Guida Pratica | Conservazione

Genova: per Villa Cattaneo Imperiale materiali com’era in uso nel primo ‘900

Interventi di pulitura e integrazione all’interno dei lavori di restauro di uno dei ninfei di villa Cattaneo Imperiale a Genova.

Il complesso di villa Cattaneo Imperiale, ubicato sul versante meridionale della collina in località Terralba, comprende due ninfei di diversa tipologia e di differente cronologia: l’uno a grotta artificiale con prospetto a serliana, ubicato nel terrazzamento inferiore rispetto al palazzo, l’altro con paramento esterno a tre fornici, a monte dello stesso.
Il primo, databile al 1540, rispetta la logica della sistemazione del parco come giardino all’italiana, che adattava l’andamento scosceso del terreno, in origine coltivo, a valle dell’edificio, al disegno rinascimentale impostato sulla geometria dei terrazzamenti, con l’assialità dei percorsi e simmetrie compositive.
Il secondo si inserisce in una trasformazione del giardino con una fisionomia più naturalistica e spontanea, con viali e tornanti e spazi erbosi più ampi, che accolgono nuove essenze ad alto fusto, secondo il gusto del giardino paesistico di fine Ottocento. L’intervento di restauro che viene descritto in questa scheda riguarda l’intervento sul secondo ninfeo.

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Descrizione del ninfeo. Il ninfeo a monte del palazzo è parte di un lavoro di sistemazione voluto da Cesare Imperiale nel 1909, che conferisce al parco, saliente a collina, un nuovo assetto impostato, però, nuovamente secondo un logica rinascimentale con la simmetria delle rampe e la collocazione del ninfeo in asse con l’ingresso posteriore della villa. Si tratta di un’interpretazione rinnovata ed eclettica del giardino all’italiana, con le quattro erme maschili alternate ai tre fornici. La struttura del giardino a nord dell’edificio è impostata su tre livelli: quello inferiore, corrispondente al fronte del ninfeo; quello mediano, a ridosso del muraglione del terrazzamento, con la fontana e le due erme laterali in marmo; quello superiore, che sale dalla sommità della collina con lo scalone scenografico, dove sono collocate due statue distese, l’una femminile a destra, l’altra maschile a sinistra.

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I materiali utilizzati. Nel prospetto del ninfeo vi sono tre nicchie: due laterali minori, con due statue femminili a tutto tondo e una centrale maggiore, versione semplificata della grotta naturale, con rivestimento di rocce spugnose e stalattiti naturali appese, che include una vasca in marmo a catino, con piedistallo fitomorfo a zampa leonina e una vasca sospesa in pietra di Finale.
Entrambi gli elementi sono di probabile reimpiego. Le erme maschili, alternate agli archi presentano, nella parte inferiore scanalata e rastremata verso il basso, volti umani, con nastri e festoni simmetrici a ghirlanda.
Nella realizzazione di questo complesso sono state sperimentate soluzioni tecniche innovative che, in alcuni casi si sono rilevate inefficaci e anzi hanno contribuito al degrado precoce, come testimoniava lo stato conservativo precedente il restauro.
Nell’esperienza culturale e costruttiva del primo Novecento, costituiva una modalità operativa innovativa l’utilizzo di elementi «di getto», che consentiva d’ottenere forme plastiche e fortemente aggettanti, realizzate, attraverso appositi stampi in gesso, per lo più «a banco», in bottega e non più in situ che venivano, poi inseriti, in un secondo momento, con l’ausilio di grappe metalliche e malte d’allettamento sulle superfici di supporto.
A questo si deve aggiungere l’utilizzo di una malta porosa, probabilmente per ottenere particolari effetti scenici. All’impiego di malta cementizia si affianca quello della «pietra artificiale», un conglomerato di malta e frammenti di pietre naturali di varia composizione minerale, con proprie caratteristiche fisiche sia in termini di resistenza meccanica e reazione ai fattori ambientali, sia per aspetto e proprietà cromatiche.

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Le cause di degrado sono in prevalenza connesse alla natura stessa del luogo; in particolare l’ubicazione del ninfeo contro il terrapieno causa infiltrazioni d’acqua e una presenza costante d’umidità. Inoltre l’impiego di materiali ad alta porosità rende gli stessi vulnerabili all’azione degli agenti atmosferici.
I fenomeni di degrado più diffusi sono la formazione le efflorescenze saline (dovute alla migrazione dei sali in superficie), le patine biologiche, i muschi e la presenza di piante superiori. La reazione degli agenti atmosferici inquinanti con il carbonato di calcio presente nel materiale costitutivo ha favorito la formazione di crosta nera.
In diverse parti sono state rilevate concrezioni calcaree. Altre forme di degrado evidenti sul manufatto, sono legate al dilavamento causato dalle acque meteoriche che, unito, all’azione del vento, provoca erosione, abrasione, alveolizzazione, esfoliazione delle superfici. Gli inerti a granulometria più fine e in parte anche il legante, vengono spesso asportati dall’acqua piovana e dal vento, mettendo a nudo la graniglia di granulometria maggiore che emerge dal conglomerato causando la perdita di omogeneità superficiale.
Sono presenti inoltre fessurazioni sulle superfici, e in presenza di armature metalliche, ossidate per infiltrazione d’acqua, con conseguenti fenomeni di corrosione delle strutture stesse, aumenti di volume e ulteriore disgregazione del copriferro. Mancanze di materiale si manifestano in diversi punti soprattutto a danno dello strato più esterno del rivestimento, che perde coesione rispetto al nucleo interno, con conseguente distacco e perdita di materiale; si notano inoltre frequenti discontinuità in corrispondenza dei giunti di malta, soggetti a disgregazione, con la conseguente perdita di coesione dal supporto di alcune parti. Diverse anche le mancanze di parti di elementi da attribuire ad atti vandalici. Altri problemi di degrado riguardano i perni in legno interni agli elementi d’ornato, in alcuni casi, non più adeguati alla loro funzione.

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Le operazioni di restauro. Le fasi operative dell’intervento si sono articolate secondo lo schema di seguito esposto: preconsolidamento, pulitura, consolidamento, stuccatura, integrazione. Preconsolidamento, l’operazione è stata condotta solo su alcune superfici soggette a distacchi e fessurazioni, per preservare queste zone da danni che si sarebbero potuti avere durante la pulitura e per evitare il progredire del fenomeno. Sono state effettuate iniezioni a base d’acqua e resina acrilica in emulsione. Disinfestazione, applicazione di diserbante e conseguente asportazione meccanica per le piante infestanti superiori; applicazione di biocida a base d’ipoclorito di sodio al 5/100, per la rimozione di muschi e patine biologiche. Pulitura, una prima fase di prove ha consentito la scelta dei metodi più idonei da adottare. Pulitura da crosta nera, sono stati effettuati impacchi decalcificanti di carbonato d’ammonio in soluzione acquosa, applicati con polpa di cellulosa. Tali metodi sono stati integrati da pulitura meccanica, utilizzando spazzole, bisturi e pietra pomice. Pulitura su depositi parzialmente incoerenti, è stata effettuata, inoltre, la pulitura con acqua nebulizzata per rimuovere depositi superficiali parzialmente incoerenti.

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Rimozione di strato superficiale, l’asportazione di uno strato di finitura superficiale in precarie condizioni, composto da malta idraulica, forse applicato in un intervento successivo, ha permesso di accertare la natura del materiale di composizione delle stesse statue. Infatti da un primo esame esse sembravano costituite da pietra naturale, mentre l’analisi mineralogica petrografica di un campione ha evidenziato la presenza di calcite e gesso.
Ciò potrebbe indicare una manifattura in pietra artificiale, ossia un conglomerato a base di malta e frammenti di pietra calcarea di Finale, com’era in uso ai primi del Novecento.

Consolidamento, l’operazione si è svolta in due diverse fasi:
– iniezioni di malta idraulica additivata con fluidificanti, in corrispondenza di parti soggette a perdita di coesione dal supporto
– inserimento di perni in acciaio, tali perni sono stati usati per collegare diversi elementi: la testa della statua di sinistra, che presentava una fessurazione profonda alla base e conseguente instabilità, è stata rimossa forata con il trapano e fornita di un nuovo perno in sostituzione dell’originario in legno; nella statua di destra, è stato sufficiente l’inserimento di un perno a metà del collo in posizione inclinata per raggiungere lo strato più solido alla base della testa; infine sulle erme (ciascuna delle quali presentava una piccola area di discontinuità, ossia di distacco dalla superficie della lesena a causa della disgregazione del giunto in malta) si è eseguito un foro in ogni spalla per accogliere un perno che raggiungesse il supporto murario, anche con l’ausilio di un tassello chimico iniettato per il fissaggio della barra in acciaio.

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Stuccatura, fase di risarcimento delle aree soggette a fessurazioni, cavillature, discontinuità superficiali, eseguita con un impasto di calce idraulica, polvere di marmo e acqua, pigmentato con terre naturali, per rendere le stuccature più simili alle originarie. Integrazione, ricostruzione di parti consistenti del modellato nelle figure delle erme e nelle finte rocce che rivestono la nicchia centrale. Sono stati completati i mascheroni dei basamenti delle erme laterali ed eseguito il calco di due mediani mancanti: lo stampo della forma si è realizzato in gomma siliconica catalizzata, si è impiegata una malta composta da calce idraulica, polvere di marmo, acqua e resina acrilica. Un’altra consistente operazione di integrazione ha interessato le statue distese del livello superiore, dove la presenza di armature ossidate aveva disgregato il materiale e fratturato intere parti della figura femminile, a destra dello scalone centrale. Si è effettuato il trattamento dei ferri con un convertitore di ruggine, per poter integrare le mancanze prima con malta di calce idraulica e sabbia di granulometria maggiore, e successivamente con calce e polvere di marmo per le finiture superficiali.

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L’intervento si è concluso con l’integrazione pittorica, preceduta da uno schema grafico di studio che ha collegato le informazioni dedotte dalla materia dell’opera e quelle lette dalla documentazione fotografica d’archivio in un unico elaborato, erano state infatti rinvenute tracce di colore sulle superfici che nel restauro si sono volute riproporre. Protezione, applicazione d’idrorepellente eseguita con erogatore a bassa pressione, avendo cura di non impregnare oltre misura le superfici.

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Riflessioni a margine dell’esperienza. Una considerazione che può essere fatta a riguardo dell’elemento descritto, è quella sul suo stato di degrado. Lo stato di conservazione, infatti, risultava più precario dell’altro ninfeo della villa anche se questo è più recente in quanto realizzato nel XX secolo. La ragione, come già riportato, in buona parte è legata all’utilizzo di materiali e tecniche innovative, probabilmente non sperimentate adeguatamente per contesti come quello descritto. Elementi inseriti in contesti di villa urbana, a contatto continuo e diretto con l’acqua ma anche con inquinanti atmosferici, infatti, comportano una vulnerabilità particolare. A questo, spesso, si deve aggiungere la mancata manutenzione che pregiudica la conservazione della materia. Una seconda riflessione che si può fare riguarda l’integrazione parziale o totale di elementi in un complesso degradato. L’integrazione delle parti mancanti è un problema delicato che è giusto non dare per scontato e che deve essere sempre accompagnata, come nel caso esaminato, da un’attenta riflessione sull’opportunità, sui modi e sull’eventuale estensione dell’integrazione. Non sempre integrare è la soluzione più opportuna, anche quando vi sono elementi seriali e ripetitivi. La stessa operazione di calco deve essere eseguita con perizia. È auspicabile comunque, nel rispetto dell’autenticità della materia, adottare opportuni accorgimenti per rendere comunque riconoscibile l’elemento ricomposto.

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