Video_intervista | Arch. Enzo Ranieri, Milano

Progettare e costruire nel nuovo ciclo edilizio

«Una ripresa del settore può avvenire solo attuando processi innovativi con il concorso di tutti gli attori coinvolti. Anche se architettura e urbanistica devono porsi maggiormente in rapporto con il passato, costituire un elemento di certezza in un mondo in incessante trasformazione, dare qualche punto fermo a un'umanità frantumata e insicura del futuro».

Imprese Edili ha incontrato l’architetto Enzo Ranieri per parlare di….

Congiuntura economica

La crisi dell’ultimo decennio ha colpito in particolare il settore delle costruzioni causando la chiusura di molte imprese anche di medie e grandi dimensioni.

Ragioni

  • Crisi economica generale;
  • Drastica riduzione degli investimenti pubblici e ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni in conseguenza del patto di stabilità;
  • Eccesso di offerta per quanto riguarda l’edilizia residenziale, terziaria, commerciale e case di vacanza;
  • Ritardi delle imprese nell’adeguarsi alle nuove condizioni di mercato: risparmio energetico, rinnovamento tecnologico, offerta di edilizia di qualità nel terziario avanzato e del residenziale, edilizia economica, modifiche legislative e normative;
  • Vincoli burocratici ancora molto pesanti nonostante le riforme attuate e le dichiarazioni di voler attuare una semplificazione delle procedure da parte dei vari governi che si sono succeduti.

Prospettive

Una ripresa del settore può avvenire solo attuando processi innovativi con il concorso di tutti gli attori coinvolti:

  • Piani d’investimenti pubblici per nuove opere e piani di manutenzione e adeguamento nel campo delle grandi infrastrutture (viabilità, ferrovie, nodi di interscambio, porti e aeroporti), nell’edilizia scolastica di ogni ordine e grado compresa quella universitaria, nelle strutture ospedaliere, centri di ricerca e d’incubazione di nuove imprese (start-up), case di riposo per anziani, edilizia popolare, riqualificazione urbana con particolare attenzione alle periferie, centri storici, aree industriali dismesse, cercando di utilizzare al meglio e completamente anche i finanziamenti europei e la collaborazione pubblico/privato. Attenzione andrebbe posta nel finanziare gli interventi dei comuni che non dispongono più, o solo parzialmente, degli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione, per la forte diminuzione degli investimenti privati in edilizia.
  • Semplificazione amministrativa da attuarsi da parte delle amministrazioni pubbliche a ogni livello.
  • Investimenti in ricerca e innovazione tecnologica con particolare riferimento all’organizzazione produttiva e all’uso di nuovi materiali.
  • Offerta di edilizia di qualità da parte di imprese e società immobiliari.
  • Rinnovamento e ampliamento della ricettività alberghiera sia quella urbana sia extra urbana.
  • Edilizia residenziale economica, anche con accordi pubblico/privato.
  • Recupero del patrimonio esistente affinando tecniche d’intervento che consentano d’intervenire, nel caso di edifici già utilizzati, con minore disagio per i residenti e le attività insediate.
  • Adeguamento antisismico degli edifici esistenti, compresi quelli storici.
  • Adeguamento degli edifici esistenti alla normativa antincendio.

L’evoluzione delle professioni legate alle costruzioni nella realtà attuale? 

Da architetto vecchio stampo mi preme fare una premessa circa la metodologia di progetto o meglio la “filosofia” di progetto.

Certamente la società attuale va nella direzione di uno sviluppo tecnologico più sofisticato con l’introduzione di nuovi materiali sempre più leggeri ad alte prestazioni di resistenza, isolamento termico/acustico, facilità e velocità di montaggio in cantiere, i processi di trasformazione, sia tecnologica che urbana, sono continui e sempre più veloci.

Io mi chiedo se l’architettura e l’urbanistica debbano adeguarsi supinamente a tali processi o se invece debbano svolgere un ruolo più complesso e “rallentato” senza certamente essere elemento di conservazione.

Naturalmente il cervello umano ha dei limiti nel sapersi adeguare al nuovo; nuova organizzazione del lavoro, nuovi processi produttivi, nuove tecnologie, digitalizzazione con accesso pressoché infinito alle informazioni, trasformazione urbana, dell’ambiente di lavoro ed abitativo.

Forse architettura e urbanistica devono porsi maggiormente in rapporto con il passato, costituire un elemento di certezza in un mondo in incessante trasformazione, dare qualche punto fermo a un’umanità frantumata e insicura del futuro.

Questo non deve volere dire rifiuto della modernità ma proporre uno sviluppo dell’ambiente antropomorfo più graduale, rispettoso della tradizione storica e delle specificità territoriali del contesto.

Quando si parla di questi temi mi torna in mente Heinrich Tessonow, un architetto tedesco nato nel 1876 a Rostock, che nel 1916 ha scritto un piccolo libro “Osservazioni Elementari sul Costruire” dove parla dell’Architettura dei suoi tempi e del rapporto con la storia. È un libretto apparentemente semplice, quasi banale, ma che affronta con “leggerezza” temi ancora attuali, ad esempio quello della scelta progettuale tra una copertura a falde e una copertura piana, già ampiamente utilizzata dai giovani architetti della sua epoca, e pone una semplice domanda: copertura piana perché no?

E qui c’è tutta una riflessione sul non cadere prigionieri delle mode, scegliere una soluzione tecnologica adatta a risolvere razionalmente e in maniera ottimale un problema, ed è indubbio che in un territorio freddo e piovoso una copertura a falde risolve meglio il problema della difesa dalla pioggia e dell’isolamento termico.

Un ragionamento simile può valere anche per il cornicione che protegge dalla pioggia  le pareti verticali, almeno per alcuni piani, in questo caso c’è anche una scelta di architettura, la parte superiore di un edificio chiude una forma geometrica, segnala un elemento di passaggio tra il costruito e la natura (il cielo) e, a mio avviso, va sottolineato, non necessariamente con un cornicione di tipo rinascimentale, ma con qualcosa di innovativo che sappia rispondere al problema tecnico e formale.

Si potrebbe andare avanti ancora a lungo affrontando altri temi dell’architettura, il rapporto con il contesto territoriale e architettonico, l’articolazione dei volumi, il trattamento dell’angolo, degli accessi all’edificio, tanti temi che non possono essere esauriti in un’intervista ma sui quali sarebbe necessario riflettere senza adeguarsi supinamente alle architetture prevalenti in questa fase storica.

Tornando a Tessenow, nel suo libro affronta anche il tema della decorazione che aveva caratterizzato l’architettura ottocentesca. Tessenow non ritiene che essa costituisca l’essenza del progetto, ma anche in questo caso pone il tema in termini problematici: essa può essere come un “papavero in un campo di grano, in alcuni casi può arricchire il progetto”.

Anch’io penso che l’architettura non può essere solo concettuale, come una poesia ermetica “e fu subito sera” di Salvatore Quasimodo, ma deve sviluppare un racconto che si articola anche nei dettagli costruttivi e architettonici, non è sufficiente l’idea, seppur grandiosa, come affermano alcuni architetti contemporanei (Fuksas), anche quando si sceglie una facciata continua (acciaio e vetro), al di la degli aspetti prestazionali, non ci si può limitare a riproporre un unico modulo all’infinito, ma la superficie va articolata sviluppando un racconto di architettura.

Nei miei progetti ho sempre cercato, nella forma e nell’uso dei materiali, di richiamarmi alla tradizione storica e al contesto territoriale; quindi pietra, laterizio, legno, cementi decorativi, inserendo degli elementi di modernità come vetro e acciaio, senza operare scelte aprioristiche ma cercando d’individuare il materiale che mi consentiva di risolvere nella maniera più corretta e funzionale i problemi che dovevo affrontare in quella specifica situazione.

Per la struttura di copertura ho spesso usato il legno per alleggerire i carichi propri, in particolare nei sopralzi, lasciato a vista all’interno per “scaldare” l’ambiente abitativo. 

La struttura in acciaio mi ha consentito, nel caso di un edificio storico (Biblioteca di Cermenate), privo di valori significativi, dove la Soprintendenza ha prescritto di conservare due piani delle pareti perimetrali, pur consentendomi il totale sventramento dell’edificio e il rifacimento delle coperture, di ancorare, in fase di demolizione, le pareti da conservare evitando i costi di un ponteggio strutturale, avere una pianta libera e consolidare la  struttura adeguandola alla normativa antisismica.

Nello stesso intervento ho realizzato un “taglio” nell’edificio con un grande lucernario e pareti laterali in acciaio e vetro per introdurre un segno di modernità e migliorare notevolmente l’illuminazione naturale degli ambienti dell’ultimo piano.

Pur avendo sempre una grande attenzione al rapporto con la storia, i miei rapporti con la Soprintendenza ai Beni Architettonici non sono stati mai idilliaci nei progetti di ristrutturazione di edifici storici. 

Nella Biblioteca di Cermenate, mi sembrava inutile conservare due piani delle murature esterne (problemi di umidità, di stabilità, costi), pur consentendomi il totale sventramento dell’edificio, il rifacimento delle coperture, nuovi ritmi e diverso disegno delle aperture esterne ed il rifacimento degli intonaci, ma mi sono dovuto adeguare.

Nella Biblioteca di Lentate Sul Seveso, una Villa Ottocentesca, priva di valori architettonici significativi, ma con un impianto planimetrico molto interessante, abbiamo scoperto, con i primi assaggi delle murature, che esse erano costituite da sassi, pietre, detriti di laterizio senza alcun legante, prive di adeguate opere di fondazione, che non assicuravano la necessaria stabilità, pertanto abbiamo previsto la totale demolizione e il rifacimento in laterizio alveolare rinforzato portante, l’utilizzo di una struttura in cemento armato solo nella zona ex fienile destinato a Sala Conferenze e Sala di lettura dove necessitavano ampie luci strutturali, ricostruendo filologicamente il perimetro esterno dell’edificio che aveva un forte interesse microurbanistico.

Questo è stato possibile in quanto l’edificio non era sottoposto a vincolo monumentale ed una delibera del Consiglio Comunale l’aveva stralciato dal perimetro del Centro Storico e quindi non soggetto al parere della Soprintendenza. Non sarebbe possibile ora, considerando che la normativa vigente prevede l’obbligo del parere della Soprintendenza per tutti gli edifici pubblici costruiti negli ultimi 50 anni e con il Decreto del 2016 quelli di oltre settanta anni. In altri due interventi, non sottoposti ai vincoli della Soprintendenza, il rapporto con la storia è stato molto significativo.

Ampliamento del Cimitero del Comune di Cermenate, in questo caso ci trovavamo all’interno di un contesto storico nel quale si erano susseguiti alcuni nuovi ampliamenti con linguaggi architettonici estremamente differenziati, la prima nostra scelta è stata quella di non introdurre un ulteriore differenziazione riproponendo una architettura simile a quella dell’ultimo intervento, caratterizzandoci  solo nella diversa soluzione dei dettagli architettonici, ulteriore obiettivo indicatoci dall’Amministrazione Comunale era quello di valorizzare l’ingresso posteriore secondario del cimitero posto dietro il nuovo ampliamento, abbiamo proposto un portale, ispirandoci alla tradizione, alle porte delle città storiche, agli archi di trionfo anche per quanto riguarda i rapporti proporzionali, riletto in chiave moderna con l’uso dell’acciaio. 

Recupero di un’area industriale dismessa nel Comune di Milano in via Salaino 7 (ex Candle fabbrica di lampade) intervento in due fasi, la prima ha riguardato i corpi di fabbrica verso strada destinati precedentemente alla produzione, la seconda fase la parte retrostante interna dell’area destinata ai depositi, spedizione e mensa.

Ho incominciato ad occuparmene nel 1988 ed è stata una vicenda molto lunga e complessa dal punto di vista urbanistico. Faceva parte dell’elenco delle aree dismesse individuate dal Comune di Milano sulle quali si poteva intervenire con i PII (Piani di Intervento Integrati). Problema delle aree a standard non reperibili all’interno di un’area relativamente piccola come la nostra.

La scelta è stata quella di intervenire, in una prima fase, su di una parte dell’area, quella più estesa, con un permesso di costruire come ristrutturazione, rimandando l’intervento sulla parte rimanente attendendo la soluzione del problema dello standard.

Nel primo intervento avevamo quindi un vincolo comunale al mantenimento dei volumi esistenti, trattandosi di ristrutturazione.

A livello microurbanistico abbiamo liberato l’area dalle superfetazioni ottenendo due piccoli cortili comunicanti, che hanno svolto un ruolo importante per la socializzazione degli abitanti; a livello architettonico abbiamo mantenuto un richiamo all’architettura industriale preesistente con l’uso di ampie vetrate e materiali di finitura tradizionali.

Di fronte all’improponibilità di recuperare il manufatto industriale in un contesto urbano che nel corso degli anni era diventato prevalentemente residenziale, abbiamo pensato a una destinazione mista laboratori e uffici al piano terra, residenza ai piani superiori, che, a livello architettonico, proponesse un rapporto allusivo con la storia dell’architettura milanese e il vecchio immobile.

Cambiarne destinazione ed immagine conservando la memoria del passato, preservarne i volumi principali, i percorsi, gli squarci prospettici, riproporre una certa “milanesità” della preesistenza industriale senza rinunciare ad evidenziare la modernità del nuovo intervento. Una sorta di sfida che ha comportato una ricerca sostanziale e figurativa dove l’amore del progettista per la città medioevale si è coniugata con le suggestioni della preesistenza industriale, non a caso alcuni critici hanno parlato di “borgo nascosto”.

Nel secondo intervento ci trovavamo di fronte a costruzioni di servizio molto meno significative. L’area ha una forma trapezoidale allungata. Il progetto ha previsto la demolizione degli edifici esistenti, la dislocazione dei nuovi corpi di fabbrica lungo il perimetro, riconfermando in gran parte l’andamento di quelli esistenti, ottenendo un cortile interno di dimensioni apprezzabili (mq. 653), suddiviso tra spazi privati delle singole unità immobiliari e spazi condominiali; un andamento leggermente concavo dei prospetti Est ed Ovest caratterizza ulteriormente il cortile, conferendogli un maggior senso di accoglienza. L’intervento consiste in 22 unità immobiliari in gran parte duplex con la zona giorno al piano terra e la zona notte al primo ed al secondo piano, alcune su di un unico piano, la superficie dei singoli alloggi varia dai 60 ai 160 mq. Al piano interrato sono previsti 35 box.

La filosofia di progetto è stata quella di un’architettura contenuta nelle sue espressioni formali, arricchita da una particolare cura dei dettagli, un rimando allusivo alla storia dell’architettura, mantenendo una continuità architettonica, se pur articolata e diversificata, con l’intervento precedente verso strada pur con scelte architettoniche parzialmente diverse.

I due interventi costituiscono un complesso unitario anche da un punto di vista gestionale dando vita ad un super condominio. 

Risparmio energetico confort abitativo

Sono questi obiettivi fondamentali della progettazione architettonica in particolare per quanto riguarda l’involucro esterno dell’edificio e gli impianti, ma vanno affrontati con competenza e coerenza evitando pressapochismi e scelte contraddittorie.

Pannelli solari, pompa di calore con pescaggio dell’acqua da falda profonda consentono naturalmente grossi risparmi energetici, ma la stessa attenzione deve essere posta nella scelta dei materiali di tamponamento; personalmente penso, in controtendenza rispetto alle scelte operate da molti architetti contemporanei, che il laterizio alveolare rinforzato possa rappresentare ancora una scelta ottimale per quanto riguarda isolamento termico e acustico. Certo le pareti continue vetrate hanno il loro fascino, ma vanno usate con moderazione; infatti, anche se le loro prestazioni di isolamento e rifrazione dei raggi solari sono migliorate notevolmente nel corso degli ultimi anni, avendo poca massa non garantiscono i valori indicati dal produttore quando freddo e caldo durano a lungo alterando momentaneamente le loro caratteristiche molecolari, tali limiti si evidenziano maggiormente nell’esposizione a sud (periodo estivo) e nord (periodo invernale).

Risultati migliori possono essere ottenuti con doppia parete e intercapedine che può essere arieggiata d’estate e chiusa d’inverno, ma tale soluzione, piuttosto costosa, può essere utilizzata solo in caso di interventi che dispongono di un budget consistente.

Non condivido la scelta del ricircolo d’aria che non prevede l’apertura delle finestre in quanto limita il confort abitativo e la funzione battericida dei raggi solari svolta solo dall’irraggiamento diretto e non da quello filtrato attraverso le parti vetrate.

Anche in riferimento al risparmio energetico scontiamo ancora limiti legislativi, ad esempio all’introduzione della certificazione degli edifici compresi quelli esistenti non ha fatto seguito l’obbligo di interventi migliorativi neppure graduali. 

Trasformazione dell’organizzazione professionale 

La situazione attuale richiede anche ai professionisti un notevole sforzo per adeguarsi alle mutate condizioni del mercato, in particolare:

  • Maggiore specializzazione;
  • Aggiornamento continuo sugli sviluppi tecnologici, legislativi e normativi nei vari settori della propria attività;
  • Progettazione Integrale con apporti specialisti in un quadro interdisciplinare, considerando in particolare che gli enti pubblici tendono ad affidare un incarico complessivo (edile, strutturale, impiantistico) a un singolo professionista (architetto), Società di Ingegneria o Raggruppamenti Temporanei di Professionisti;
  • Investimenti per l’aggiornamento dell’attrezzatura (hard e soft), partecipazione a gare e concorsi, formazione del titolare e dei collaboratori.

Tutto questo tende a favorire strutture professionali di medie e grandi dimensioni, probabilmente i piccoli studi, che sono ancora la maggioranza in Italia, saranno esclusi dalla possibilità di accedere ad incarichi significativi e relegati alle piccole costruzioni, nuove o da ristrutturare e agli arredamenti.

Personalmente appartengo a quella generazione che tendeva a organizzarsi prevalentemente in piccoli studi affrontando la professione in maniera artigianale aspirando o, almeno, sognando di realizzare la grande opera d’arte.

Probabilmente anche i piccoli studi potrebbero dare un contributo significativo alla realizzazione di opere importanti se sapranno adeguarsi alle nuove esigenze della professione tenendo alto il livello qualitativo della progettazione.

La strada che intravvedo e che ho cercato di praticare è quella di costruire una rete di rapporti e collaborazioni sia con colleghi del proprio ambito professionale sia con i vari specialisti che concorrono alla realizzazione del progetto, rapporti che devono consolidarsi nel tempo per potere migliorare la reciproca collaborazione nel rispetto delle singole competenze.

In tal modo i piccoli studi potrebbero risultare competitivi anche con le grandi organizzazioni professionali che pure hanno le loro difficoltà nel contenere gli alti costi di gestione, le fluttuazioni del mercato che non sempre consentono una continuità di commesse, individuare figure professionali competenti e responsabili.

La specializzazione, pur necessaria, non sempre consente di concentrarsi esclusivamente su singoli temi (scuole, ospedali, biblioteche, progettazione antincendi ecc.) in quanto si diventa ancora più soggetti alle fluttuazioni di mercato, ad esempio se mi sono specializzato nella progettazione delle scuole in un periodo di grandi investimenti pubblici in questo settore rischio di rimanere senza commesse qualora cessassero gli investimenti pubblici in questo settore.

Uno dei più importanti e innovativi strumenti per la progettazione è costituito dal Bim acronimo di “Building Information Modeling” (Modello di Informazioni di un edificio) ed è definito dal National Institutes of Building Science come la “rappresentazione digitale di caratteristiche fisiche e funzionali di un oggetto”.

Il Bim quindi non è un prodotto né un software ma un “contenitore di informazioni sull’edificio” in cui inserire dati grafici (come i disegni) e degli specifici attributi tecnici (come schede tecniche e caratteristiche) anche relativi al ciclo di vita previsto.

Infatti quando si disegnano oggetti come finestre, solai o muri è possibile associare alle informazioni grafiche (spessore del muro, altezza ecc) anche informazioni come la trasmittanza termica, l’isolamento acustico ecc.

Personalmente non lo sto ancora usando ma pensiamo di farlo nel prossimo futuro anche considerando che dal 1° gennaio 2019 è obbligatorio per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro; dal 1° gennaio 2020 per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 50 milioni; dal 1° gennaio 2021 per i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 15 milioni di euro; dal 1° gennaio 2022 per le opere di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 35 del Codice; dal 1° gennaio 2025 per le nuove opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro.

Il Bim è nato dalla volontà di andare verso la collaborazione tra i progettisti, l’interoperabilità dei software, l’integrazione tra i processi e la sostenibilità.

Il Bim è infatti un metodo di progettazione collaborativo in quanto consente d’integrare in un unico modello le informazioni utili in ogni fase della progettazione: quella architettonica, strutturale, impiantistica, energetica e gestionale. Per questo può essere utilizzato dagli impiantisti, dagli ingegneri strutturisti, dagli architetti, dal costruttore, dai montatori, dai collaudatori ecc.

Il modello tridimensionale quindi racchiude informazioni riguardanti volume e dimensioni, materiale, aspetto, caratteristiche tecniche che non vengono perse nella comunicazione ad altri studi.

La tecnologia Bim offre molteplici vantaggi come: maggiore efficienza e produttività, meno errori, meno tempi morti, meno costi, maggiore interoperabilità, massima condivisione delle informazioni, un controllo più puntuale e coerente del progetto.

Inoltre, un progetto Bim dà la possibilità alla committenza di avere un’elaborazione virtuale del ciclo di vita dell’edificio, anche dopo la fase di progettazione; in questo modo è più semplice monitorare la vetustà dei materiali e programmare meglio la manutenzione.

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