Punti di Vista | Moreno Pivetti, Architetto

Richard J. Neutra cinquant’anni anni dopo (1970-2020): rivivere il miracolo dell’esistenza

Nel Punto di Vista dell'arch. Moreno Pivetti la portata del messaggio che Neutra pone oggi, in occasione del cinquantennale della sua scomparsa (1970-2020), a celebrarne la figura e l’opera, collocandone l’eredità nel panorama attuale e futuro.
  1. Arch. Moreno Pivetti.

    L’American Institute of Architects (AIA) individuò in Richard J. Neutra (1892-1970) uno dei candidati al più alto riconoscimento di quella istituzione, la medaglia d’oro. Da subito, e da ogni parte del mondo, il canto più alto dell’architettura internazionale fece sentire il proprio sostegno tramite lettere di profonda ammirazione che ne collocarono la statura nel firmamento del dibattito internazionale.

Dal coro si alzò una voce che più di tutte sembrò restituire a Neutra il posto che meglio gli spettava nel XX secolo; fu quella di Sybil Moholy-Nagi, che con viva abnegazione affermò che “premiando Richard Neutra, l’istituto avrebbe premiato l’architettura nelle sue tre funzioni storiche principali. Come arte dell’ambiente progettato, come espressione di un orientamento e di un ideale di vita e come profezia di un futuro migliore”.

Quando nel 1982 Thomas Hines diede alle stampe la sua prima edizione sull’opera di Richard Neutra, libro che coincise con una grande retrospettiva al Museum of Modern Art di New York, il modernismo in architettura cominciava ad apparirci sotto una veste nuova. “In un momento in cui iniziava ad emergere l’infondatezza dell’opinione secondo cui il movimento moderno fosse privo di umanità”, scriveva il critico Wolf Van Eckardt, la mostra “dovrebbe gettare una nuova luce sull’opera di Neutra. Potrebbe fare di più: di fronte all’attuale crisi d’identità che attanaglia arte e architettura dimostra che, in ultimi analisi, la questione non verte su moderno o postmoderno, ma su buona o cattiva architettura”.

Le reazioni alla mostra del centenario, nel 1992 allo UCLA, furono la conferma di questa rivalutazione. Il critico William Wilson celebrò Neutra come “colui che portò la sensibilità tecnologica del modernismo internazionale teutonico nella terra dei lotus”, lo fece in “un’orchidea bianca che galleggiava in una vasca d’acqua blu”.

Nella fenomenologia del Modernismo Internazionale, le opere di Neutra manifestarono “la percezione del proprio tempo”, veramente “proclamarono la giusta rivoluzione”.

Semplici e pratiche, ma molto interessanti e varie dal punto di vista estetico, rispondevano alle due funzioni essenziali in tutte le opere d’arte nel campo della costruzione: offrire un riparo contro le calamità del mondo e un luogo in cui affrontare e godersi la vita”.

La portata del messaggio di Neutra ci pone oggi, in occasione del cinquantennale della sua scomparsa (1970-2020), a celebrarne la figura e l’opera, collocandone l’eredità nel panorama attuale e futuro.

Dietro l’architetto un filosofo” e avanti l’architetto una scienza

L’intensa ammirazione per la sua opera traspare in tutte le lettere con cui i clienti ringraziarono Neutra: “Lei è un alchimista che ha trasformato terra, acqua e cielo in un unico incantesimo…Questa casa sembra avere un’esistenza spirituale…Ricorda che il fatto di esistere è un miracolo (…)”.

Le opere di Neutra, sempre più “morbide” e danzanti nel paesaggio col maturare del suo linguaggio, ascoltano e fanno proprio il battito pulsante del cuore della Natura. Per un curioso e quanto mai riuscito anagramma, “Neutra”, di spigolosa pronuncia teutonica, si fa grazia al più morbido suono di “Nature”. Neutra and Nature: uno sposalizio che celebra “il miracolo dell’esistenza”.

Dominio della Natura non significa sconsiderata perversione delle sue forme e dei suoi processi, bensì l’arte di intonare al Suo ordine l’azione dell’uomo(R.J. Neutra, LA, 1953). Questi impercettibili richiami ai sensi esemplificano meglio di qualsiasi altra cosa le teorie enunciate nel suo celebre “Survival Through Design”, per cui Neutra coniò l’espressione Biorealismo.

Richard J. Neutra, Lovell Health House, 1927-29, Los Angeles, California.

Quali traiettorie attendono, oggi, il Modernismo in architettura, quel movimento che agli inizi del secolo scorso vide la luce dal tramonto della Vienna imperiale irrorandosi in più direzioni, innervando ricerca e progresso tecnico? Di certo il Modernismo contemporaneo dovrà progredire la ricerca Tecnica attraverso una visione Etica, allargando la profezia “Arte e Tecnica: una nuova unità” – nata in seno al Bauhaus – verso nuove interpretazioni. Sarà dalla danza congiunta tra Tecnica ed Etica che muoverà i passi un nuovo progresso, focalizzato sull’Uomo e sulla ricerca di criteri e strategie che gli consentano di ‘riappropriarsi’ del suo habitat naturale.

Riflettendo sugli sviluppi del Modernismo nel panorama italiano contemporaneo, non possiamo che pensare a Guido Canali come ad un ideale interlocutore ed interprete della lezione di Neutra. Il suo meditato e paziente lavoro ha evoluto e pone il Moderno secondo un’etica attenta alle reali finalità del progetto come strumento per indagare, ricercare, affinare e raffinare lo spazio dell’Uomo nelle sue interrelazioni con l’ambiente naturale e costruito. Penso ad alcuni silenti ma magistrali progetti dedicati agli spazi del lavoro (come gli Headquarters Prada e Smeg), ‘officine verdi’ in cui gli elementi primari della Natura (“terra, acqua e cielo”), al pari e forse ancor più dei materiali artificiali della costruzione, riconciliano l’Uomo con la semantica dell’esistenza.

Richard J. Neutra, Kaufmann Desert House, 1946-47, Palm Springs, California.

Ripercorrere, rivivere e celebrare RJ. Neutra, oggi, ci invita a ricercare, attraverso l’architettura, una speranza ed un significato per il XXI secolo; così scriveva il critico Thomas Hines: “vedevo nell’esperienza di vita di Neutra una storia potente, ricca di implicazioni: la nuova architettura, battezzata come “moderna”, avrebbe espresso, definito e plasmato il nuovo secolo”.

Ripercorrere R.J. Neutra significherà “esplorare il rapporto magico tra tutte le scienze (…) l’incontro prodigioso e stupefacente della biologia con la cultura, l’arte, le abitudini e i bisogni della quotidianità, tutti elementi che l’architetto deve saper riconoscere e armonizzare ma che nessuno di noi può ignorare. Bisogna progettare con maggiore umanità se si vuole progettare per vivere e vivere a lungo”. (Dion Neutra, LA, 1984).

Nel documento inedito a seguire inviatoci per l’occasione, Raymond R. Neutra (1939), terzo figlio di Richard Neutra ed attuale Presidente dell’Istituto fondato nel 1962 (Neutra Institute for Survival Through Design), tratteggia alcuni degli aspetti salienti della personalità del padre: le implicazioni fisiologiche, psicologico-percettive ed ecologiche della sua opera rappresentano il messaggio più prezioso che potesse darci in eredità, oggi, per affrontare le questioni latenti che la contemporaneità ha accelerato: “intonare l’azione dell’uomo all’ordine della Natura”. Ci ricorda, attraverso l’architettura, che “il fatto di esistere è un miracolo”.

di Moreno Pivetti, Architetto

Bibliografia

Hines, Thomas S. “Richard Neutra and the Search for Modern Architecture”, Oxford University Press, New York, 1982;

Hines, Thomas S. ”Richard Neutra (1892-1970)”, Electa, Milano, 1992;

Drexler, Arthur e Thomas S. Hines “The architecture of Richard Neutra: from International Style to California Modern”, The Museum of Modern Art, New York, 1982;

Neutra, Richard J. “Progettare per sopravvivere”, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2015;

Lamprecht, Barbara “Neutra: Complete Works”, Taschen Verlag, Köln, 2000;

Lamprecht, Barbara “Richard Neutra (1892-1970): Architettura per una vita migliore”, Taschen Verlag, Köln, 2004;

Dott. Raymond Richard Neutra, Presidente del Neutra Institute.

Tre tratti di personalità nel lavoro e nella carriera di Richard Neutra

Oggi, cinquant’anni dopo, possiamo riconoscere tre tratti apparentemente contraddittori nel lavoro e nella carriera di mio padre, l’architetto Richard Neutra. Da un lato, il suo lavoro rifletteva una squisita sensibilità per le viste, i suoni, gli odori e le trame del suo ambiente. Divenne famoso per la sua attenzione e la sua capacità di soddisfare le esigenze dei suoi clienti.  Dall’altro lato, era un entusiasta propagandista e promotore di sè stesso, al servizio del movimento moderno e della sua stessa carriera.  Quali potrebbero essere le radici di questi tre tratti?

Nato nel 1892, mio padre è cresciuto al secondo piano di un condominio all’angolo tra Tabor Strasse e Lessing Gasse nel secondo distretto di Vienna. Era molto più giovane, di quasi un decennio, rispetto a sua sorella l’artista Josephine, ed ai suoi fratelli l’ingegnere Siegfried ed il medico Wilhelm. Quando suo nonno paterno, un medico di stato dell’estremo est dell’Ungheria, morì insieme alla moglie di tifo, mio nonno Samuel, rimasto orfano, fu mandato a Vienna. Dopo un apprendistato, riuscì ad avviare una piccola fabbrica che produceva campanacci per le mucche e contatori del gas. Successivamente si sposò e fece in modo che i suoi figli avessero un’istruzione superiore.

I ragazzi Neutra hanno conosciuto l’artista Gustav Klimt (1862-1918), il compositore Arnold Schoenberg (1874-1951) e il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud (1856-1939). Sebbene fossero ebrei laici, tutti i fratelli Neutra, tranne mio padre, si convertirono al Cristianesimo. Mio padre era un umanista laico. Come gli altri abitanti del secondo distretto, i membri della famiglia Neutra erano immigrati assimilati dai territori esterni dell’Impero asburgico. La posizione del regime asburgico era quella di tollerare e proteggere gli ebrei, gli ungheresi, i polacchi, i croati, gli sloveni e i serbi, che portavano energia e attività economiche nella sua capitale in cambio della loro amichevole assimilazione. Crescere con questo multiculturalismo sarebbe servito in seguito, a mio padre, ad adattarsi alla vita negli Stati Uniti, così come nel suo lavoro di respiro internazionale.

Tabor: mio padre è cresciuto al secondo piano di un condominio all’angolo tra Tabor Strasse e Lessing Gasse.

Tra il 1850 e il 1870, in concomitanza con l’ordine dei ministri dell’imperatore Francesco Giuseppe di abbattere i bastioni medievali intorno alla città vecchia di Vienna, fu ordinata anche la canalizzazione del Danubio color cachi (cachi non blu!). Fino a quel momento, defluendo dall’intercapedine tra Leopoldsberg a ovest e Bisamberga a est nell’ampia pianura circostante, avrebbe inondato ciclicamente l’area intorno all’Augarten, il grande parco imperiale che Giuseppe II aprì al pubblico all’epoca di Mozart. Questa canalizzazione rese l’area sicura per la costruzione di un quartiere di condomini a quattro e cinque piani, molti dei quali con facciate neobarocche o rinascimentali e cortili interni.

Nella sua autobiografia, mio padre ricordava la sua tata che prendeva in giro un funzionario nell’edificio a tre piani sul lato opposto con uno specchio. Ricordava anche di aver alzato la testa per guardare fuori dalla finestra del primo piano di Lessing Gasse per vedere gli alberi verdi che sporgevano le loro chiome oltre il muro dell’Augarten, che costituisce il vicolo cieco di Lessing Gasse ad un solo isolato a nord.

A un certo punto, negli ultimi cinquant’anni, quella vista è stata bloccata dall’aggiunta di una scuola a più piani, in stucco bianco, che ha sostituito gli alberi che un tempo vi crescevano. Nessuna vista sugli alberi, quindi, ricompenserà un bambino che oggi sporga la testa fuori dalla finestra di quell’appartamento.

Le fotografie d’epoca in color seppia della zona dove mio padre ha trascorso la sua infanzia riflettono la sua descrizione della monotonia sia all’interno che all’esterno. Le foto del 1900 circa lo mostrano come un labirinto di strade incolori, buie e prive di alberi, circondate da edifici a più piani, proprio come lo descriveva nella sua autobiografia. La porta Augarten più vicina era all’angolo tra Lampi Gasse e Scherzer Gasse, a solo un isolato e mezzo di distanza. La bellezza del parco non può essere catturata con fotografie seppia.

Sollievo in natura: I panorami, i suoni e i profumi del frondoso parco dell’Augarten erano un felice contrasto con l’appartamento buio e le strade senza alberi del quartiere di mio padre.

Un giorno dell’aprile del 2007, in una mattinata insolitamente calda, ho visitato il famoso Augarten di Vienna. Gli imponenti castagni erano costellati da rametti di fiori bianchi e rosa, il loro fogliame verde impenetrabile formava una fitta chioma che si estendeva sopra i lunghi viali pedonali del parco. Qua e là, raggi di luce del sole gialla si facevano strada attraverso le ombre che proiettavano. Cominciai a pensare ai dipinti puntinisti di Gustav Klimt, realizzando che il fitto fogliame verde si librava davvero come una nuvola pesante. Una brezza mosse leggermente i rami in modo che i raggi del sole si spostarono e si posarono sulla ghiaia arancione, e si sentì nell’aria un profumo di lillà.

Non tutti quelli che vivevano negli appartamenti del secondo distretto e giocavano nell’Augarten hanno avuto la stessa reazione di mio padre. Ci sono prove che suggeriscono che mio padre era congenitamente attento all’esperienza multisensoriale (la “fenomenologia”) dei suoi contatti con la natura in una misura fuori dal comune. Il professor Volker Welter dell’Università della California, Santa Barbara, ha tradotto e citato sezioni dei primi diari di mio padre quando, ancora studente, fece un viaggio in Corsica prima della Grande Guerra:

“Una brezza molto soffice porta con sé un profumo, una fragranza molto fine appena percettibile; questo si concentra molto di più nelle strade più in basso e potrebbe provenire, credo, dalla collina di cinerea piena di cespugli bruciati, un profumo favoloso di caffè di fichi. Di solito appena accennata, è l’unica sensazione sotto la cupola blu del cielo. Il precipizio roccioso a destra della terra di mezzo, in direzione di Nizza, mostra un gioco di ombre che sembrano seguire la stratificazione della roccia e completare il viola della collina bruciata in un valore tonale più o meno uguale o leggermente inferiore del cielo. Sembrano fluttuare nell’azzurro”. (Welter, p. 220) 

Nel luglio del 1920, mio padre scrisse a mia madre la seguente nota sulla sua convinzione che l’esperienza dell’architettura coinvolgesse tutti i sensi:

“In che modo il disegno di una casa influenza il nostro intero senso dello spazio? Come ti ho spiegato in una delle nostre passeggiate, l’olfatto, il tatto, l’udito, la temperatura e gli occhi, anche un senso oscuro per i materiali, una corrente d’aria, una brezza, quando si passeggia nella galleria di un chiostro, l’aria che sale nel Duomo di Milano, l’esalazione dell’intonaco, della pietra riscaldata dal sole, una cantina ammuffita, o una cripta sotterranea carica d’acqua: il profumo del ferro, della lacca, delle macchie di legno, i depositi di vapore acqueo sui vetri delle finestre, il riverbero dei miei passi, l’eco degli arazzi o dei lastroni, il debole, costante flusso d’aria attraverso una torre traforata, tutto questo colpisce il cuore più di una vista, mille oggetti sembrano belli nella fotografia, mille altri sono diversi nella realtà. Un melo visto mentre si risale un passo in un certo punto, cinque metri prima di salire sulla cima, può essere un mistero più grande di tutti i fantasmi messi insieme. Cos’è che ci tocca così profondamente ogni volta che si arriva in quel determinato punto?” (Neutra, Promise and Fulfillment, p. 18)

Queste descrizioni dettagliate dell’esperienza del paesaggio e dell’architettura danno un forte indizio di quanto mio padre fosse sensibile alle viste, ai suoni e ai profumi offerti dalla natura e di come questo si colleghi alla pratica dell’architettura. Hanno anche un legame con le attente descrizioni soggettive che Wilhelm Wundt prescriveva come i fenomeni che dovevano essere spiegati con esperimenti di psicologia clinica e fisiologia sperimentale.

Schizzo di viaggio: Mio padre ha catturato i suoi ricordi multisensoriali in schizzi di viaggio come questo, da viaggi quando era studente nel Mediterraneo.

Questa capacità di mio padre di notare tutte le sfumature delle esperienze sensoriali è stata abbinata ad una spinta a catturare con amore il momento del suo ricordo attraverso il processo del disegno. Lo si può vedere nello schizzo di viaggio da studente in mio possesso, che probabilmente è stato disegnato durante questo stesso viaggio in Italia e in Corsica. Questa pratica quasi meditativa è continuata per tutta la vita e lo ha portato a fare lui stesso i suoi disegni di presentazione invece di delegarne il compito a personale junior o a servizi di rendering a contratto. Lo ricordo seduto in posizione eretta nel letto, che colorava volentieri il cielo e gli alberi con gessetti colorati che spargevano polvere sul suo pigiama e sulle lenzuola.

Un altro tratto della personalità di mio padre nella sua architettura e nei suoi rapporti con gli altri è stato quello della capacità di assimilazione e di adattamento, piuttosto che del confronto o del dominio. Questo era diverso da Wright, che si sentiva sicuro come parte della comunità rurale degli immigrati gallesi e come parte di una famiglia con una storia di ostinato anticonformismo religioso (Secrest, p. 21). Wright ha una storia di scazzottate e di aggressività, “a rimanere in piedi e tenere il proprio posto come un Americano forte e sicuro di sè“, anche nella sala di redazione di Adler e Sullivan! (Wright, Frank Lloyd Wright: An Autobiography, pp. 98–100) La famiglia ebraica di mio padre, invece, era a Vienna, in preda alla sofferenza, protetta dalla politica dell’imperatore Francesco Giuseppe, ma circondata dall’antisemitismo austriaco che avrebbe poi dato origine a Hitler e al nazionalsocialismo.

L’architetto e storico Pier Luigi Serraino cita le note dello psicologo che ha intervistato mio padre nello Studio di Architettura Creativa dell’Università di Berkeley del 1958: “Deve avere persone che lo amano e che gli sono completamente devote. Qualsiasi cosa di meno è estremamente inquietante“. (Serraino, The Creative Architect, p. 184)

Quindi, l’istinto di mio padre era quello di empatizzare e ingraziarsi gli altri attraverso la costruzione di relazioni personali, non sempre con sincerità. Questa sembrava una debolezza e un’ipocrisia a Wright e potrebbe aver contribuito a disapprovazione molto forte, al vetriolo, nella lettera a Mumford del 1932, o nel suo ultimo saluto epistolare a “l’astuto Richard“. I progetti di mio padre aspiravano ad accogliere la natura e anche le necessità dei clienti di diverse classi sociali e culture. Questo può aver contribuito a far diminuire l’intensità della sua espressione.

Mio padre aveva una spiccata predilezione per le luci della ribalta, e nel promuovere sè stesso era anche un importante propagandista del movimento moderno. Da dove viene il “bisogno di brillare” di mio padre? Rispetto alle storie di famiglia degli altri trentanove architetti creativi dello studio UC Berkeley “Creative Architects“, la famiglia di mio padre appare affiatata e stabile. Non c’è una madre opprimente o un padre brutale. Tuttavia, suo padre è arrivato a Vienna dall’outback, dall’entroterra ungherese come figlio ebreo di un medico da poco scomparso, morto di tifo, durante un’epidemia. Grazie ai suoi sforzi, e senza un’istruzione universitaria, mio nonno fondò una piccola fonderia e rientrò nella classe media. Si aspettava che tutti i suoi figli, compreso mio padre, diventassero professionisti. Quando mio padre tornò da scuola con il massimo dei voti, suo padre annuì con sommessa soddisfazione e disse: “Certo, questi sono i voti che prende un Neutra“.  Essendo lui stesso un quasi orfano, mio nonno potrebbe essere stato un padre emotivamente inespressivo.

Attraverso l’eccellenza e la realizzazione personale, mio nonno credeva chiaramente che i fratelli Neutra potessero prendere il proprio posto nella società viennese, nonostante il fatto di essere ebrei. Proprio come me, mio padre è nato quando i suoi genitori avevano quarant’anni, otto anni dopo la nascita della sorella Josephine. A differenza di me, credo che lui non fosse stato pianificato. Quando aveva dieci anni, i fratelli più grandi di mio padre erano già personalità di spicco nella tarda adolescenza o nei loro primi vent’anni, e si aspettavano che ogni altro membro della famiglia fosse all’altezza dei valori paterni. Donarono al piccolo Richard libri impegnativi da leggere, lo incoraggiarono ad unirsi alle loro argomentazioni estetiche e lo portarono persino nello studio dell’artista Gustav Klimt a Hietzing nel tentativo di ampliare la sua comprensione della grande arte.

È probabile che mio padre accettasse con entusiasmo gli inviti a unirsi al loro mondo intellettuale e artistico per dimostrarsi degno.

Tuttavia, come nel caso di tanti figli di immigrati, i fratelli Neutra, attraverso la loro stessa educazione, alla fine sono diventati più sofisticati dei propri genitori. Anche se mio padre scrive con ammirazione di suo padre e sua madre, sembra che si sia affidato più alla guida dei suoi fratelli che a quella dei genitori. Anche se ha menzionato i suoi genitori nelle lettere alla sua fidanzata, mia madre, così come nella sua autobiografia e nelle storie che mi ha raccontato, ha detto di più sulle cose che ha fatto con i suoi fratelli, la sua tata e la nonna materna, parte della famiglia Neutra per un certo periodo.

Quando mio padre aveva sedici anni, sua madre contrasse un cancro al seno. Ricordava di averla vista apparentemente addormentata sul divano quando uscì per recarsi a scuola, solo per scoprire, alla fine della giornata, che era morta. Nel 1958, disse all’intervistatore dell’UC Berkeley che “in gioventù, ogni volta che veniva lasciato solo, temeva che i suoi genitori non sarebbero tornati“. L’intervistatore disse: “La sua paura dell’abbandono è palpabile attraverso l’intervista, e il suo dominio appare come un meccanismo di difesa per aggirare una paura paralizzante di rifiuto“. (Serraino, The Creative Architect, pp. 184–185).

Mentre scrivo questo, mi viene in mente qualcosa su una fotografia di famiglia dell’infanzia di mio padre che appare nella biografia di Thomas Hines (Hines, p. 16). Probabilmente è stata scattata da suo fratello maggiore Siegfried, non presente nella foto. Un bambino di cinque anni, Richard, siede accigliato con le braccia incrociate. Mio padre mi disse che era infelice nella foto perché gli avevano rasato i capelli, forse per far fronte a un caso di pidocchi. Tuttavia, ora quest’aneddoto mi suggerisce un’altra storia.

Un giovane Richard Neutra siede da solo in prima fila davanti alla sua famiglia.

Il giovane Richard è seduto da solo nella sua fila; non è abbracciato da nessuno dei suoi genitori e nemmeno da un fratello maggiore. Nella fila successiva ci sono tre femmine: la sorella maggiore, una tata e la madre. L’ultima fila è formata dal fratello molto più grande, lo psichiatra Wilhelm Neutra, con la testa rivolta da un lato. A circa un metro di distanza si trova il loro cupo e barbuto padre Samuel, che aveva circa sessant’anni quando è stata scattata la foto. Forse il piccolo Richard ha imparato a trovare il suo posto nei ritmi già consolidati della famiglia Neutra attraverso comportamenti precoci (sia nel parlare che nel fare), mentre inconsciamente temeva di essere abbandonato se quelle strategie per attirare l’attenzione non fossero riuscite a conquistare l’affetto.

Il lato positivo è che crescere nella famiglia Neutra ha insegnato a mio padre a cavarsela da solo, cosa che gli sarebbe servita molto più tardi nella vita. Diventato adulto – dopo la morte della madre e di un’amata cognata – i fratelli maggiori di mio padre non sembravano molto interessati alla sua crescente carriera modernista. Invece, mia madre (che ha fatto da madre anche a lui), le sue sorelle e la mia nonna materna sono diventate una famiglia di sostegno per mio padre. Con loro ha instaurato rapporti duraturi e affettuosi, così come con l’amica quacchera dei miei genitori, la signora Toplitz.

Esperienze successive possono aver rafforzato il bisogno di mio padre di dimostrare il suo valore. Dopo aver lasciato Vienna, mio padre, durante la Prima Guerra Mondiale, ha attraversato a cavallo i passi montani del Montenegro e si è inoltrato nelle paludi dell’Albania. Poi ha vissuto il crollo dell’Austria e della Germania. In quelle situazioni, potersi rappresentare come degno può significare la differenza tra la vita e la morte per fame. Deve averlo aiutato anche come immigrato negli Stati Uniti, dove essere notato come una persona estremamente competente nel produrre un buon lavoro era la via per la sopravvivenza finanziaria, l’autostima e la realizzazione personale. Quindi, eccoci qui: una voce interiore severa che esigeva l’eccellenza e richiedeva un riconoscimento per essa. Una tenera attenzione ed una speranza di apprezzamento da parte dei suoi clienti unita a un’insolita risposta alle viste, agli odori, ai suoni e alle trame dell’ambiente naturale e di quello edificato. Tutti questi aspetti trovano le proprie radici profonde nella Vienna della sua infanzia.

Bibliografia

Hines, Thomas “Richard Neutra and the Search for Modern Architecture”, Rizzoli, New York, 2006;

Neutra, Dione “Richard Neutra: Promise and Fulfillment 1919-1932”, Southern Illinois University Press, Carbondale Illinois, 1986;

Serraino, Pierluigi, “The Creative Architect: Inside the Great Midcentury Personality Study”, The Monacelli Press, New York, 2016;

Welter,Volker, “From the landscape of war to the open order of the Kaufmann house: Richard Neutra and the experience of the great war”, in Annette Giesecke and Naomi Jacobs (eds.), “The Good Gardener: Nature Humanity and the Garden”, Artifice Books on Architecture, London 2014;

Wright, Frank Lloyd “Frank Lloyd Wright: An Autobiography”,  Longmans Green and Company, London, New York 1932.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here