Costruire in laterizio | Fabrizio Caròla

Materiali e tecnologie adattive

L’adattamento tra organismo e ambiente ci fornisce, per analogia, una chiave di lettura delle interazioni che le opere di Caròla stabiliscono con i luoghi. La tecnica alla quale Caròla ricorre si fonda sull’uso del compasso.

(Cil 173) In etologia il comportamento adattivo è la strategia che genera l’evoluzione di una specie in risposta a modificate condizioni ambientali. Gli adattamenti possono essere letti diacronicamente come cambiamento di un fattore ecologico e sincronicamente come raggiungimento di un ‘nuovo’ equilibrio tra organismo e ambiente.

Possono quindi essere la risposta a cambiamenti fenotipici, comportamentali, o il risultato di cambiamenti genotipici più profondi. L’esperienza comune ci suggerisce che l’adattamento implica sempre una pre-condizione, uno stato preesistente. Il passaggio-evoluzione di una specie da una ‘nicchia ecologica’ a un’altra comporta anche la mutazione di alcuni caratteri morfologici, affinché essi risultino più rispondenti alle nuove necessità-funzioni emergenti [1].

Uno dei compassi impiegati nella costruzione dell’Ospedale di Kaédi in Mauritania.

I meccanismi di ‘adattamento’ tra organismo e ambiente ci forniscono, per analogia, una possibile chiave interpretativa delle interazioni che le opere di Fabrizio Caròla stabiliscono con i luoghi in cui esse ricadono, luoghi densi di significato e caratterizzati da una ‘natura dominante’ [2, 3, 4]. Le relazioni tra materiali, tecnologie costruttive e luogo in Caròla sono mediate da un ‘adattamento evolutivo’, sono il frutto di una cultura materiale stratificatasi nel corso di millenni: un lento e progressivo ‘dialogo’ tra uomo e ambiente.

Il compasso

La tecnica alla quale Caròla ricorre si fonda sull’uso del ‘compasso’, strumento recuperato dalla tradizione nubiana, già utilizzato negli anni ‘40 del secolo scorso dall’architetto egiziano Hassan Fathy per la realizzazione del villaggio di Gourna a Tebe. Una tecnica che Caròla evolve sul piano delle possibilità espressive-figurative e che dopo quarant’anni di sperimentazioni non ha esaurito ancora la sua spinta innovativa [5].

Cantiere della Moschea di Gao.

La Cupola

La possibilità di costruire strutture autoportanti senza l’ausilio di opere provvisionali, la indisponibilità del legno e la presenza in sito di materiali naturali come pietra e argilla sono i presupposti da cui si genera il lavoro di Caròla. Una scelta che prima ancora di avere un carattere tecnologico-costruttivo è legata all’uso consapevole di risorse locali, alla possibilità di ‘dialogare’ con il luogo, al tentativo di rielaborare la ‘lezione’ della tradizione[6].

La terra nelle sue diverse declinazioni è il materiale da costruzione privilegiato, un materiale che Caròla ‘plasma’ come uno scultore: quello dell’architetto è un gesto e non un’operazione. È un gesto come quello del direttore d’orchestra. La curva è un gesto e non un’operazione (1), ama sovente ricordarmi. La curva declinata come cupola a tutto sesto o a ogiva e le possibili relazioni di queste a formare un repertorio di possibilità combinatorie è la cifra distintiva delle opere di Caròla.

Moschea di Gao: disegni di progetto.

La svolta

L’ospedale regionale di Kaédi in Mauritania del 1981 è l’opera della svolta: il passaggio dalla cupola a tutto sesto a quella a ogiva avviene sia per ‘assecondare’ i movimenti di chi le abita sia per migliorare la ventilazione naturale interna. Pur applicando ricorrenti schemi distributivi: un’organizzazione polare delle funzioni, grandi porticati, la piazza interna come focus, Caròla amplia la gamma di soluzioni.

Le sua ricerca è condotta all’interno di uno spazio di possibilità ancorato ai dati di progetto [7]. Nessun arbitrio: ogni volta che inizio un nuovo lavoro azzero la mia memoria. Il materiale, le condizioni del sito, le esigenze delle popolazioni, il dialogo con gli artigiani, l’osservazione delle abitudini sono i parametri su cui ‘costruisco’ la proposta.

La complessità formale e costruttiva è governata da un metodo di lavoro rigoroso. La forma è il portato di uno strumento ‘magico’: è il compasso che mi suggerisce cosa fare. Uno strumento del quale Caròla ha nel tempo codificato le ‘regole generative’.
Il suo non è un esercizio di stile ma un’azione di riduzione della complessità.

In quest’azione, dando corpo e significato a un’idea di architettura come spazio primario, recupera un patrimonio di pratiche, di segni, di archetipi costruttivi, di materiali e tecnologie della tradizione africana. Le sue architetture aspirano a rivelarci l’essenza di un luogo.

Ospedale di Kaèdi: estradosso delle cupole.

I materiali cui ricorre sono quelli che meglio rispondono alle condizioni climatiche estreme in cui opera. Un convincimento frutto dell’esperienza diretta, favorito dall’incontro con Hassan Fathy a Parigi negli anni ‘80 e dalla lunga collaborazione con l’Adaua – Association puor le Developpe naturel d’une Architecture et d’Urbanisme Africain.

È grazie all’Adaua che Caròla ‘incontra’ il compasso. Se Fathy ricorre alla cupola come elemento di copertura Caròla la declina come ‘sistema’: risolve struttura, involucro e copertura senza soluzione di continuità. Fathy costruisce cupole autoportanti utilizzando il compasso ad un solo fuoco, un’asta al centro dello spazio determina la posizione dei singoli conci della cupola: una semisfera ottenuta come solido di rotazione.

Ospedale di Kaèdi: pianta di progetto della camera di degenza a 12 letti e vista esterna del Padiglione.

 

Ospedale di Kaèdi: grafico di progetto.

Caròla durante la sua permanenza in Africa ha vissuto dentro edifici di questo tipo realizzati dall’Adaua, ha fatto esperienza diretta di questi spazi che considera ancora troppo angusti. In Africa ho vissuto a lungo entro cupole a tutto sesto. Le trovavo troppo oppressive e poco adatte ad accogliere la vita. Sono passato all’ogiva per ottimizzare lo spazio, rendere più fluidi i movimenti all’interno e migliorare la ventilazione naturale. Modifica il compasso tradizionale, introduce due parametri che generano nuove forme: solleva il piano d’imposta del ‘compasso’ (in genere 80-100 cm) ottenendo uno sviluppo della superficie oltre il piano di mezzeria; introduce un secondo ‘fuoco’, passa dalla geometria a singolo fuoco a quella a doppio fuoco, cosa che gli consente di transitare dalla cupola semisferica a quella ogivale. A partire da questi due ‘parametri’ Caròla compone un ‘vocabolario strutturale’, una gamma di combinazioni possibili ottenute dall’intersezione di singole cupole. Soluzioni che in ossequio alla sua natura dissacratoria ironicamente definisce ‘a zucca’, ‘a goccia’, ‘a limone’, ‘a brioche’ (2).

Ospedale di Kaèdi: vista esterna.

Il metodo di lavoro

Interessante anche il metodo di lavoro [8]. I molti anni passati in Africa hanno ridotto i suoi ‘strumenti’ all’essenziale. Tutte le opere sono state progettate utilizzando fogli di carta quadrettata, una matita, un compasso e due squadre. Le sue sono rigorose costruzioni geometriche e il reticolo di base è la struttura ordinatrice, che tuttavia non lo imprigiona in schemi rigidi.

Le sue architetture sono connotate da una pianta disarticolata. L’ospedale regionale di Kaédi n’è la dimostrazione più evidente. La pianta è esplosa in una struttura ‘a grappolo’, le singole funzioni sono accolte entro volumi che si riconnettono per il tramite di elaborati percorsi di collegamento. L’ospedale nella sua distribuzione planimetrica propone Un’organizzazione degli spazi aderente alle necessità e ai costumi delle popolazioni locali, secondo una tipologia che non era mai stata utilizzata prima. Una soluzione messa a punto attraverso il dialogo con i medici, che avevano evidenziato i benefici effetti della presenza di familiari sui pazienti.

Ne consegue l’ipotesi di strutture di accoglienza dotate di un doppio affaccio, verso l’interno con l’ospedale e verso il giardino dove i familiari potevano soggiornare ed accamparsi. La presenza abbondante in sito di argilla di ottima qualità, fu l’elemento che spinse Caròla a optare per una struttura in mattoni, prodotti direttamente in sito: due forni alimentati con pula di riso, abbondante in loco, resero possibile la produzione di 2.500.000 mattoni, con una positiva ricaduta sulla economia locale: il 75% delle risorse utilizzate sono state investite in sito.

Mercato degli Erboristi a Medina, 1994. Vista dall’esterno.

L’Ospedale di Kaédi pur essendo la prima opera nella quale Caròla utilizza compiutamente la tecnica del compasso, la possiamo considerare l’opera della maturità. Una consapevolezza che si consolida in un gruppo di opere successive, due fra tutte: il Mercato degli Erboristi nel quartiere Médina del 1994  e il Centro Regionale di Medicina Tradizionale di Bandiagara del 1991.

Nella prima il focus è rappresentato dalla piazza, introno alla quale si distribuiscono le cupole-botteghe. La grande cupola  centrale, sostenuta da dieci cupole ogivali di base, manifesta una straordinaria leggerezza, sensazione incrementata dalla soluzione merlata dell’anello di coronamento. Se a Médina il tema è la leggerezza a Bandiagara è la pietra e la sua potenza massiva a esprimersi.

Questo senso di potenza e di ‘forza arcaica’ della pietra Caròla lo ripropone anche nel progetto dell’Hotel ristorante Le Chaval Blanc sempre a Bandiagara, dove la leggerezza della grande cupola in laterizio della Hall dialoga con la massività-gravità delle cupole in pietra degli alloggi per gli ospiti.

Volevo una vita vera e l’ho avuta. Ho avuto molto e ora sento il bisogno di restituire. È questa, a mio giudizio, la frase rivelatrice della natura di Fabrizio Caròla, una natura che lo ha portato a scegliere un percorso di vita e professionale meno agevole di quello che avrebbe potuto avere con poca fatica restando in Italia.

Invece, ha scelto una strada più faticosa. La stessa che con ostinata convinzione lo ha condotto a fondare nel 1987 l’Associazione N:EA (Associazione Napoli, Europa, Africa) perché solo attraverso il dialogo e il confronto si può immaginare e realizzare ‘un futuro possibile’.

Centro Regionale di Medicina Tradizionale di Bandiagara, 1991: vista esterna del centro.

Quel futuro che sta cercando di ‘costruire’ a San Potito Sannitico, un piccolo paese in provincia di Caserta dove ha in corso di ultimazione il progetto di una scuola materna con annessa biblioteca e auditorium.

La struttura fa parte di un complesso scolastico più ampio pianificato dall’amministrazione comunale che a breve sarà inaugurato. San Potito Sannitico è anche il luogo dove annualmente Caròla tiene i suoi corsi, è il luogo scelto da questo giovane maestro di 86 anni intorno al quale una piccola comunità di architetti si è in questi anni raccolta per apprendere una ‘diversa’ via all’architettura.

Le ChavalBlanc, Bandiagara: grafico di progetto.

Per Fabrizio la costruzione o l’edificazione di cupole per abitare è solo la metafora di un diverso modo di stare al mondo e questa piccola scuola in corso di ultimazione lo segnala: unica in termini di distribuzione delle funzioni, tecnologie costruttive, esiti figurativi. La scuola sarà un elegante stimolo alla ‘diversità’, un luogo dove nuove generazioni di bambini potranno apprendere ed espandere le proprie emozioni [9, 10, 11].

di Luigi Alini professore associato, Dipartimento Dicar,

Università degli Studi di Catania

Note

1. Tutte le citazioni riportate senza citare la fonte si riferiscono a dichiarazioni resemi da Caròla in diverse conversazioni.
2. Si tratta di soluzioni ottenute dall’intersezione di due o tre cupole, realizzate mediante l’uso contemporaneo di più compassi Fonti delle illustrazioni Archivio Fabrizio.

Riferimenti Bibliografici

[1] D’Arcy Thompson, Crescita e forma, Universale Bollati Boringhieri, Torino,1992
[2] M. H.Contal, Sustainable Design: Towards a New Ethic in Architecture and Town Planning, Birkhäuser, Basel, 2009.
[3] C. C. Davidson, I.Serageldin, Architecture beyond architecture: creativity and social transformations in Islamic cultures: the 1995 Aga Khan Award for Architecture, Academy Editions, London, 1995.
[4] P. Portoghesi, Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità, Skirà, Milano, 2005.
[5] L.Alini, a cura di, Cupole per abitare. Un omaggio a Fabrizio Caròla, Libellula, Tricase (LE), 2012.
[6] E. Sicignano, F.Caròla. Tra tradizione e modernità, in Costruire in Laterizio, 32, marzo-aprile, 2000.
[7] L.Alini, Fabrizio Caròla. Progetti e opere 1954-2016, Clean, Napoli, 2016.
[8] L.Alini, Quarantotto domande a Fabrizio Caròla, Clean, Napoli, 2016.
[9] F.Caròla, Vivendo, pensando, facendo, Intra Moenia, Napoli, 2004.
[10] F.Caròla, Villaggio per sperimentare una ipotesi di futuro, a cura di F.Verderosa, Intra Moenia, Napoli, 2003.
[11] R. Gamba, Cantiere sperimentale della cupola spiraliforme a Forio d’Ischia, in Costruire in Laterizio, c166, marzo 2016.

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