Imprese di Costruzioni | Gli ultimi dodici anni

Quali imprese di costruzioni italiane realizzeranno le infrastrutture con i fondi del Recovery Fund europeo?

La morìa delle grandi imprese di costruzioni (generali e specialistiche), in grado di realizzare le principali infrastrutture oggetto dell’attuale piano di rilancio nazionale (con ricorso al Recovery Fund europeo), è motivo di preoccupazione perché la loro drastica selezione è iniziata ben 12 anni fa in concomitanza con la crisi finanziaria mondiale del 2008 e si è aggravata per effetto della pandemia sanitaria del 2020.

La morìa delle grandi imprese di costruzioni (generali e specialistiche), in grado di realizzare le principali infrastrutture oggetto dell’attuale piano di rilancio nazionale (con ricorso al Recovery Fund europeo), è motivo di preoccupazione perché la loro drastica selezione è iniziata ben 12 anni fa in concomitanza con la crisi finanziaria mondiale del 2008 e si è aggravata per effetto della pandemia sanitaria del 2020.

Confrontando le classifiche delle prime 50 stilate dalla società di ricerca Guamari sulla base dei bilanci 2007 e successivamente 2019 (ultimi due anni prima delle due grandi crisi citate) si può ipotizzare quali, delle imprese sopravvissute, possono affrontare con buone prospettive il rilancio del 2021.

I numeri di insieme

Una breve analisi dei numeri d’insieme delle maggiori 50 imprese per fatturato 2007 e 2019 denota un’offerta fortemente indebolita anche per quanto riguarda gli aspetti economico/finanziari.

Nei 12 anni in esame il fatturato delle top 50 è cresciuto da 18,9 miliardi a 19,2 miliardi (solo 1,7 percento!), concentrandosi sempre più al vertice: se nel 2007 le cinque maggiori imprese sommavano poco meno di un terzo del giro d’affari, nell’ultima classifica le top 5 fatturano oltre la metà del totale.

La redditività del campione subisce un drastico calo passando da un utile netto di 536,7 milioni (2,8 percento di net margin) a 14,6 milioni (0,1 percento). Quanto alla forza lavoro scende da 76,6 mila a 70,2 mila addetti.

Non solo, ma le maggiori imprese si sono sempre più indirizzate ai mercati internazionali tanto che la loro quota di cifra d’affari all’estero è passata in dodici anni da 29,5 a 53,4 percento. Questo significa che nel 2007 in Italia fatturavano 13,3 miliardi e nel 2019 solo 9. Un grave “tallone d’Achille” la mancanza di uno “zoccolo duro” domestico anche per mantenere le posizioni nel mondo faticosamente conquistate.

Le imprese andate in crisi

Confrontando le classifiche 2018 con quelle 2020 si nota che in 12 anni sono andate in crisi ben 26 imprese delle 50 allora elencate, di cui ben 11 cooperative e tre specialistiche (non tutte però scomparse come si spiegherà nel paragrafo successivo).

Ecco l’elenco horribilis, in ordine di fatturato 2007: Astaldi, Trevi, Condotte, Cmc, Unieco, Baldassini-Tognozzi-Pontello, Grandi Lavori Fincosit, Coopsette, Mantovani, Consorzio Etruria, Cesi, Dec, Cooperativa di Costruzioni, Acmar, Impresa, Orion, Coopcostruzioni, Iter, Cmr, Rosso, Seli, Matarrese, Bentini, De Lieto, Ghizzoni, Tecnis.

Peraltro l’annus horribilis 2020 si è concluso con meno abbandoni del campo di quanto si potesse temere: sostanzialmente solo Clea e Sicrea (quest’ultima nata nel 2012 da infelici aggregazioni di cooperative in difficoltà quali Cmr, Orion e, ultimamente, L’Avvenire 1921, società nata da quello che restava di Consorzio Etruria dopo aver ceduto Coestra e Inso).

I (pochi) ritorni sul mercato

Delle 26 grandi imprese andate in crisi dopo il 2007 i casi di ritorni sul mercato (o con la stessa ragione sociale o in seguito a operazioni societarie di vario tipo) sono pochi. Trevi, Acmar, Matarrese e Bentini sono di nuovo presenti con lo stesso nome: nel primo caso il gruppo è in via di risanamento avendo ceduto nel febbraio 2020 la divisione oil & gas all’indiano Meil, nel secondo in procinto di uscire in bonis dal concordato, nel terzo e nel quarto creando due newco omonime da un ramo d’azienda.

Quel che resta di Astaldi rivive in seno a Webuild (già Salini Impregilo) che ne ha rilevato il 65 percento nel novembre 2020, da Condotte sono uscite finora l’impresa Cossi (acquistata da Webuild nel febbraio 2019), il ramo d’azienda lavori portuali e la società Inso (acquistati da Fincantieri Infrastructure rispettivamente nel dicembre 2019 e nel dicembre 2020) mentre è in vendita il ramo d’azienda core, Fincosit ha affittato il ramo lavori marittimi da Glf nel giugno 2018, il ramo d’azienda Seli Overseas, dopo essere transitato da Glf è stato acquistato da Webuild nell’ottobre 2018, un altro ramo, Seli Technologies nello stesso mese è stato rilevato e ridenominato TunnelPro dal gruppo Ghella, Tecnis è stata rilevata nel luglio 2019 da D’Agostino.

I player più agguerriti

Oggi le poche imprese generali rimaste a contendersi i più grandi lavori sono: in ordine di fatturato 2019: Webuild (15° gruppo europeo), Pizzarotti (47° gruppo europeo), Itinera, Ghella, Cmb, Rizzani de Eccher, Toto, Icm (già Maltauro), Impresa Tonon, Inc (tramite il consorzio stabile Sis), Carron, …  Inoltre almeno due principali consorzi stabili: ReseArch e Medil, senza dimenticare il (cooperativo) Consorzio Integra che dal marzo 2016 opera per tutelare e valorizzare il portafoglio lavori dello storico Ccc. Mentre la concorrenza straniera nel mercato italiano è al suo punto più basso: l’unica presenza diretta rimasta, Strabag (sesto gruppo europeo), potrebbe avere i giorni contati. Mentre Sacyr (19° gruppo europeo) si limita a partecipare al consorzio stabile Sis. Questo a ulteriore dimostrazione della delusione per la nostra politica infrastrutturale a tutto lo scorso anno.

A cura di Aldo Norsa

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here