Editoriale | Livia Randaccio

Ricostruzione post-sisma, occorre un piano organico nazionale

Tra due giorni, il 24 agosto, è la ricorrenza del terremoto che, lo scorso anno, ha devastato molti territori del Centro Italia. Ieri sera un'altra scossa ha colpito l'Isola D'Ischia. Eventi che ci portano a una sola conclusione: dare vita quanto prima su tutto il territorio nazionale a un serio ed organico piano di prevenzione e messa in sicurezza del patrimonio edilizio. 
Livia Randaccio | Direttore editoriale Imprese Edili.

C’è una frase che ho sentito ripetere più volte dalle varie autorità (presidente del consiglio, ministri, presidenti di Regione, consiglieri regionali e comunali, Juncher….) che si sono succedute nel far visita ai luoghi colpiti dai sismi dello scorso anno: «non vi lasceremo soli».

Sono vicina a chi ieri sera, dopo le scosse, si è riversato nelle spiagge e nelle vie dei paesi dell’Isola D’Ischia. In quei momenti ti senti veramente solo e a poco servono le frasi del tipo «non vi lasceremo soli» quando, con il passare dei giorni e dei mesi si trae il bilancio che la fase dell’emergenza non è stata ancora superata e che la fase di ricostruzione non è ancora partita.

Dico subito che da parte degli italiani (la società civile, le associazioni professionali, le imprese private, i semplici cittadini) c’è stato un continuo, meraviglioso e manifestato sentimento di solidarietà nei confronti dei residenti delle regioni colpite dai sismi dello scorso anno. Una solidarietà che anche negli anni passati, in Friuli come in Emilia, in Umbria come in Irpinia ha sempre evidenziato il cuore degli italiani.

Proprio ieri pomeriggio nella conferenza stampa di bilancio a un anno dal sisma del Centro Italia e comunicazione che il prossimo 9 settembre Vasco Errani lascerà l’incarico di Commissario per la Ricostruzione, il premier Gentiloni ha ammesso che i tempi della ricostruzione hanno registrato enormi ritardi e continui disagi per le popolazioni di Umbria, Lazio, Marche e Abruzzo. Pensiamo infatti agli sfollati, intere comunità e nuclei familiari che hanno subito gli spostamenti dai comuni del cratere agli alberghi del litorale adriatico e di lì in altre località, visto che le strutture alberghiere della costa dovevano dare spazio al turismo balneare per il sopraggiungere dei mesi estivi. Pensiamo a chi ha trascorso i mesi autunnali e invernali nelle tende con l’angosciante tristezza di vedere le loro città sommerse da detriti e macerie che, a oggi, solo per una percentuale bassissima sono state rimosse (si parla del 10%). Pensiamo al disagio di chi ha anelato ad avere «una casetta provvisoria» per ritornare a vivere e non abbandonare quei luoghi e, a oggi, deve riscontrare che la percentuale dei moduli abitativi richiesti è ferma a quota 14%. Tra 15 giorni inizierà il nuovo anno scolastico ma il piano ricostruzione delle scuole è anch’esso in ritardo. Non dimentichiamo inoltre che tra le cause dei ritardi un posto d’onore spetta alla lentezza della burocrazia, a quell’iter burocratico spropositato che vige in italia e che, purtroppo, continua a essere una palla al piede. E con quest’affermazione non voglio insinuare il dubbio che antimafia e Anac facciano male a essere vigili. Ritardi e lungaggini che non sono mancati tant’è che alla fine di giugno, invitata a moderare la tavola rotonda «Ricostruire per vivere meglio. Una nuova edilizia al servizio delle persone e della comunità» organizzata dalla FilcaCisl a Perugia ho potuto riscontrare personalmente le difficoltà dell’azione del Governo centrale e locale parlandone con i diretti interessati.

Le prime considerazioni che abbiamo riportato (geometri, geologi, rappresentanze sindacali di settore, ingegneri) ancora una volta ci evidenziano la necessità che il Paese metta davvero mano a un’organica azione di prevenzione antisismica del patrimonio edilizio. Qui non si tratta di far la differenza tra patrimonio edilizio pubblico e quello privato. Professioni e competenze tecniche per poter affrontare un piano organico non mancano e lo Stato su queste professioni (uomini e imprese) deve necessariamente fare leva se vuole raggiungere gli scopi prefissati.

Occorre però un serio programma d’interventi coordinati e pianificati: la storia dell’edilizia in Italia mi è di supporto e cito come modello il Piano Ina Casa. A pochi mesi dalla fine del secondo conflitto mondiale, a febbraio del 1949, il Parlamento italiano approvò un progetto di legge proposto dal ministro del Lavoro Amintore Fanfani con l’intento principale d’incrementare l’occupazione operaia attraverso lo sviluppo del settore edilizio. Quel Piano Pluriennale significò uno dei momenti più importanti della storia dell’architettura e dell’urbanistica del ‘900 in Italia con il risultato che le case edificate permisero a un gran numero di famiglie di migliorare le loro condizioni abitative, per le maestranze professionali (ingegneri, geometri, architetti) i nuovi insediamenti edilizi significarono notevoli possibilità per dare forma alla ricostruzione delle città e per le imprese fonte di crescita economica e occupazionale.

Ecco dunque, occorre ripetere quel modello del Piano Fanfani affinché i territori del Centro Italia siano ricostruiti per passare alla storia anch’essi come la grande ricostruzione di allora: con lo Stato che faccia la sua parte senza i se e senza i ma dell’Unione Europea.

Livia Randaccio, direttore editoriale Imprese Edili

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