Consiglio Nazionale Ingegneri

Perrini (Cni) al Senato: senza credito d’imposta gli obiettivi di efficientamento energetico sono a rischio

Sulla base delle valutazioni del centro studi del Cni il presidente degli ingegneri è dell'opinione che al momento non esistano reali alternative alle detrazioni fiscali sul reddito e che su quelle occorrerà insistere trovando un punto di equilibrio tra la quota di finanziamento pubblico e quella dei privati. 

Così il Presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri intervenuto in audizione presso la Commissione Ambiente, lavori pubblici del Senato: «senza l’effetto leva generato dall’intervento pubblico attraverso lo strumento del credito d’imposta è molto improbabile che nel prossimo futuro si riusciranno a centrare gli obiettivi di efficientamento energetico».

Sulla scorta delle elaborazioni del Centro Studi Cni, Perrini ha sottolineato come dal 2014 al 2021 l’utilizzo del credito d’imposta relativo all’Ecobonus ha garantito un risparmio energetico superiore a 10.000 Gwh/anno.

L’introduzione nel 2020 del Superbonus 110%, sia per interventi per il risparmio energetico che per interventi di contrasto al rischio sismico, ha determinato il rapido cambiamento di scenario.

È sufficiente ricordare che da agosto 2020 (con l’introduzione delle norme istitutive dei Superbonus) a dicembre 2022 gli investimenti in Superecobonus 110% si sono attestati a ben 62,4 miliardi di euro e hanno generato un  risparmio energetico vicino ai 900 milioni di metri cubi standard di gas, il 32% del risparmio energetico pianificato per fare fronte alla crisi in atto, per la stagione invernale 2022-2023.

«L’esperienza maturata – ha affermato Perrini – ci obbliga a trovare un punto di equilibrio tra la quota di finanziamento pubblico e quella dei privati. Se è vero che le detrazioni fiscali al 110% non potevano funzionare a lungo, è altrettanto vero che occorre trovare una quota di detrazione che preveda la compartecipazione del singolo proprietario di immobile per una quota minima indispensabile.

Tenendo conto dei nuovi obblighi che l’Unione Europea imporrà con la Direttiva sul risparmio energetico degli edifici, l’Italia deve sin da ora pensare ad incentivi, ad esempio al 90%, duraturi nel tempo, validi per almeno 15 o 20 anni che consentano ad una platea estremamente ampia e difforme di proprietari di immobili di programmare la fattibilità soprattutto finanziaria dei singoli interventi.

In questo senso, il credito di imposta risulta uno strumento efficace perché consente di raggiungere degli obiettivi di rilevanza sociale, quali il risparmio energetico ed il risanamento delle strutture più energivore, innescando effetti espansivi della domanda aggregata, dell’occupazione, oltre ad un circolo virtuoso che consente di abbattere una parte del disavanzo generato dalla spesa sostenuta dallo Stato. Certo, è necessario evitare che gli interventi di ristrutturazione inneschino fenomeni inflattivi sui prezzi dei materiali da costruzione, sulle opere e sui servizi connessi. Proprio a questo serve un piano di intervento di lungo periodo che, facendo leva sulle detrazioni fiscali, consenta di diluire nel tempo gli interventi».

Francesco Estrafallaces | Centro Studi Cni

«Nella valutazione di questi strumenti ci si sofferma troppo sull’ammontare degli investimenti, sottovalutando le ricadute positive per la collettività. Sempre secondo le nostre stime, infatti, la spesa di 62,4 miliardi di euro attivata nel periodo 2020-2022 dal Superecobonus 110%, ha generato un valore aggiunto nel comparto delle costruzioni e dei servizi tecnici connessi pari all’1% del Pil e coinvolto oltre 1 milione di occupati. Nel solo 2022 il contributo, in termini di valore aggiunto, alla formazione del Pil è stato dell’1,4%. Inoltre, non si è dato sufficiente peso alle cifre relative al gettito fiscale derivante da opere di ristrutturazione e alla capacità di questi incentivi di rifondere una quota rilevante di spesa sostenuta dallo Stato. Il Centro Studi Cni calcola che nel periodo 2020-2022 il gettito sia stato pari a 25,9 miliardi di euro, portando il costo effettivo a carico dello Stato da 68,7 miliardi a 42,7 miliardi di euro da ripartire in cinque anni».

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