lavoro, commercio, istruzione, …) ha non solo restituito centralità al mercato delle abitazioni (diventato più sofisticato nella “polifunzionalità”, ma anche più articolato, basti citare le rsa e gli studentati) ma riposizionato tutti gli altri.

Il cambio di “paradigma” ha ridimensionato l’edilizia commerciale (a favore dell’e-commerce con il contestuale boom della logistica) nonché la ricettiva, riformato il mercato dell’edilizia produttiva (industrie e uffici), rilanciato l’edilizia sociale (a partire dalla sanitaria e dalla scolastica/universitaria).

Tutte opportunità per le imprese al top di far valere competenze da general contractor, ricche di progettualità ma anche di coordinamento della filiera produttiva. Con l’eccezione – si badi bene – di un mercato oggi in auge, ma quasi sempre troppo frammentato per consentire immediate “economie di scala”: quello del superbonus abitativo. Esso è di grande significato macroeconomico e contribuisce a raggiungere due obiettivi del Pnrr (l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio e l’incentivazione alla rigenerazione urbana) ma è per ora di scarso interesse per le imprese più grandi.

Il riposizionamento dei maggiori imprenditori nella fascia alta e sofisticata del mercato privato, privilegiando i clienti più strutturati, va di pari passo con il nuovo dinamismo che le amministrazioni devono dimostrare per accedere ai finanziamenti del Pnrr.

Infatti un’interlocuzione più sofisticata tra queste, i promotori immobiliari e gli organi autorizzativi comporta una non rinviabile “scrematura” della committenza con l’adozione di sistemi qualità speculari a quelli che si pretendono dall’industria. Per non parlare degli effetti positivi sulla qualità dei progetti, opportunamente controllati e validati, tali da garantire capitolati contrattuali che garantiscano il trinomio “costi, qualità, tempi”.

La dialettica domanda – offerta

Alle opportunità che il nuovo contesto di mercato caratterizzato dal “new normal” (postpandemico), stimolato da quella ripresa dell’economia che è tipicamente ciclica ma in questa fase si annuncia più che congiunturale, fanno da freno le problematiche di sempre.

In primis la debolezza cronica sia di una domanda che di un’offerta che soffrono della frammentazione, del localismo e del provincialismo italiano. Aggravati, nel caso specifico dell’offerta di edilizia, da un persistente prevalere di imprese familiari in cui il ricambio generazionale è problematico, per non parlare della difficile valorizzazione dei manager.

Fortuna vuole che, al contrario, una “ventata” di apertura internazionale stia caratterizzando il mondo della committenza con una sempre maggior “finanziarizzazione” del business immobiliare (i “palazzinari” sono ormai un ricordo). Essa ha non solo resistito ai danni della pandemia, riposizionandosi subito nei segmenti di mercato più resistenti (e “resilienti”), ma sta accelerando la selezione dell’offerta premiando le imprese che si attrezzano per le nuove sfide.

Il passaggio più urgente, per adeguare l’offerta nazionale a una domanda che si misura con le best practices internazionali, è la revisione dell’apparato contrattuale affinché in un confronto aperto si affermi quella logica “win-win” che è nell’interesse ultimo dei contraenti (ma non certo connaturata alle burocratiche e formalistiche pratiche codificate per gli appalti pubblici).

Una logica del tutto praticabile, solo che lo si voglia, quando i contraenti, entrambi privati, possono fissare con una certa autonomia le regole del gioco e soprattutto praticare trasparenza reciproca nel definire gli obiettivi, i modi per raggiungerli, le modalità di ingaggio e confrontarsi su costi, tempi e qualità da verificare “in progress”. A questo proposito molti esperti ritengono urgente promuovere il modello cosiddetto “open book”, più sofisticato di quello “a forfait”, tipico di un appaltatore che sa coordinare una filiera complessa e tener sotto controllo le alee contrattuali (a cominciare dalle inflattive).

I numeri   

Il “piatto forte” del Rapporto di Guamari è la classifica su dati 2020 delle maggiori 50 imprese attive in edilizia privata. Essa assomma un fatturato totale di 3,5 miliardi, con una riduzione (a campione omogeneo) del 4,1 percento che si conferma pesare per circa la metà della produzione totale. Non solo il calo è più contenuto di quanto il blocco cantieri del 2020 potesse far prevedere ma il dato è talmente influenzato dalla riduzione di fatturato di Pizzarotti che, senza tenerne conto, il fatturato delle altre 49 imprese aumenterebbe dell’1,2%.

Ancora poco sviluppata risulta l’attività internazionale delle top 50, tra cui infatti solo 11 imprese dichiarano una quota (talvolta marginale) di fatturato all’estero che sul totale vale il 15,6%, trainata da tre big come Pizzarotti, Itinera e Rizzani de Eccher il cui export (nel privato) vale per qualcosa come tre quarti.

A livello di conto economico i dati reddituali (in attesa che Pizzarotti e Italiana Costruzioni li comunichino al mercato) mostrano una leggera crescita di ebitda (più 6,8%) ed ebit (più 1,7%) ma un forte calo dell’utile netto (meno 46,6%).

L’indebitamento finanziario netto (anch’esso limitato a 48 società) peggiora del 34,1 percento (ma con ben 17 imprese con posizione finanziaria netta attiva) continuando però a valere meno del patrimonio netto (pur incrementato del solo 3%).

Dal punto di vista commerciale il portafoglio ordini a fine 2020 (delle 37 imprese che hanno fornito il dato) si attesta a 23,3 miliardi (in calo del 3%) con un incremento della quota in edilizia privata da 28,5 a 32%.

Stabile è invece la forza lavoro che rispetto al 2019 sale solo dello 0,7% e può contare su 14,5 mila addetti.

Come già nel 2018 e 2019 anche nel 2020 l’andamento delle imprese (28) davvero specializzate in edilizia privata (con incidenza sul fatturato superiore all’85%) è decisamente migliore rispetto alle top 50. A partire dal giro d’affari che aumenta dell’8,3% e raggiunge 1,8 miliardi (con una quota estera del solo 2,3%) con una forza lavoro incrementata del 5,2%. Il portafoglio ordini (in questo caso limitato alle sole 19 imprese che hanno fornito il dato) cresce a fine 2020 del 42,8%.

Ancora più marcata è la miglior performance delle 28 a livello reddituale: nel 2020 l’ebitda sale del 66%, l’ebit dell’80,6% e l’utile netto addirittura raddoppia. Lo stesso discorso vale per lo stato patrimoniale che nell’ultimo esercizio vede l’indebitamento finanziario ridursi dell’82,2% e il capitale netto aumentare dell’11,2%.

a cura di Aldo Norsa e Stefano Vecchiarino

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