Punti di vista | Ing. Ennio Casagrande

Nuovo Codice appalti: il tormentato percorso della validazione delle strutture

La validazione strutturale deve passare necessariamente per il concetto di appaltabilità, termine introdotto nel nuovo Codice degli Appalti. In una piccola frase cogente sono in realtà racchiusi un’infinità di altri concetti base.
Ing. Ennio Casagrande | Libero professionista e autore di diverse pubblicazioni, si occupa di progettazione strutturale, rischio sismico, cantieristica e collabora attivamente con la società Casagrande Costruzioni Edili.
Ing. Ennio Casagrande | Libero professionista e autore di diverse pubblicazioni, si occupa di progettazione strutturale, rischio sismico, cantieristica e collabora attivamente con la società Casagrande Costruzioni Edili.

Art. 26 | Verifica preventiva della progettazione

  1. La stazione appaltante, nei contratti relativi a lavori, verifica la rispondenza degli elaborati e la loro conformità alla normativa vigente.
  1. La verifica di cui al comma 1 ha luogo prima dell’inizio delle procedure di affidamento.
  2. Al fine di accertare l’unità progettuale, i soggetti di cui al comma 6, prima dell’approvazione e in contraddittorio con il progettista, verificano la conformità del progetto esecutivo o definitivo rispettivamente, al progetto definitivo o al progetto di fattibilità. Al contraddittorio partecipa anche il progettista autore del progetto posto a base della gara, che si esprime in ordine a tale conformità.
  1. La verifica accerta in particolare:
    a) la completezza della progettazione;
    b) la coerenza e completezza del quadro economico in tutti i suoi aspetti;
    c) l’appaltabilità della soluzione progettuale prescelta;
    d) presupposti per la durabilità dell’opera nel tempo;
    e) la minimizzazione dei rischi di introduzione di varianti e di contenzioso;
    f) la possibilità di ultimazione dell’opera entro i termini previsti;
    g) la sicurezza delle maestranze e degli utilizzatori;
    h) l’adeguatezza dei prezzi unitari utilizzati;
    i) la manutenibilità delle opere, ove richiesta.

[omissis]
Estratto dell’art. 26 del nuovo Codice degli Appalti con evidenziati i concetti chiave di validazione.

Appaltabilità

Nel nuovo scenario che si sta delineando nell’ambito dei lavori pubblici, il nuovo Codice degli Appalti, al comma 4 dell’art. 26 introduce un nuovo concetto, il quale, prevede di verificare «l’appaltabilità della soluzione progettuale prescelta».

A primo acchito la prescrizione sembra essere strana e concettualmente già espressa in norme e circolari precedenti con altre forme. Eppure in una piccola frase cogente come quella riportata nel succitato comma, sono racchiusi un’infinità di altri concetti base.

Innanzitutto è bene chiarire cosa s’intende con il termine appaltabilità. È consuetudine comprovata come durante la fase di progettazione ci sia un ampio sfogo delle fantasie architettoniche a cui devono essere, in un secondo momento, abbinate soluzioni tecniche più o meno complesse.

Concluso il progetto, si procede alla verifica dello stesso e alla sua validazione la quale, sostanzialmente, si basa sul rispetto di una notevole quantità di normative tecniche, linee guida e ricerche. Tale iter, come ben sappiamo, si conclude con una validazione teorica dell’opera da appaltare per la quale, ahimè, non possiamo avere l’assoluta certezza della sua fattibilità.

Quando si progetta una nuova struttura oppure l’adeguamento di un’esistente, si tende a soffermarsi più sui problemi tecnico-normativi che sugli aspetti costruttivi in fase di realizzazione.

Questo iter procedurale si è dilatato fino a ora con conseguenze pesanti sia in termini economici sia in termini sociali: ponti, edifici futuristici con un certo importo a base d’asta, durante le fasi costruttive, sono stati oggetto di svariate controversie tra la parte realizzativa e la parte progettuale.

Risultato? Cause legali che si protraggono per anni, cantieri bloccati e soldi pubblici sperperati senza restituire quel miglioramento sociale tanto pubblicizzato in precedenza.

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Per superare queste difficoltà, nei punti riportati nel comma 4 dell’art. 26 del Codice in questione, non solo si fa riferimento al requisito di appaltabilità, che già da solo potrebbe essere esauriente, ma si ribadisce che la verifica deve essere tale da permettere la minimizzazione di varianti e contestazioni, la possibilità di ultimare i lavori in tempo, garantire la sicurezza dei lavoratori e una concorrenza leale in fase di gara.

È chiaro, quindi, come il requisito di appaltabilità sia un processo tecnico-mentale in cui il progettista risulta essere una pedina fondamentale dell’intero iter procedurale.

In modo del tutto semplicistico, l’appaltabilità cerca di riportarci a quello che era il pensiero negli anni passati: il progettista concepiva sì un’opera tecnicamente efficiente, ma con uno sguardo alla sua possibilità e potenzialità realizzativa.

In effetti progettare un edificio pubblico esteticamente avveniristico può essere una buona base di partenza; tutto però dovrebbe essere correlato con la possibilità di realizzare materialmente l’opera.

Questo è un aspetto spesso (anzi quasi sempre) sottovalutato o snobbato; tuttavia, progettare in modo appaltabile vuol dire mettere in condizioni sia l’appaltatore di realizzare l’opera in tempi prestabiliti e all’interno di un determinato budget, sia la stazione appaltante di vedere realizzato il progetto previsto.

In tale ambito, però, esiste un punto debole rappresentato dall’offerta economicamente più vantaggiosa. Infatti, se un progetto può essere appaltabile, significa che in sede di progettazione è stata condotta obbligatoriamente un’analisi completa sulle metodologie e sulle modalità di esecuzione dei lavori; gli attori facenti parte della stazione appaltante, potrebbero individuare in modo chiaro le offerte anomale.

Ciò però non avviene, in quanto vige la regola pratica del ribasso d’asta. Detto ciò, sembrerebbe, quindi, che il concetto di appaltabilità porterebbe a una minore possibilità di costruire con una certa libertà architettonica di pensiero.

Ovviamente, non è proprio così. L’applicazione diretta dei punti della nuova norma, porta a una sensibilizzazione degli aspetti precari che, negli ultimi decenni, hanno affollato il sistema lavori pubblici.

È vero che nel sistema classico in cui vige un pensiero standardizzato costante, un’inversione di tendenza non può essere facile. Ma anche in questo ambito, il nuovo Codice, introduce un’innovazione importante: il Bim. All’art.23 comma 1 lettera h) si legge che «La progettazione in materia di lavori pubblici [omissis] è intesa ad assicurare: la razionalizzazione delle attività di progettazione e delle connesse verifiche attraverso il progressivo uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture».

Su cosa si intenda per Bim, ci viene in aiuto il comma 13 dell’articolo medesimo, il quale, afferma che «Tali strumenti utilizzano piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari, al fine di non limitare la concorrenza tra i fornitori di tecnologie e il coinvolgimento di specifiche progettualità tra i progettisti».

In termini pratici il Building Information Modeling è un modo di pensare e di agire che potremmo definire opensource, ovvero alla portata di tutti. In effetti, in modo pratico, il Bim può sostituire realmente le modalità operative consolidate fino a oggi fatte di blocchi stagni e rimandi al progetto architettonico, con un più filosofico e malleabile metodo in cui ogni singolo gruppo interviene simultaneamente nel progetto con l’unico obbiettivo di eliminare ogni singola criticità.

La differenza è indubbiamente evidente. Con il Bim qualsiasi attore facente parte dell’appalto viene coinvolto fin dal concept architettonico, in cui gli aspetti strutturali, impiantistici, di sicurezza, di realizzabilità possono essere valutati, in modo agevole, passo per passo. Il risultato è un modello concettuale di opera in cui ogni aspetto è ben studiato e conseguentemente può essere definito realizzabile con una determinata tecnologia e con un ben determinato range di costo.

In termini pratici, l’interoperabilità degli attori in gioco può eliminare, definitivamente, le contestazioni in sede di realizzazione: se il progetto viene concepito con tutti gli aspetti tecnico-organizzativi necessari a definire l’intera opera, la stazione appaltante potrebbe avere, definitivamente, un progetto appaltabile a un costo certo e con tempi di costruzione ben chiari.

In qualche modo risulta ben evidente che parlando di un appalto pubblico i classici termini preliminare, definitivo ed esecutivo, seppur nominati nel nuovo Codice, non hanno più tanto senso; l’applicazione del concetto Bim richiede una definizione parallela che va oltre la diversificazione dei livelli progettuali rei, fino a poco tempo fa, di essere troppo blandi e superficiali.

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A sinistra: Flusso di lavoro standardizzato utilizzato come prassi consolidata nell’ambito dei lavori pubblici. A destra flusso di lavoro applicando la metodologia Bim che può sostituire le modalità operative attuali con un metodo in cui ogni singolo interviene simultaneamente nel progetto con l’obbiettivo di eliminare le criticità.

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