Edilizia residenziale | Ferrara

Là dov’erano i canapai. Nuove abitazioni tra vecchi muri

Il giusto rispetto per i valori ambientali ha portato a sviluppare l’intervento quasi esclusivamente all’interno del volume, svuotandolo e riconfigurandolo; all’esterno soltanto qualche piccolo “colpo di bisturi”, necessario a restituire la storia dell’edificio. La riduzione di spazi e superfici in partenza scarsamente utilizzati ha permesso di ricavare vuoti interni a doppia, tripla altezza, con viste ed affacci multipli, senza tuttavia snaturare le quote di impalcati e finestre ‘ritrovate’, quelle documentate dalle foto d’epoca.

L’edificio oggetto d’intervento costituisce la sezione abitativa e produttiva della corte storica denominataIl Castello”, ubicata lungo il confine storico-giurisdizionale tra le municipalità di Bondeno e Finale Emilia, là dove l’Alto Ferrarese sfuma nelle Valli Modenesi, “terra di frontiera” dai precari equilibri idraulici. Era il 1920 quando il Cavalier Armando Scagliarini, valente agronomo locale, tracciava con geometrica precisione una scacchiera di appezzamenti (“tornature”) per coltivarvi l’allora emergente coltura del tabacco.

Quattro chilometri quadrati di terreni si sviluppavano lungo l’asse maestro di via Obici, memoria di quel ramo della famiglia estense con a capo il Duca Obizzo, che qui possedeva diverse terre “fresche, feraci e argillose”. Ma per essiccare le foglie del tabacco (le cosiddette “masse”) serviva una fabbrica-opificio in forma di “macchina” passiva, capace di captare, distribuire e regimentare le correnti d’aria per garantire la lenta e temperata stagionatura dei prodotti.

Vista della corte denominata “Il Castello”, con l’edificio in linea recuperato.

Nasceva così “Il Castello”, poderoso edificio lungo cento metri risolto nella distesa trenodìa di 8 moduli laterali accorpati da 5aereearcate centrali. Un essicatoio-opificio, somma sintesi di un paesaggio disegnato per il lavoro: vi trovava dimora un centinaio di persone; un vero “Castello”, quindi, con una vera e propria ‘vita di Corte’, dove ciascuno attendeva a un suo preciso ruolo.

Con il declino del tabacco, a metà Novecento, vi si insediò la coltura dellacanepa”, che qui trovava felici condizioni per la sua lavorazione. Lino e canapa avevano radici solide e lontane nell’economia padana e godevano di fama ovunque: nel suo Ruralium Commodorum (Libro III, Capo VI), Pietro Crescenzio narra di camicie di canapa “di gran pregio” dell’Agro Ferrarese che Caterina de Medici vi portò nel suo corredo quando nel 1533 andò sposa al Delfino di Francia Enrico II.

Prospetto principale verso sud dopo il recupero.

E come si confaceva a ogni castello, vi erano cavalli e bestiame, alloggiati in nobili stalle voltate di cui rimane in parte memoria. Opificio di “nobiltà nativa, serietà operosa e sanità morale”. Ma com’è scritto nella storia di ogni castello, non poteva sottrarsi dall’essere sfregiato dal nemico. E così nel maggio 2012 il nemico giunse puntale dal suolo: un insolito e violento sisma (magnitudo 6,1) ne mise a dura prova la resistenza, compromettendone strutture e vita.

Configurazione tipo-morfologica

Sul piano tipologico-distributivo, l’edificio costituisce un’unità produttiva e abitativa lineare composta da 13 moduli, dei quali i 4 laterali (est e ovest) disposti su 2 piani e i 5 baricentrici (porticato) a unica altezza. I moduli laterali sono di più antica costruzione. In origine l’edificio in linea era infatti descritto da 2 corpi separati; soltanto successivamente, per necessità di accorpamento funzionale, questi sono stati collegati da una “navata” baricentrica, generando un corpo lineare di oltre 96 metri di sviluppo.

Restauro delle ex stalle al piano terra e riscoperta del cannocchiale visivo che attraversa longitudinalmente l’edificio.

L’elegante spartito della facciata nobile risolve la ritmica e distesa interpunzione delle coppie di aperture ad arco dei corpi laterali nella misurata armonia delle 5 arcate maestre (“occhi”), scandite da lesene appena sporgenti. I 4 moduli laterali presentano ciascuno una configurazione planimetrica quadrata (8×8 m). L’originaria destinazione ad “Essicatoio”, corroborata dal catasto storico, merita alcune precisazioni.

Un intelligente quanto efficace sistema di areazione passiva ventilava entrambi i corpi secondo il loro sviluppo longitudinale: ai 2 livelli, infatti, i muri di spina tra i 4 moduli erano dotati di un’apertura assiale di larghezza pari a 80 cm, con terminazione sommitale ad arco. Per le loro caratteristiche funzionali e costruttive i locali al primo livello, con la graduale dismissione delle coltivazioni di tabacco in favore dell’emergente coltura della “canepa”, ben si prestavano all’essicazione dei nuovi prodotti.

Riapertura degli originari ‘tagli’ funzionali alla microventilazione passiva dei locali.

Il successivo tramonto deicanapai”, sostituiti da colture cerealicole intensive, e la pressoché coeva parcellizzazione della proprietà fondiaria comportarono la necessità di frazionare i locali in origine comunicanti in vani tra loro indipendenti, tanti quante erano le distinte proprietà dei singoli moduli. Al frazionamento delle proprietà si associava poi l’esigenza d’impedire il propagarsi di eventuali incendi, all’epoca particolarmente frequenti considerate le caratteristiche dei prodotti depositati.

Per tali ragioni, le aperture tra i diversi moduli furono in parte tamponate, con mattoni pieni di fattura analoga alle tessiture esistenti, ottenendo così l’omogeneità materica e costruttiva dell’involucro. Non solo: la necessità di “tagliare il fuoco” comportò il sopralzo delle murature di spina, tanto all’intradosso delle coperture quanto al loro estradosso, con la sequenza delle ‘creste’ murarie tagliafuoco a scandire la successione delle singole unità funzionali.

Unità abitativa

Il carattere architettonico unitario dell’intero corpo di fabbrica non riflette esternamente le diverse destinazioni interne. Può accadere, quindi, che l’unità abitativa, ricavata per necessità all’interno di un plesso in origine diversamente destinato, pur adattandosi inizialmente al palinsesto di aperture storicizzato dalla configurazione primitiva dell’edificio, ne abbia poi mascherato i caratteri tipici, dovendosi adattare a costrizioni dettate da esigenze distributive.

L’unità abitativa era quindi ricavata all’interno del modulo terminale del corpo laterale est, di dimensioni interne nette pari a circa 9,25×8 metri, e si sviluppava su 3 livelli. Un vano scala baricentrico distribuiva lateralmente i diversi locali, massimizzando il contributo aeroilluminante delle aperture.

Recupero dell’invaso spaziale originario della navata baricentrica, con la nuova copertura in carpenteria lignea.

Il progetto di recupero

Il progetto di ripristino e valorizzazione dell’ex opificio ha unito agli aspetti del rafforzamento e miglioramento sismico delle strutture quelli riguardanti la rilettura critica del testo materiale, al fine di restituirne la semantica del palinsesto costruttivo. Qualsiasi operazione di rilettura di un testo materiale presuppone la sua interpretazione, e come tale genera un processo di revisione critica delle fasi costruttive della fabbrica e su come eventuali processi additivi o riconfigurativi ne abbiano seguito i lineamenti che ne hanno formato la crescita e l’immagine costituita. Il carattere unitario dell’edificio ha suggerito d’indossare i guanti dell’omeopata, recuperandolo in esterno alla sua immagine armonica e ricavandovi all’interno usi a esso compatibili e non invadenti.

Vulnerabilità

L’edificio presentava un’elevata vulnerabilità connaturata alle tipologie costruttive rurali dell’epoca, con volumi a doppia altezza e strutture puntiformi, in parte libere e in parte tamponate, ridotte connessioni tra maschi murari nelle angolature e nei martelli tra murature di spina e perimetrali, collegamenti inefficaci tra solai e strutture verticali portanti. Alla pronunciata vulnerabilità della fabbrica si associavano vetustà e carente stato manutentivo di locali e strutture, talvolta violentati dal loro vorace utilizzo.

I moduli produttivi

Il ripristino dei moduli produttivi si presentava particolarmente delicato, date le finalità apparentemente discordanti dell’intervento. Da un lato, si è operata la conservazione dell’involucro murario con il ripristino delle strutture esistenti deturpate degli eventi sismici, oltre che da decenni di alterazione e vandalismi. Dall’altro, pur rispettando gli originari caratteri dell’edificio, è stato necessario dotare i moduli-deposito di una strutturasnella”, indipendente dall’involucro esterno, flessibile e reversibile all’uso. La soluzione adottata risolve il contrasto con l’inserimento di una struttura metallica interna, autonoma rispetto alla scatola muraria, a sostegno dell’impalcato intermedio.

Prospetto principale verso sud ante operam.

I solai esistenti in latero-cemento, posti in opera negli anni ’50 del secolo scorso sfidando la statica, presentavano infatti rilevanti carenze manutentive, causa del distacco di cartelle laterizie e del collasso di alcuni campi perimetrali. Tali solai sono stati completamente rimossi e sostituiti conincastellaturemetalliche composte di doppi profili (Upn, Ipe) solidarizzati alla scatola muraria tramite apposite pernature.

Il nuovo telaio riprende la tripartizione strutturale e planimetrica che informava in origine i singoli moduli, con 8 piedritti – 4 per lato – costituiti da profili Upn 160 accoppiati a mezzo di calastrelli a reggere le 4 travi principali dell’impalcato (profili Ipe 300) e l’orditura secondaria (profili Ipe 120). Lo stesso principio di reversibilità e flessibilità è rispettato nella soluzione di chiusura dell’impalcato, completato con un con doppio tavolato (spessore 32+25 mm) incrociato e “armato” con nastri metallici microforati (Rothoblaas).

Rifacimento del manto di copertura con doppio tavolato incrociato controventato con nastri metallici microforati Rothoblaas.

In corrispondenza della campata baricentrica di ogni singolo modulo, assialmente alle aperture d’ingresso, il solaio prevede un varco quadrato (di lato pari a 3,30 m) per il sollevamento in quota di merci e prodotti. Tale soluzione comporta:

  1. il miglioramento delle condizioni d’uso dei 2 livelli sovrapposti di ogni modulo-deposito;
  2. la reversibilità e flessibilità configurativa della soluzione strutturale adottata, del tutto indipendente dall’involucro murario esistente e quindi in grado di preservare le apparecchiature murarie originarie;
  3. la conservazione dell’intero prospetto nobile verso la corte, le cui aperture ad arco del livello superiore non saranno più utilizzate per l’inserimento in quota di merci vista la soluzione dei varchi previsti negli impalcati interni;
  4. l’alleggerimento dei carichi gravanti sulle strutture murarie perimetrali nord e sud, in ragione della trasmissione dei carichi dell’impalcato intermedio esclusivamente sui piedritti del nuovo telaio in ferro inserito all’interno dei singoli moduli;
  5. minore rigidezza e maggiore leggerezza degli impalcati intermedi.

L’originaria presenza di volumi a doppia altezza e strutture puntiformi libere, nonché l’inefficacia dei collegamenti tra maschi murari perimetrali, hanno favorito l’attivazione di meccanismi locali di ribaltamento di pilastri e pareti attorno a cerniere cilindriche all’altezza del primo impalcato. Per eliminare tali vulnerabilità sono stati realizzati dei cordoli piatti metallici (250×8 mm) a solidarizzare la copertura con le strutture perimetrali, collegati alle murature sommitali tramite barre filettate (M12/50 cm, L=50 cm) inghisate con boiacca a base calce in appositi prefori (Ø 18) ogni 50 cm.

Per ridurre l’ardita snellezza delle volte in laterizio, causa di perdita di compressione con formazione di lesioni di distacco dei mattoni, è stato rimosso il soprastante riempimento e, quindi, applicato all’estradosso un intonaco a base calce armato con fibre di basalto (Mapegrid 250).

Riscoperta degli archi tamponati alle estremità della ‘navata’ baricentrica.

Il restauro dell’involucro murario è anzitutto opera di liberazione e di consolidamento statico. Liberazione dalle degradanti tramezzature in forati (scarsamente funzionali all’esercizio delle attività), dalle crudeli tamponature delle finestre originarie, dai solai in laterocemento (fortemente compromessi dal sisma, in parte crollati e comunque protesi ben oltre il limite delle proprie resistenze), dagli intonaci dissonanti del piano terra, coprenti la storia della fabbrica. E recupero totale di tutti gli elementi superstiti, anzitutto il caldo paramento murario in mattoni.

La premessa filologica, infatti, è che l’intera fabbrica all’interno non fosse intonacata, come ben documentano le superfici a nudo dei muri di spina del secondo livello. Così le murature perimetrali interne sono state ripulite dalle tracce di intonaco e microsabbiate per recuperare la tessitura, la grana e il colore dei mattoni originari. La pulitura e il consolidamento delle superfici murarie espongono una vasta campionatura di testimonianze della tecnologia muraria di fattura locale, una sorta di “tavola didattica” degli elementi costruttivi originari.

Riapertura degli originari tagli funzionali alla microventilazione passiva dei locali e riscoperta del cannocchiale visivo che attraversa longitudinalmente l’edificio.

Le snelle capriate lignee dall’elegante doppia catena in tavole accoppiate – ciascuna a metà di ogni modulo – sono state rafforzate agli incastri a mezzo di connettori (4 per appoggio) a tutto filetto a testa cilindrica (Ø 9, L = 40 cm, Rothoblaas Vgz Tx40) intervallati da viti (2 per incastro) (Ø 8, L = 30 cm, Rothoblaas Sch Tx40). Le capriate esistenti dellanavataporticata, realizzate con catene prefabbricate in c.a. precompresso e responsabili della perdita di verticalità dei rispettivi pilastri per il “rocking” indotto dal sisma, sono state smontate e sostituite con capriate lignee di disegno analogo a quelle originarie dei corpi laterali.

Ne deriva una decisa omogeneità morfologico-strutturale, timbro dell’unità percettiva degli spazi che ben si coglie dal “cannocchiale” visivo che li attraversa longitudinalmente. Fasci di nastri microforati controventano i piani di falda: singoli nei corpi laterali, i nastri si moltiplicano a 3 o 5 corsie verso il portico baricentrico, più vulnerabile poiché a doppia altezza. La trama di nastri incrociati (Rothoblaas 40×3 mm, fissati con chiodi Anker Ø4, L = 50 mm) solidarizza altresì il doppio tavolato degli impalcati intermedi tanto dell’abitazione quanto dei singoli moduli produttivi.

Assemblaggio delle nuove incastellature metalliche all’interno delle scatole murarie esistenti. Gelosie cruciformi in mattoni ricostruite sul lato nord.

Quasi due chilometri di nastri microforati – quanti basterebbero a perimetrare l’intero podere su cui sorge l’edificio – “armati” da un esercito di 60.000 chiodi e 1.000 barre filettate, sono quelli necessari a garantire impalcati leggeri ma rigidi, dove la soluzione strutturale rifiuta di esibirsi per armonizzarsi silente all’architettura.

Le nuove abitazioni

Ricostruire una casa ormai compromessa da un sisma significa, certo, ridefinirne la struttura, ma anche reiventarne il senso dell’abitarvi, ricavando, quasi a forza, spazi compresi – talvolta compressi – tra muri esistenti, la cui storia – insieme a vincoli e regolamenti – suggerisce di mantenere. Lungo via Obici, l’antica asta che segna il confine tra province parenti per casato, si presentava una delle consuete situazioni che si incontrano nei vecchi centri: una casa sviluppata entro un involucro dato, destinato in origine a diverso uso, con affacci sull’aperta campagna.

Il giusto rispetto per i valori ambientali, anche i più prosaici, porta il progetto a svilupparsi quasi esclusivamente all’interno del volume, svuotandolo e riconfigurandolo; all’esterno è concesso soltanto qualche piccolo “colpo di bisturi”, quello necessario a restituire la storia dell’edificio. La chiave risolutiva del progetto risiede nell’esigenza di ridurre spazi e superfici in partenza scarsamente utilizzati; ciò ha permesso di ricavare vuoti interni a doppia, tripla altezza, con viste ed affacci multipli, senza tuttavia snaturare la quota di impalcati e finestre ‘ritrovate’, quelle documentate dalle foto d’epoca.

La nuova scala in ferro, con pedate e ripiani in grigliato, pur snodandosi all’interno di spazi murari recuperati, consente di abbracciare i tre diversi livelli dell’abitazione, dal soggiorno al piano terreno fino al soppalco-studio in alto, all’ultimo piano. In questo modo si rivive e percorre tutto lo spazio della casa, non più frazionato in toto da singoli piani ma reso evidente anche nel tetto, con la sua carpenteria lignea ricostruita. Dal poggiolo-studio ricavato nel soppalco si dominano gli spazi liberi entro i quali si inerpica la scala e si sviluppa il soggiorno.

Sezione prospettica dell’abitazione padronale.

Dai rispettivi impalcati, attraverso le finestre esistenti (sul retro) e quelle ad arco riaperte (sui lati sud ed est) si ha una “vista lunga” sulla campagna infinita. Il parziale svuotamento dei volumi interni consente l’amplificazione degli spazi, in profondità e in altezza, conferendo il senso di un’abitazione comoda, niente affatto costretta dalla tirannìa di quei miseri quattro metri rappresentati dall’effettiva larghezza dei locali a disposizione. La struttura degli impalcati è costituita da un cassettonato di profili di ferro composti rivestiti da tavole di rovere. Il “guscio” dell’abitazione è foderato all’interno da uno strato isolante in lana di roccia (spessore 12 cm).

Il sistema di riscaldamento è regolato da una pompa che tempera gli ambienti innervando calore tramite le serpentine dei pavimenti radianti. Luci led alimentate da minimali tubi di acciaio, in parte integrate e “nascoste” nelle strutture, modellano le calde tessiture murarie, velate e “zaframate” con malte di calce naturale. Una luce radente e narrante la storia dell’edificio, drammatica quel tanto che basta per rivivere il “teatro di Corte” come una mise en scène.

Poco importa definire se l’inserimento dei nuovi volumi rappresenti un’operazione di restauro più o meno rigoroso: sta di fatto che le nuove strutture introdotte negli spazi originari rispettano gli elementi fondamentali della costruzione, per lo più dati dalle murature di spina in mattoni. “La inevitabile alterazione del primitivo aspetto di questi ambienti è in definitiva il prezzo che si deve pagare perché un’antica architettura continui ad essere luogo dove si vive, invece di essere conservata nell’immobilità e nell’abbandono” (V. Savi).

Moreno Pivetti | Architetto.

Moreno Pivetti | Architetto

Anche “Là dove non c’è nulla” la forza dell’architettura ha lasciato il suo timbro, “fresco e ferace” come doveva essere il paesaggio su cui si è insediata. Diceva dunque John Ruskin, e con lui William Morris, che qualsiasi intervento sugli edifici esistenti “esige una capacità critica e, insieme, creativa”, definendo gli allora prevalenti metodi di restauro “la peggior forma di demolizione”. “Il passato non ha inizio, non ha fine ed è di sempre” (F. Dal Co). È soltanto interrogando il passato che possiamo ricercare quelle verità in grado di far rivivere gli edifici nel presente, riscrivendone l’identità ed impedendo davvero che il tempo li riduca a “gusci vuoti”.

CHI HA FATTO COSA

Opera: Restauro e riuso dell’ex opificio “Il Castello”, Bondeno (Ferrara)
Committente: Condominio “Via Obici”, Bondeno (Ferrara)
Progetto architettonico e direzione lavori: Arch. Moreno Pivetti
Progetto Strutturale: Ing. Andrea Brighenti
Collaudi: Ing. Corrado Bonettini
Superficie totale: 1.500 mq
Date: 2014 – 2016 (progetto); 2016 – 2020 (realizzazione)
Contributo a testo e foto: Arch. Moreno Pivetti
Appaltatore, opere murarie e affini: Geo Costruzioni srl
Carpenterie metalliche primarie: Metal Service srl
Carpenterie lignee primarie: Illen snc
Opere in ferro: Carpenteria Grillanda srl
Malte e prodotti per restauri: Opificio Bio Aedilitia srl
Serramenti: Silla sas di A. Mattei & C.
Impianti elettrici speciali: Previati Bruno di Previati Angelo
Impianti meccanici e termoidraulici: Massari snc
Pavimenti industriali: Lineacem srl
Pavimenti e rivestimenti: Marangoni Eros
Rivestimenti in legno: Mb Parquet
Cartongessi, tinteggi e finiture: Aeffe srl
Opere da vetraio: Ferrara Vetro di Squarzoni L. & C. snc
Indagini geologiche: Gaia srl

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