Editoriale | Livia Randaccio, direttore editoriale

Ripresa economica: profezia e realtà

Andiamo in vacanza con la notizia che l'Ance ha eletto al suo vertice Claudio De Albertis, scelta in continuità con il forte impegno profuso negli ultimi 9 anni da Paolo Buzzetti. Notizia che fa bene al futuro delle costruzioni visto che non mancano prospettive e pronostici preoccupanti come quello del Fmi quando sostiene che servono 20 anni all'Italia per tornare alla situazione occupazionale ante-crisi.
Livia Randaccio| Direttore editoriale Tecniche Nuove
Livia Randaccio| Direttore editoriale Tecniche Nuove

L’universo delle costruzioni si appresta a ad andare in vacanza con la notizia del ritorno alla presidenza dell’Ance nazionale di Claudio De Albertis che sostituisce nel mandato triennale Paolo Buzzetti. Di questo cambio della guardia all’insegna della “collaborazione necessaria per traghettare finalmente il comparto fuori dalla crisi da cui fatica a uscire” avremo modo di parlarne certamente alla ripresa autunnale, di sicuro c’è la notizia dell’altissimo profilo della formulazione della squadra dell’Ance che per un triennio governerà l’intero sistema delle costruzioni.

COSA CI DICE IL FMI
Un’altra notizia invece fa discutere e lascia perplessi: il potenziale di crescita dell’economia italiana è ritenuto troppo basso e per il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) all’Italia occorreranno 20 anni per tornare ai livelli occupazionali ante-crisi. È sicuramente questo un pronostico preoccupante che riguarda l’Italia e più in generale i Paesi del Sud Europa. Per il Fmi senza una significativa “accelerazione della crescita alla Spagna serviranno quasi 10 anni per ridurre il tasso di disoccupazione e portarlo ai livelli antecedenti la crisi, al Portogallo e all’Italia serviranno quasi 20 anni“. Il Fmi ha completato questo quadro sostenendo che il tasso naturale di disoccupazione, delineato come tasso di disoccupazione a inflazione stabile nel nostro Paese, rimane più alto di quello considerato durante la crisi così che la ripresa sarà più lenta e tarderà il rilancio occupazionale. Nel nostro caso le problematiche si legano e si sommano a fattori già considerati (quali per esempio l’inefficienza della pubblica amministrazione, le riforme…) che vanno a complemento di una situazione caratterizzata dalle debolezze di fondo dell’economia europea. Anche quelle che interessano Paesi attualmente più robusti. Per il Fmi la ripresa economica dei Paesi dell’Eurozona esiste ma il potenziale di crescita (stimato all’1%) è troppo basso per permettere una ripresa occupazionale. A questo punto scatta la convinzione del Fmi, come unico correttivo “che l’Italia migliori la flessibilità del mercato del lavoro facendo leva su altre riforme: migliorando per prima cosa l’efficienza della pubblica amministrazione e della giustizia civile“. Sin qui le considerazioni del Fmi, invece dal ministero dell’Economia-Tesoro emergono divergenze secondo cui la stima dei 20 anni del Fmi “non considera le riforme strutturali che sono state già introdotte e in particolare quella del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro“.

PROVIAMO A RIFLETTERE
Sono dell’ idea che il Fmi non abbia la classica “sfera di cristallo” per ipotizzare uno scenario certo per il futuro. Anche perchè nessuno può immaginare quale sarà lo scenario economico tra 20 anni (2035). Le considerazioni del Fmi ci dicono in sostanza che marciando l’economia alla velocità attuale ci vorrebbero “tot anni” per colmare il gap che ci separa dalla situazione pre-crisi. Per questo credo sia cosa saggia prendere queste proiezioni con cautela, per quello che sono, ovvero un semplice strumento per constatare la distanza che divide tra loro situazioni economiche differenti. Con questo non voglio dire che il Fmi abbia torto nel sollecitarci a porre rimedio alle problematiche occupazionali. È certo infatti che una crescita così lenta come è la nostra non permette l’irrobustimento di un mercato del lavoro fermo: questo non solo in Italia ma ovunque in Europa.

LA MINI-RIPRESA E LE PMI
Secondo un’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre sarebbero poco più di 253.500 le nuove assunzioni non stagionali previste in questi primi 6 mesi del 2015 nei settori dell’industria e dei servizi privati. Si tratta di un aumento del 25,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. Con riferimento al totale delle assunzioni, poco più di 164.000 persone (pari al 65 per cento del totale) avrebbero trovato un impiego presso il settore dei servizi: in particolare, 40.300 nel commercio (cassiere/i, commesse/i, magazzinieri, impiegati), 29.710 in quello dei servizi alle persone (massaggiatori, parrucchieri, estetiste, badanti, infermieri, assistenti sociali) e 26.910 nel turismo e nella ristorazione (camerieri, addetti alle camere, cuochi, barman).  Nell’industria, invece, le previsioni dicono che i neo assunti non stagionali sarebbero poco meno di 89.500 (pari al 35 per cento del totale). La parte del leone l’avrebbe fatta il settore delle costruzioni: tra ingegneri, geometri, carpentieri, muratori, lattonieri e gruisti i nuovi occupati sarebbero 1.930. Nel settore meccanico ed elettronico, invece, i soggetti che avrebbero cominciato a timbrare il cartellino sarebbero 16.870.
Statistiche di fiducia, senz’altro, ma purtroppo il Paese nel solo comparto dell’edilizia ha perso 500mila posti di lavoro e quasi altrettanti ne ha persi nel manifatturiero. Con la crisi abbiamo perso il 12% delle nostre fabbriche. In molti sono convinti che sia sufficiente togliere gli investimenti dal Patto europeo di Stabilità ma non credo basti questo, anche perchè i vincoli servono per porre un freno agli sprechi ma non a rilanciare gli investimenti. E se lo sviluppo è legato alle percentuali dello 0,… allora si che c’è da preoccuparsi.

FORSE SERVE…
Quanto ai rimedi ai quali fa rifermento il Fmi credo siano argomentazioni fruste. Un possibile punto di partenza per un’analisi ci può venire dalla considerazione della situazione occupazionale vigente caratterizzata da un nucleo ristretto di lavoratori altamente professionalizzati a fronte di un esercito di operatori scarsamente qualificati a cui è impossibile prospettare possibilità di mobilità. Non ultimo c’è una massa di uomini e donne ormai fuori dal mercato del lavoro (in genere sono 45-50enni) e difficilmente ricollocabili e una massa di giovani che non lavora, giovani che hanno smesso gli studi e vivono in attesa di chimere. Avete presente la canzone di Gino Paoli di qualche anno fa “Eravamo quattro amici al bar“? Dalle parole della canzone trapelava l’impegno, la volontà, il bisogno di darsi da fare, il confrontarsi, il mettersi in gioco per cambiare quel che non va.
Oggi i quattro amici al bar rischierebbero di essere molti di più e di aspettare una chiamata che non arriverebbe mai. E sembra di rivedere la situazione di alcuni paesi del Sud Italia quando, nel primo dopoguerra, i giovani se ne stavano davanti ai bar e alla chiesa in attesa di una chiamata dei capimastri per lavorare a ore sui cantieri.

DOMANDA INTERNA
Quello che mi pare realmente preoccupante è che nel Paese sta inesorabilmente sparendo il ceto medio, proprio quella parte di ceto sociale e produttivo che negli anni passati (e per anni passati considero senza alcuna distinzione tutti i decenni del secolo scorso, il ‘900) è stato l’emblema del benessere e delle prospettive di sviluppo, di crescita e di mobilità sociale. Se il ceto medio crolla, se s’impoverisce, se non ha prospettive e se il Paese non favorisce prima e consolida poi una situazione virtuosa di crescita reputo sia davvero difficile uscire dalla crisi e allora si che le profezie del Fmi potrebbero divenire amara realtà.

Livia Randaccio
(livia.randaccio@tecnichenuove.com)

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