Punti di Vista | Avv. Ivan Fasciani

Reti vendita di materiali edili: il contratto di agenzia

Le imprese di produzione dei materiali edili resistono e ricercano agenti capaci di promuovere la vendita dei loro prodotti. Qui si affronta la questione del contratto di agenzia e cioè la quantificazione dell’indennità di fine rapporto, in particolare nel caso di cessazione conflittuale del rapporto agenziale.
Avv. Ivan Fasciani.

Il settore dell’edilizia è nella morsa della crisi: le imprese di costruzioni chiudono, i posti di lavoro svaniscono e i progetti cantierabili restano fermi, nell’impossibilità o quasi di ottenere risorse dal sistema creditizio.
Tuttavia, le imprese di produzione dei materiali edili resistono e ricercano agenti capaci di promuovere la vendita dei loro prodotti. Sembra, quindi, opportuno affrontare la questione più delicata, sia da un punto di vista economico che giuridico, del contratto di agenzia e cioè la quantificazione dell’indennità di fine rapporto, in particolare nel caso di cessazione conflittuale del rapporto agenziale.
Nell’ordinamento italiano, la disciplina dell’indennità di fine rapporto risente in maniera rilevante dei problemi di sovrapposizione tra codice civile e contrattazione collettiva. Difatti, a seguito dei provvedimenti legislativi di attuazione della direttiva 86/653/Cee del 18 dicembre 1986 concernenti gli agenti commerciali indipendenti, il testo dell’art. 1751 cod. civ., che disciplina l’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, è stato completamente sostituito, venendo meno la correlazione in precedenza esistente tra il codice civile e gli accordi economici collettivi, ai quali ultimi l’art. 1751 cod. civ. in passato effettuava un espresso rinvio.
Il nuovo testo dell’art. 1751 cod. civ. prevede testualmente che: “All’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:

  • l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
  • il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

L’indennità non è dovuta:

  • quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
  • quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;
  • quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.

L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente a un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.
La concessione dell’indennità non priva comunque l’agente del diritto all’eventuale risarcimento dei danni. L’agente decade dal diritto all’indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti.
Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente. L’indennità è dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell’agente.
Appare evidente l’assenza nell’attuale testo dell’art. 1751 cod. civ. di rinvii alla contrattazione collettiva, che ciò nonostante continua a prevedere in proposito una disciplina specifica determinando così, come detto, non pochi problemi di coordinamento.
Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale in merito, è quindi intervenuta la Corte di Giustizia che, con una pronuncia del marzo 2006, ha rilevato la sostanziale non conformità degli accordi economici collettivi, in particolare del 1992, con il testo della predetta direttiva Cee. Conseguenza diretta della pronuncia della Corte di Giustizia avrebbe dovuto essere la declaratoria d’inefficacia delle previsioni contenute nella contrattazione collettiva in tema di quantificazione dell’indennità di fine rapporto.
Tuttavia, in Italia sono seguite due sentenze della Corte di Cassazione dell’ottobre 2006, confermate da successive pronunce del marzo e aprile 2007 e da ulteriori pronunce del 2009, 2010 e 2011, secondo cui i criteri di calcolo indicati nella contrattazione collettiva costituirebbero una sorta di indennità garantita per l’agente, salvaguardandone dunque la validità come trattamento minimo.
In altri termini, mentre sino al marzo 2006 i criteri della contrattazione collettiva venivano ritenuti maggioritari come un valido e generale metodo di calcolo dell’indennità di fine rapporto, l’attuale posizione della giurisprudenza del Supremo Collegio considera gli accordi economici collettivi come un mero trattamento minimo, salva la facoltà dell’agente di richiedere, laddove più favorevole, il diverso trattamento previsto dall’art. 1751 codice civile.
Nella giurisprudenza italiana di merito si sono peraltro registrate alcune pronunce che hanno stabilito la nullità degli accordi economici collettivi nella parte in cui fissano criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto. Ad oggi, resta da risolvere il problema dell’individuazione dei criteri di calcolo dotati di un’sufficiente margine di generalità ed astrattezza tali da poter essere utilizzati preventivamente nei singoli casi concreti.
Ad ogni modo, l’assenza dei predetti criteri comporta che l’importo riconosciuto all’agente a titolo d’indennità di fine rapporto nel caso di cessazione del rapporto di agenzia, a condizione che ne sussistano i requisiti di esistenza, venga determinato partendo dalla soglia minima costituita dall’applicazione degli accordi economici collettivi (ammesso che risultino applicabili), fermo restando il limite massimo, sopra evidenziato, di un’annualità di cui all’art. 1751 del codice civile.
Avv. Ivan Fasciani

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