Punti di vista | Marco Bussone, Uncem

Le strategie Uncem per il futuro dei territori montani

Nella relazione del neopresidente Marco Bussone vengono evidenziati i punti programmatici affinchè Uncem possa costruire un futuro di autorevole rappresentanza per tutto il territorio montano costruendo un percorso virtuoso d'inclusione, condivisione d'idee, di animazione e formazione verso le classi dirigenti dei territori.
Marco Bussone | Presidente Uncem.

Negli ultimi vent’anni Uncem è diventata un’organizzazione riconosciuta e autorevole, capace di dialogo, innovazione, forte interazione con le istituzioni e con gli enti locali che rappresenta.

Dal 1952 a oggi Uncem ha attraversato la storia della Repubblica – con centinaia di amministratori locali, sindaci, consiglieri, presidenti di delegazione, presidenti nazionali, ma anche docenti universitari, economisti, sociologi, antropologi, geografi – strutturando proposte, affrontando mobilitazioni, costruendo pezzi di politiche che oggi non sono solo storia da consegnare a libri e archivi, bensì luce che orienta la conclusione del presente mandato e i prossimi decenni.

Sono convinto che Uncem debba essere sempre più soggetto propulsivo dello sviluppo delle aree rurali, interne e montane, con una piena rappresentanza dei territori. La si ottiene grazie al continuo confronto con i comuni, le Unioni e le Comunità montane, tutte le forme associative, con tutti gli enti pubblici e i soggetti privati. Questa era la direzione già emersa al Congresso di Trento nel 2010 e rafforzata al Congresso di Torino nel 2015.

Siamo oggi in una fase complessa e di cambio di paradigma per la politica e per il sistema istituzionale, dopo vent’anni di mai compiute riforme. Il nostro impegno si deve tradurre in una presenza incisiva ai tavoli istituzionali nazionali e regionali, in un dialogo con tutte le componenti del sistema economico, sociale, accademico.

La prima nostra mission è garantire la crescita delle aree montane del Paese ove gli enti locali – i comuni e le loro aggregazioni – sono il principale vettore di sviluppo e benessere. L’articolo 44 della Costituzione è alla base di ogni nostra azione istituzionale: pone al centro la montanità. E le montagne sono plurali e da riconoscere nella loro specificità: alpina, appenninica e, all’interno delle due catene, vi sono le opportune differenze ed essenze.

Aree montane libere, occasione di sviluppo di society 5.0

I recenti dati Ocse, al 2050, insistono su un aumento delle polarizzazioni e della concentrazione delle masse di popolazione nelle aree urbane e periurbane. I numeri Istat del Rapporto 2018 evidenziano l’aumento delle sperequazioni tra territori, tra centro e periferia. Gli osservatori più accreditati ci dicono che solo nelle città oggi si concentrano positivi benefici dell’Economia della conoscenza.

I nostri territori rurali e montani del Paese sono però quelli vedono negli enti locali – in primis i comuni, i nostri piccoli comuni – i soggetti più capaci di attivare politiche di mantenimento dei servizi stessi, di mobilitazione per contrastare abbandono di imprese e opportunità, di ambito nel quale si esercita la democrazia e la partecipazione, di sperimentazione e di innovazione. Sono nelle aree montane le aree libere, non sature, dove innestare pezzi di society 5.0, evoluzione dell’industria 4.0 in quanto forte del ruolo delle comunità.

Gli enti locali definiscono progettualità in accordo con i soggetti privati e molto spesso sfidano burocrazie e complessi sistemi legislativi, sistemi di trasferimenti e di imposte per i cittadini che li bypassano o che non tengono in considerazione opportunità, estensione, necessità delle comunità, fragilità dei territori che contagiano tutto il Paese, Alpi e Appennino.

Il concetto di Comunità

Adriano Olivetti.

Sul concetto di comunità voglio soffermarmi. La presenza degli uomini nelle montagne è riuscita ad aver ragione sulle difficoltà strutturali e sulle sperequazioni. Chi ha scelto di vivere nei territori montani e nelle aree interne e rurali deve poter rimanere sui territori stessi.

Il senso di coesione, le comunità, permettono ancora di evitare che la solitudine dell’individuo diventi disperazione disgregante, favorisca l’abbandono, e che passi nelle nostre vallate quel modello di periferia in cui la gente non ha più il senso della vita, il senso del rapporto umano, il senso del valore e del limite di un’esperienza umana.

Si devono innestare nei territori nuove progettualità e nuove persone, agendo sull’alto grado di apertura delle comunità alpine e appenniniche, dei paesi e dei borghi. Comunità – secondo quanto scriveva e ripeteva Adriano Olivetti – è un concetto socio-antropologico che sul piano istituzionale è orizzontale e rispettoso delle identità, e che rimanda a una convivenza fatta di un progetto comune e non di una logica coercitiva, a una decisione fondata sulla collettività e non sull’imposizione, a un’esistenza che è fatta di libertà di adesione anziché sull’omologazione.

I territori chiedono sburocratizzazione

Le comunità dei nostri territori non chiedono allo Stato solo risorse e tantomeno assistenzialismo. Chiedono diritti, sgravi fiscali, semplificazione, sburocratizzazione. Uncem li chiede con loro, li chiede per loro, mostrando l’alterità, cioè che siamo diversi, che abbiamo specificità da riconoscere!

Per rispondere alle sfide delle comunità che li hanno eletti, i Sindaci negli ultimi anni con le loro Amministrazioni hanno costruito sistemi aggregativi capaci di rispondere alle sfide, agli orientamenti e alle progettazioni comunitarie, alle riduzioni troppo forti di personale che non hanno permesso di innestare – negli ultimi vent’anni – le adeguate capacità di innovazione e di visione nelle macchine organizzative degli enti locali stessi.
Serve oggi una nuova attenzione per i Comuni e per tutte le Autonomie locali. La chiederemo al Governo e al Parlamento.

Ci impegneremo a costruirla, facendo proposte e dicendo chiaramente le cose che vorremmo, che servono alla montagna e agli Enti locali. Il Paese deve ripartire dalle Autonomie locali, dalla rete dei Comuni, dalle aree montane dove nascono sperimentazioni che affrontano fragilità e abbandono. Il Paese deve tornare a credere nella rete e nell’impegno di Sindaci e degli Amministratori locali.

Sindaci e Amministratori dei piccoli Comuni, nelle zone montane e rurali, hanno dimostrato di essere molto diversi dai colleghi delle grandi città, dalle realtà urbane. In queste ultime, sembra essersi chiusa una gloriosa stagione dei sindaci, mentre nelle nostre realtà, il Sindaco e il Comune sono spesso i soggetti istituzionali, quasi gli unici, che portano lo Stato sul territorio. E i cittadini si fidano di loro, lo sappiamo benissimo.

I Sindaci dei piccoli Comuni sanno ascoltare e sanno decidere. Ecco perché Uncem può avere un futuro importante. Perché ha questa forte rete alla base, perché sa ascoltare le istanze dei territori e promuoverle, anche avviando mobilitazioni istituzionali forti, basate su concrete necessità.

Uncem: piano programmatico

Con queste e altre consapevolezze, Uncem si trova oggi a dover costruire un “piano programmatico” da elaborare con la Giunta e il Consiglio nazionale nei prossimi mesi. Tutti noi siamo infatti protagonisti di un nuovo impegno per dare piena dignità, ruolo e autorevolezza a Uncem. Un impegno-diffuso, di ciascun Sindaco e Amministratore, unito da Uncem. Vogliamo insieme lavorare per la crescita delle comunità che resistono e che devono tornare a dare vita e vitalità alle aree montane del Paese. Vorrei ora toccare, in breve, quattro temi molto attuali e decisivi per i territori, per le autonomie, per il lavoro che Uncem deve fare.

Riaprire  il «cantiere istituzionale»

Va riaperto, sciogliendo in primis il nodo sul grado di autonomia o centralismo del Paese. Le ultime leggi di bilancio e gli ultimi provvedimenti normativi nazionali non hanno risolto molte delle questioni poste da Uncem per rendere più efficace il lavoro dei piccoli Comuni, delle Unioni di Comuni montani, delle forme associative.

È aumentato da 10 a 30 milioni di euro il fondo nazionale per incentivare l’associazionismo comunale. Resta da attuare, definendo in particolare i criteri di riparto del fondo, l’importantissima legge sui piccoli Comuni, la 158/2017.

Così come deve essere rafforzato e reso stabile il fondo nazionale per la montagna, reintrodotto nel 2013. 5 milioni l’anno sono troppo pochi per rispondere a quanto scritto nell’articolo 44 della Costituzione. Molte Regioni italiane non hanno ancora completato o pienamente raggiunto la costruzione delle forme associative sovracomunali.

È importante lavorare come Uncem a un piano condiviso tra le Regioni per chiedere una revisione della norma nazionale sull’associazionismo che renda più omogenee e stabili le forme associative tra Comuni, capaci di gestire una serie di funzioni in forma associata e allo stesso tempo capaci di coordinare le attività per lo sviluppo sociale ed economico del territorio montano.

Uncem deve spingere il Governo ad agire per restituire agli Enti locali una capacità operativa, evitando di prelevare ulteriori risorse agli Enti, bensì consentendo un migliore riparto del gettito fiscale delle imposte locali. Uncem potrà volentieri collaborare con Anci su questi assi, definendo obiettivi e una piattaforma operativa da sottoporre a Governo e Parlamento in attesa di una revisione complessiva del Testo unico degli Enti locali. I sindaci ci chiedono impegno e mobilitazione per far fronte ai tagli e alle riduzioni di trasferimenti.

Cosa fare

Occorre inoltre agire come Uncem su questi assi, affinché siano inseriti in appositi provvedimenti normativi nazionali:

  • garantire ulteriori spazi finanziari ai Comuni e alle Province, per investimenti;
  • per i piccoli Comuni, in particolare per quelli inferiori ai 5.000 abitanti, si propone l’abolizione del DUP anche in considerazione della scarsa rilevanza dei dati e alla non presenza di strumenti analitici e di risorse umane capaci di dare sostanza allo strumento. La semplificazione delle procedure per comporre il bilancio è decisiva;
  • definire un ruolo chiaro per le Province (e anche per le Città metropolitane) e il loro rapporto con le Regioni nonché con i soggetti aggregativi degli enti locali, Unioni montane e Comunità montane;
  • è indispensabile rivedere il ruolo dei segretari comunali, anche in vista del nuovo concorso per l’inserimento di nuove figure. I segretari devono essere manager della pa capaci di lavorare con i vertici politici per lo sviluppo del territorio, in particolare a livello di Unioni di Comuni;
  • nel quadro dell’autonomia, il Comune cui viene assegnato un obiettivo finanziario deve vedersi riconosciuta l’autonomia nella scelta delle priorità e degli strumenti per raggiungerlo. Nelle aree ove sono presenti molti piccoli comuni, gli obiettivi finanziari si raggiungono a livello di ambito territoriale;
  • occorre attuare una semplificazione delle norme e del sistema di controlli cui i Comuni sono sottoposti. Un piccolo Comune deve ottemperare a oltre 60 incombenze tra controlli e monitoraggi che, soprattutto nei piccoli centri, spesso bloccano di fatto l’azione amministrativa;
  • in merito allo status degli Amministratori, sono urgenti norme con l’obiettivo di estendere a tutte le tipologie di lavoro la possibilità di svolgere il compito di amministratore comunale e per superare situazioni di blocco non giustificabili prodotte dalla legislazione attuale.
  • è importante aumentare le spese per la formazione del personale, che sono spese per investimento;
  • è importante garantire ai sindaci, ai presidenti delle Unioni, delle Comunità montane e delle forme aggregative un opportuno status, che ne valorizzi ruolo, impegno, responsabilità;
  • deve essere disapplicato l’effetto, gravoso per i Comuni di piccole dimensioni, delle sanzioni per mancato rispetto del pareggio di bilancio per gli enti locali con meno di 1000 abitanti;
  • deve essere riconosciuta la specificità dei Comuni turistici, con la loro popolazione equivalente e la conseguente esigenza di servizi e di gestione delle imposte ricevute;
  • deve essere riconosciuta l’importanza dell’estensione territoriale e della densità di popolazione dei Comuni montani;
  • devono essere fortemente semplificate le norme per la stesura e la modifica dei bilanci nei Comuni con meno di 5mila abitanti;
  • forte e chiara la richiesta di una complessiva riforma del catasto. A invarianza del gettito complessivo, deve essere rideterminato il valore degli immobili sulla base delle loro caratteristiche reali (superficie, localizzazione e caratteristiche edilizie). Questo favorirebbe le aree montane, anche grazie alla creazione di categorie catastali specifiche per salvaguardare pienamente il patrimonio dei borghi alpini e appenninici.

La montagna nell’agenda digitale

Su innovazione e digitalizzazione si gioca gran parte della competitività territoriale. Costruire smart & green communities, dove le imprese hanno l’opportunità di investire, vale il futuro e molti posti di lavoro.

Uncem deve lavorare affinché lo Stato contempli nella sua agenda digitale un capitolo Montagna. Su questo non possiamo arretrare. Anche perché il digital divide corre veloce e rischia, senza opportuni investimenti e impegno istituzionale, di avanzare, trasformandosi in maggiore divario economico (e di conoscenza) tra zone urbane e montane. Ci aiutano i 3,4 miliardi di euro che verranno investiti nei prossimi due anni nel Paese (nelle aree montane, definite bianche) per la posa della Banda ultralarga. L’infrastruttura, le reti, sono il viatico per i servizi nuovi e anche per gli investimenti delle imprese.

Uncem deve sostenere la necessità di start up, di nuove tecnologie, di strumenti che riducano distanze fisiche e migliorino la vivibilità dei territori, compatibili con ambiente, paesaggio. Costruire opportunità di lavoro e di sviluppo ferma abbandono e spopolamento, desertificazione e fragilità! Uncem si deve rivolgere a imprese della bioedilizia, della robotica, dell’Ict e delle telecomunicazioni, della green economy, del riuso e dell’economia circolare.

Ma anche alle aziende che già lavorano e studiano nuove modalità di erogazione dei tradizionali servizi alla persona e alle comunità: trasporti, scuola, sanità, assi della Strategia nazionale aree interne. E ancora, co-working e fablab, spazi per i makers, smart grid e digitalizzazione. La pubblica amministrazione ha urgente necessità di rinnovarsi, di formarsi attorno a quest’Agenda.

Politica di coesione

Abbiamo la necessità di padroneggiare efficacemente gli strumenti e le opportunità garantite dai Fondi europei, sia con le programmazioni dirette gestite da Bruxelles, sia con quelle a gestione regionale con i Programmi operativi per i fondi strutturali. L’impegno si traduce in formazione e sarà necessario organizzare seminari e corsi, locali e nazionali per darci maggiore capacità di interazione con i fondi.

La competizione sui progetti diventa sempre più alta, ma dobbiamo essere nelle condizioni di drenare sui territori più risorse per investimenti e progettualità. Decisivo il dialogo con Aem, Euromontana, Università europee, uffici di rappresentanza delle Regioni a Bruxelles e a Strasburgo.

La Strategia macroregionale alpina e la Strategia macroregionale Adriatico-Ionica (Appennino) stanno prendendo corpo. Non abbiamo bisogno con Eusalp e con Eusair di nuova burocrazia, neanche nuovi studi e ricerche dopo le tante già utili prodotte da altri analoghi strumenti. Eusalp e Eusair devono essere concrete e a questo si deve lavorare con un impegno forte dello Stato e delle Regioni.

Tutto questo vale in particolare oggi, mentre l’Ue sta definendo le prime regole della nuova programmazione e della politica di coesione: il protagonismo italiano in Europa si traduca in un impegno e in una concertazione capace di rendere protagonisti Enti locali, imprese, territori sui futuri bandi. Scrivere efficacemente i programmi (compresi quelli relativi ai fondi per investimenti) consente un efficace crowdfunding, una competitività elevata dell’Italia nello scenario europeo.

C’è oggi un pezzo di Italia che sta soffrendo più di altri pezzi di territorio. Parlo dalle aree colpite dal terremoto nell’Appenino. La ricostruzione post-terremoto nell’Appennino non è una mera operazione per tirare su case, scuole, chiese, bensì come operazione che, secondo la logica anche della Strategia Aree interne, è occasione per rigenerare tessuto economico e sociale dell’Appennino. Uncem deve guidare un Progetto Appennino che parta proprio da queste aree.

Sul fronte della prevenzione del dissesto idrogeologico, sull’assetto del territorio, connesso a bonifiche, contrasto al cambiamento climatico, molte Delegazioni hanno già attivo un proficuo lavoro (nella logica della valorizzazione dei servizi ecosistemici-ambientali) e anche la capacità di orientare risorse economiche ove realmente necessarie, per la prevenzione lungo i versanti, per proteggere insediamenti e antropizzazione.

I borghi appenninici e alpini sono il cuore di un nuovo sviluppo, ma anche l’emblema dello spopolamento: Uncem deve lavorare con tutti i soggetti (e sono molti) che negli ultimi anni si sono attivati per frenare abbandono e portare l’attenzione sui borghi. Tra reinsediamenti e nuovo turismo, vi è una forte presa di coscienza delle sfide di questi pezzi di montagna antropizzati, abbandonati ma anche pronti per essere rivitalizzati. Servono capacità pianificatorie, urbanistiche, antropologiche, sociologiche.

Per rivitalizzare il patrimonio dismesso, i borghi e gli spazi oggi liberi, servono incentivi. Chiederemo un piano per la residenzialità nelle aree montane. Incentivi fiscali e detrazioni per le imprese che si insediano, sfidando la desertificazione.
Rispetto alla ruralità, al rapporto ad esempio con i Gal, con i Bim, con Ambi, Uncem deve continuare a lavorare portando esperienze e impegno del territorio, rafforzando un percorso virtuoso cresciuto negli ultimi anni.

Politiche di green economy

Nella costruzione della nuova Pac e dei nuovi Psr 2021-2026 (molte Regioni ci stanno già lavorando con Mipaaf, Rete Rurale e DgAgri) deve essere evidenziato il ruolo delle aree montane, dunque delle politiche per foreste e ruralità, evitando eccessivi travasi di risorse sul primo pilastro.

Da molti anni, il tema della filiera legno anima gran parte del lavoro che Uncem e molte Delegazioni in particolare hanno fatto e ancora oggi stanno facendo. Il nuovo Codice forestale deve essere pienamente attuato, per definire al più presto una politica nazionale per foreste e filiera legno che valorizzi 12 milioni di ettari di territorio, un terzo della superficie del Paese, ma anche il tessuto di imprese, il ruolo dei servizi ecosistemici espressi dai boschi.

Uncem è in questo processo principale attore e promotore di interventi operativi e istituzionali, d’intesa con gli enti, le Cooperative, le Agenzie incaricate, gli Operai forestali, i Carabinieri Forestali, le Associazioni, i soggetti certificatori. Tornare a gestire il patrimonio forestale è il fondamentale asse per la crescita delle Alpi e dell’Appenino. Vi sono già molte buone pratiche. Penso ai Contratti di Foresta della Lombardia, le Cooperative delle Marche, l’impegno contro gli incendi dei forestali della Campania. È compito di Uncem riallacciare tutti i rapporti con soggetti pubblici e privati che si occupano della materia, in stretto coordinamento con la nuova Direzione foreste nata all’interno del Mipaaf.

Uncem deve agire affinché le politiche per la green economy siano sostenute da un piano di finanziamenti e di interventi normativi (in attuazione della legge 221/2015) per garantire in particolare la valorizzazione dei servizi ecosistemici-ambientali, l’attuazione della Strategia per le Green Communities, la costruzione delle Oil free zones.

Il Collegato ambientale deve essere la via maestra per la totale decarbonizzazione, l’aumento dell’uso di energie verdi, la promozione della circular economy, la costruzione di edifici pubblici e privati che non consumano energia, l’aumento dell’e-mobilità.
In questo quadro si inseriscono le azioni da mettere in campo per una efficace definizione degli incentivi per gli impianti da fonti rinnovabili (tramite il nuovo dm), le normative per nuovi ed esistenti impianti idroelettrici, la definizione per le regole delle gare alla scadenza delle concessioni delle grandi derivazioni, ovvero anche delle concessioni autostradali.
Uncem dovrà proporre la revisione della normativa nazionale sul sistema fondiario, urgente e non derogabile, attuando pienamente quanto già scritto nel Codice forestale. È necessario un piano per la ricomposizione fondiaria nei territori.

Serve un’azione nazionale. Una normativa che agevoli la fruizione agricola dei territori e l’aumento della superficie agricola utilizzabile. La cura del territorio si accompagna a un piano per la bellezza, per la rigenerazione e la custodia dei luoghi e del paesaggio secondo valori e stile dell’Ecologia integrata. La cura dei luoghi, la percezione del bello, generano Benessere equo e sostenibile, con una serie di indicatori già individuati dalle recenti leggi statali, ora più che mai da applicare.

Strategia nazionale

Se negli ultimi anni c’è stata un’importante novità nella pianificazione territoriale, questa è la Strategia nazionale aree interne. Dopo le prime 72 aree pilota, oggi deve essere potenziata, resa stabile, estesa a tutto il territorio nazionale, passando dalla fase di sperimentazione all’ordinarietà.

La Snai, nella programmazione 2021-2027, deve avere uno specifico Programma operativo nazionale. Le Regioni devono essere condotte nell’individuazione delle risorse di cofinanziamento regionale, certe e stabili. Uncem – in sinergia con la Fondazione Montagne Italia – si propone come soggetto operativo nella fase di costruzione e attuazione della Strategia. Uncem, con tutte le delegazioni regionali, deve essere pienamente coinvolta dalla Snai e dalle strategie d’area.

La Strategia deve evitare di differenziare montagna e montagna. La Snai deve dare nuova forza a tutta la montagna italiana. Con la sua capacità e forza pianificatoria, imponendo una visione deve far crescere i territori. Senza però evidenziare nuove, ulteriori, divisioni tra chi è stato coinvolto nelle aree pilota e chi no. La stabilizzazione di impegno e risorse, con un ruolo forte degli Enti locali e di Uncem, evita queste sperequazioni. Deve inoltre crescere una rete, una federazione delle aree interne, che non sia intrisa di burocrazia, anzi sia luogo dove Uncem può inserire il suo ruolo storico, di rappresentanza.

Se alcune aree sono in ritardo nell’approvazione dell’accordo di programma quadro, se altre sono bloccate, quelle invece avanti, efficaci, snelle e pronte a partire, devono essere nella condizione di un’azione immediata, senza ritardi, senza intoppi.
Uncem deve insistere per un riordino del sistema fiscale. Uncem propone l’introduzione di criteri di selettività e peculiarità per i territori montani. Per una fiscalità realmente di vantaggio che favorisca residenzialità, nuove imprese, mantenimento degli esercizi commerciali e delle aziende esistenti, la nascita di nuove opportunità di lavoro, lo sviluppo sociale ed economico, il contrasto alla desertificazione. Devono essere sperimentati sistemi per applicare un’Iva agevolata alle imprese che rispettano criteri sociali e ambientali, come proposto peraltro alla Settimana sociale dei Cattolici di Cagliari.

Le zone a fiscalità di vantaggio (zes) possono essere estese dalle aree portuali e logistiche (già in scorso le sperimentazioni) ad altre aree peculiari del Paese. Per garantire residenzialità dobbiamo insieme rinnovare i servizi scolastici, socio-assistenziali. Rinnovare e mantenere, vuol dire ripensare i modelli di intervento dello Stato sul territorio.

  • scuole di valle, nuovo sistema di soccorso in emergenza,
  • case della salute per i medici di base,
  • infermieri di comunità,

sono alcuni degli strumenti operativi approntati negli ultimi anni che hanno garantito, senza eccessivi aumenti della spesa pubblica, di generare opportunità e sicurezza tra comunità e anche turisti. Le Cooperative di comunità devono essere sostenute, incentivate, a livello nazionale e regionale. Sono avanzati sistemi di impegno delle comunità, congiunto dei cittadini, per generare servizi e sviluppo.

La rete viaria nelle aree interne, i sistemi di comunicazione, sono il vettore della crescita e dell’esistenza stessa delle comunità e dei territori. Le Province che detengono la competenza in merito devono essere messe nelle condizioni, dallo Stato, di programmare investimenti in particolare per la manutenzione delle reti, d’intesa con Anas e gli Enti locali.

La mobilità nelle valli alpine e appenniniche richiede un impegno nel ripensare sistemi di trasporto pubblico, anche con modelli avanzati quali car pooling e car sharing, specifici per turisti e comunità dei territori.

Il dialogo avviato con le Poste, dopo lo stop a nuove chiusure di uffici, deve permettere a Uncem di definire con l’azienda il rafforzamento dei servizi sui territori, nonché un accompagnamento della pubblica amministrazione nell’affrontare le sfide della digitalizzazione.

Troppi sono ancora in Italia i Comuni montani (o parti di questi) non metanizzati, dove dunque i sovracosti per riscaldamento e servizi energetici sono rilevanti, eccessivi. Nelle nuove gare in corso deve essere tenuta presente la specificità territoriale e dunque estesa la rete del metano. La sfida è aumentare i servizi, la loro qualità, con efficaci investimenti, non solo iniettando risorse bensì guardando ad altri modelli europei e ascoltando i bisogni dei territori.

Cinque direttrici per il futuro

Vogliamo insieme lavorare e la comunicazione, l’informazione, la rete, sono decisive. Con cinque principali direttrici.

  1. Verso l’interno e l’organizzazione. Uncem deve rafforzare, con le sue Delegazioni, la presenza istituzionale in molte Regioni italiane, ampliando la rete e i rapporti con tutte le componenti del sistema istituzionale. È decisivo il dialogo, grazie anche a nuovi strumenti social, tra amministratori. Una revisione statutaria entro il 2020 deve consentire presenza efficace e snella sui territori e al centro.
  2. Verso gli enti associati. Gli enti territoriali, in particolare i piccoli comuni, i soggetti istituzionali delle aree montane, le forme aggregative, hanno necessità di un costante e diretto rapporto con il loro sindacato. L’associazione deve essere capace di anticipare necessità e cogliere fino in fondo le istanze dei territori.
  3. Verso il Governo e il Parlamento. Un rapporto costante con Ministri, Sottosegretari e Parlamentari, strutture dei dicasteri, partiti, per poter portare idee, proposte, opportunità, raccogliere sfide e decisioni, analizzarle. Uncem ha nella Conferenza unificata e negli altri strumenti di partecipazione e concertazione i luoghi istituzionali naturali ove aprire dialoghi nel merito e sui contenuti.
  4. Verso associazioni e istituzioni dei mondi economici e sociali. Uncem deve parlare con tutti i mondi sociali ed economici, con le aggregazioni delle imprese, i sindacati, le associazioni che rappresentano l’imprenditoria, con le università e i centri di ricerca.
  5. Verso i media. La presenza costante su giornali, tv, siti web di informazione, social network non è solo una necessità istituzionale. È il modo stesso con il quale Uncem organizza il capillare dialogo e l’ascolto, la dimensione territoriale, la capacità di capire e interpretare pezzi di realtà che cambia. I media sono luogo di scambio, interazione. Uncem li ha scelti, ha avuto spazi e ha dato notizie e informazione. Uno scambio prezioso che deve crescere.

In conclusione, Uncem può costruire un futuro di vera e autorevole rappresentanza per tutto il territorio montano se riesce da oggi a costruire un percorso virtuoso di inclusione, condivisione di idee, di animazione e formazione verso le classi dirigenti dei territori.

Un percorso che può vedere nell’autunno 2018 la convocazione di una conferenza programmatica (se utile e necessario, distinte su più aree geografiche), piuttosto che di un’iniziativa (o più iniziative) nella quale definire un valido e stabile percorso istituzionale – aperto sull’Italia e sull’Europa – per i prossimi anni di impegno.

di Marco Bussone, presidente Uncem

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here