Costruire in laterizio | Tecnologia applicata

Strategie costruttive per edifici Nzeb salubri

Gli involucri edilizi ad altissimo isolamento e tenuta all’aria influiscono sulle condizioni ambientali interne degli edifici, non solo da un punto di vista termico ma anche da quello igrometrico, determinando un  accentuato rischio di formazione di muffe e possibile impatto sulla salute degli abitanti.
Esempio di formazione di muffe dopo un intervento di sostituzione di vecchi serramenti permeabili all’aria con nuovi serramenti.

Cil 175 – Negli ultimi decenni, la Comunità Europea, in applicazione agli obiettivi del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra, ha emanato una serie di direttive orientate a ridurre progressivamente, fino quasi ad azzerare, anche compensando con energia prodotta da fonti rinnovabili, il consumo energetico degli edifici, ed a realizzare edifici a consumo energetico quasi nullo, in inglese Nzeb – Nearly Zero Energy Building (1).

Ciò ha comportato l’introduzione nel nostro contesto di nuovi modelli costruttivi, forse eccessivamente ispirati all’approccio tipico di Paesi con clima molto freddo, ovvero basati sulla minimizzazione degli scambi tra interno ed esterno grazie ad un involucro edilizio ad altissimo isolamento termico e tenuta all’aria.

Tale modalità costruttiva, se passivamente mutuata nel nostro contesto, rischia di creare edifici, certamente a bassissimo consumo energetico (in inverno), ma con possibili ripercussioni sul comfort interno e sulla salute degli occupanti.

I moderni serramenti a sempre più elevata tenuta all’aria e la difficoltà nell’utilizzo diffuso di impianti meccanici per la gestione dei ricambi d’aria contribuiscono ad acuire il problema. Inoltre, se un elevato livello di isolamento dell’involucro permette di risparmiare energia nella stagione fredda, esso rischia di generare un surriscaldamento degli ambienti nel periodo estivo (con conseguente incremento dei consumi e dei costi di climatizzazione) in contesti climatici caldi e temperati [1–4].

L’adozione di involucri ad altissima tenuta, riducendo la trasmissione di ogni tipo di flusso tra interno ed esterno, tende a modificare le condizioni ambientali interne non solo da un punto di vista termico ma anche da quello igrometrico, con accentuato rischio di formazione di muffe e possibile impatto sulla salute degli abitanti.

Di conseguenza, se costruire Nzeb comporta elevati costi di investimento, questi rischiano di non essere compensati dai minori consumi (e quindi ridotti costi in bolletta) in fase d’uso, quando bisogna intraprendere spese aggiuntive per il miglioramento del comfort e della salute degli occupanti, costi questi ultimi difficilmente stimabili.

È pertanto opportuno riflettere sui reali requisiti che deve avere un edificio a energia quasi zero in un contesto climatico temperato e mediterraneo come quello italiano, che si sta anche muovendo verso estreme ed inattese condizioni climatiche, e andare oltre i concetti oramai tradizionali di Nzeb diffusi altrove in Europa [1].

Quest’articolo vuole fornire uno spunto di riflessione sull’importanza di contemperare le esigenze del risparmio energetico e del contenimento delle emissioni con la qualità dell’aria interna negli edifici e di assumere criteri progettuali coerenti ed equilibrati, per la realizzazione di un involucro realmente in grado di controllare e mitigare gli effetti delle condizioni ambientali interne ed esterne, che tenga conto della destinazione, i modi d’uso dell’edificio, lo stile di vita degli occupanti.

Standard costruttivi per Nzeb, problematiche connesse

Le modalità costruttive di riferimento per la realizzazione di edifici di tipo Nzeb sono oggi spesso costituite dai cosiddetti edifici passivi nati e diffusi nei contesti climatici più freddi del nord Europa.

Tali edifici sono in grado di assicurare in tali climi il benessere termico agli occupanti con minimi consumi energetici, grazie ad un involucro ad elevatissima resistenza termica e all’utilizzo appunto passivo degli apporti solari o degli apporti gratuiti interni dati dagli occupanti e dai macchinari presenti, i quali permettono di innalzare le temperature dell’aria interna nella stagione fredda.

Per ottenere tali prestazioni energetiche è necessario non solo costruire un involucro con ridotta trasmittanza termica, ma anche limitare fortemente l’influenza dei ponti termici (ridotta trasmittanza termica lineica, grazie alla continuità dell’isolamento termico in corrispondenza di tutte le discontinuità geometriche dell’edificio) e ridurre drasticamente la permeabilità all’aria soprattutto per le costruzioni a secco, che spesso non presentano strati continui di intonaco a garantire la tenuta all’aria (attenzione in fase di cantiere alla messa in opera di adeguati strati funzionali di tenuta all’aria adeguatamente connessi, per impedire il passaggio di aria in corrispondenza dei nodi di attacco tra struttura, parete e solai).

Ovviamente i requisiti prestazionali dell’involucro di un Nzeb possono essere raggiunti con una vasta gamma di tecnologie (muratura portante, muratura di tamponamento nella struttura a telaio, tecnologie stratificate a secco…) purché si prevedano una progettazione ed un’esecuzione volte alla risoluzione di determinate questioni tecnologiche.

Le prescrizioni normative spingono ad ottenere questo risultato mediante importanti trasformazioni dell’involucro, oramai indirizzato ad essere costituito da spessori importanti di materiali isolante e, per via della necessità di contenere lo spessore stesso della muratura, da spessori sempre più piccoli (in molti casi quasi solo pelli) di materiali con altre funzioni. A questo si associa l’azione di miglioramento prestazionale dei componenti vetrati, spinti verso livelli di impermeabilità all’aria sempre più elevati.

Tale strategia può comportare tuttavia importanti conseguenze sulla vivibilità degli spazi interni, complice anche l’aumento del grado di affollamento degli alloggi (sempre più piccoli come taglio).

Gli elevati picchi di umidità interna raggiunti come risultato, se non propriamente gestiti attraverso impianti di ventilazione meccanica controllata o sistemi alternativi, possono determinare con seguenti problemi di discomfort per gli occupanti, innalzamento dei contenuti d’acqua superficiale, condensazione, deperimento dei materiali edilizi e sviluppo di microorganismi patogeni.

Tali fenomeni si stanno oggi già verificando frequentemente nell’ambito di interventi di ristrutturazione edilizia, laddove ad esempio la sostituzione dei vecchi serramenti a vetro singolo con nuovi, a perfetta tenuta ed elevata prestazione termica, riduce notevolmente i ricambi d’aria all’interno dell’ambiente e determina fenomeni di condensa, soprattutto nei ponti termici (fig.1, fig.2).

Paradossalmente si cominciano ad osservare fenomeni di sviluppo di muffe in pareti che, grazie agli alti livelli di isolamento, avrebbero oramai dovuto essere esenti da questi problemi. Allo stesso tempo, in edifici caratterizzati da tale logica di ermeticità ed isolamento dell’involucro, si osservano anche altri fenomeni, come una maggiore sensibilità delle superfici esterne alla crescita di organismi biologici, quali alghe e cianobatteri.

L’adozione diffusa di sistemi di isolamento esterno a cappotto, pratica diffusa negli edifici di nuova costruzione per il conseguimento di elevati standard energetici, costituisce una efficace barriera contro lo scambio di calore e vapore tra l’interno e l’esterno degli edifici, ma i materiali posti alle estremità, ovvero quelli rivolti direttamente verso l’ambiente interno o verso l’esterno, risentono maggiormente delle condizioni ambientali dirette cui sono sollecitati. Le superfici esterne, in particolare, risentono maggiormente delle condizioni climatiche quali temperatura e radiazione solare.

In inverno, le basse temperature cui sono soggette non sono mitigate più dai flussi di calore dispersi dall’edificio, come accadeva per gli involucri tradizionali poco isolati. Questo fenomeno, chiamato disaccoppiamento termico [2], accentua i fenomeni di condensazione superficiale e determina una maggiore proliferazione di organismi biologici.

Esempio di formazione di muffe in un edificio con isolamento a cappotto esterno, in cui il ponte termico costituito dalla trave di copertura non è stato correttamente gestito.

Edifici e qualità dell’aria

Le trasformazioni che stanno subendo i sistemi costruttivi per via della spinta all’efficienza energetica sono particolarmente problematiche se messe in rapporto al quadro di conoscenze in merito alla qualità dell’aria interna [5].

È noto che nella società moderna l’uomo spende circa il 90% del proprio tempo in ambienti interni, quali case, uffici, edifici commerciali o utili allo svolgimento di attività ricreative. In tali ambienti, a seconda dell’età, del peso e dell’attività svolta, ciascuno di noi ha necessità di circa 0.1-0.9 l/s di aria per la respirazione (0.16 m3/h) [6].

Tale aria tuttavia non deve contenere al suo interno inquinanti in concentrazioni elevate al punto da costituire un problema per la salute, durante una esposizione sia di breve sia di lungo periodo, e pertanto occorre garantire che essa provenga in una quota significativa dell’esterno, ottenendo in tal modo una diluizione degli inquinanti eventualmente presenti.

Ciò si può ottenere solo assicurando un numero di ricambi orari commisurato alle persone presenti, all’attività da loro svolta, alla tipologia ed alla concentrazione di inquinanti presenti.

Tale necessità si scontra oggi con l’esigenza di contenimento dei consumi energetici negli Nzeb. Per limitare le spese energetiche per il riscaldamento negli edifici, la letteratura è infatti concorde nel definire la necessità di agire sugli scambi termici di tipo convettivo, riducendo la quantità d’aria scambiata, in forma non controllata, tra interno ed esterno nella stagione fredda ad un massimo di 0.3 [1/h] ricambi orari (alcuni protocolli nord-europei chiedono anche valori inferiori).

Tuttavia, limitare in maniera così importante i ricambi d’aria può avere conseguenze significative sulla salute degli abitanti. Una importante forma di inquinamento dell’aria interna è quella correlabile alla presenza di microorganismi. Lo sviluppo e la proliferazione di organismi di origine biologica (muffe, batteri, funghi), all’interno di un edificio, richiede livelli di umidità elevati, combinati con una sufficiente capacità nutrizionale del substrato.

I funghi delle muffe necessitano in particolare di ossigeno, temperatura compresa tra 22°C e 35°C, umidità relativa dell’aria che lambisce i materiali che delimitano l’interno compresa tra il 70% e 95%, adeguato supporto di deposito che costituisca nutrimento. La concentrazione di vapore acqueo negli ambienti interni dipende dalla presenza di persone, dalle attività che si svolgono negli ambienti e ovviamente dal ricambio d’aria esterna.

Il problema della crescita di muffe all’interno di edifici è stato osservato in differenti aree geografiche e tipologie di edifici [7,8] e pare essersi acuito a seguito dell’innalzamento degli standard qualitativi per il contenimento dei consumi energetici [9].

Alcuni autori evidenziano che la velocità di crescita microbica aumenta proporzionalmente al grado di nutrienti disponibili nei materiali [10,11]. Alcuni materiali da costruzione particolarmente ricchi di carbonio, come la cellulosa o carbonati (carta da parati, materiali da costruzione a base di legno), sono più favorevoli allo sviluppo di muffe rispetto ad altri con minore contenuto di carbonio ( gesso e lana di vetro) [11]. Il tempo di esposizione necessario per la formazione di muffe varia significativamente in base alle condizioni ambientali in cui il materiale da costruzione si trova [12,13].

I materiali da costruzione inorganici mostrano requisiti minimi di umidità più alti e tempo di esposizione più lungo rispetto al mezzo ottimale per la germinazione dei funghi. In condizioni ambientali favorevoli (temperatura superficiale e umidità relativa) è richiesto un tempo di esposizione più breve per avere la germinazione.

Ma va considerato che le condizioni superficiali possono variare significativamente all’interno dello stesso edificio per effetto di ponti termici o fessurazioni sui muri. Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che una maggiore esposizione in ambienti insalubri, soggetti a proliferazione di muffe e funghi, è tra le cause primarie di reazioni allergiche e irritanti. Questo fenomeno è dovuto principalmente alla facilità di inalazione delle spore e dei loro scarti metabolici (2)

Le muffe possono causare malattie allergiche (riniti e congiuntiviti, asma bronchiale, alveoliti allergiche estrinseche) e infettive (Malattia dei Legionari, Febbre di Pontiac) [14–16]. Alcune sperimentazioni [17] hanno dimostrato che gli ambienti umidi non solo favoriscono la crescita delle spore, ma anche la formazione di batteri nocivi (micotossine) che possono causare importanti affezioni [15,16,18].

In generale è possibile dividere le affezioni provocate dalle muffe in tre tipi: micosi, micotossicosi e allergie. Per micosi si intende una crescita fungina sopra gli organi umani. Di solito, la micosi non rappresenta una minaccia per la salute dell’uomo, ma nel caso di immunodeficienza del soggetto la sua manifestazione può diventare un serio pericolo.

La micotossicosi è un’intossicazione che dell’organismo umano da parte di sostanze tossiche prodotte dal metabolismo dei funghi. Generalmente queste tossine non causano problemi agli individui, ma se l’intossicazione diventa cronica, il corpo umano non riesce più a decomporre ed espellere queste tossine, dando origine a patologie.

Le allergie sono dovute a reazioni eccessive del sistema immunitario. Le muffe che si sviluppano sulle superfici interne delle abitazioni possono causare allergie dovute all’inalazione di spore. In molte tipologie di funghi le spore hanno una dimensione di soli 2 μm così da poter facilmente penetrare all’interno dei canali bronchiali con la capacità di provocare asma.

Le spore che hanno diametro maggiore di 10 μm non riescono a raggiungere le cavità bronchiali ma vengono trattenute dalle mucose della faringe e possono dare seguito a riniti di tipo allergico. Alle muffe possono essere ricondotte anche le patologie raggruppate sotto l’acronimo SBS (Sick Building Syndrome).

Koskinen [19] evidenzia che l’aumento del rischio d’insorgenza della SBS è strettamente collegato all’aumento dell’umidità e alla crescita di muffe negli ambienti interni di edifici; Engvall [20] ha rilevato che la SBS è più frequente nei luoghi a elevata concentrazione di umidità unita a odori pungenti e muffe; Kishi [21] (OR ha studiato la possibile relazione causale tra la SBS e la qualità dell’aria e come la patologia si riscontri maggiormente in ambienti caratterizzati dalla presenza di muffe.

Strategie per Nzeb salubri

La ventilazione degli ambienti contro l’inquinamento biologico. Il quadro delineato in merito all’inquinamento biologico all’interno degli edifici evidenzia come due siano le strade da persegui re per rendere un Nzeb maggiormente salubre:

  • diluire il più possibile la concentrazione degli inquinanti
  • ridurre le sorgenti di inquinamento all’interno.

Un quadro relativo ai valori minimi di aria esterna per ventilazione da garantire, al fine di attenuare le  roblematiche connesse all’inquinamento chimico e/o biologico è dato dall’Ashrae [6], che fornisce un insieme di valori limite da raggiungere, in litri/persona, per ciascuna tipologia di attività e per ciascun ambiente all’interno di quella attività.

Il quadro evidenzia la necessità di un minimo di 3.7 m3/h persona ed un massimo di 10.8 mc/h persona (30 l/s persona) riferibile a sale fumatori all’interno di strutture commerciali. La maggior parte dei valori si concentra principalmente tra 3 e 4 m3/h persona.

In ogni caso, per gli edifici adibiti a residenza l’Ashrae propone, per gli spazi d’uso generale, un limite di 0.35 ricambi orari senza in ogni caso scendere al di sotto dei 7.5 l/s per persona che salgono a 25 e 50 l/s per bagni e cucine. Il calcolo dei ricambi orari va effettuato tenendo conto anche delle necessità di mantenere bassi i livelli di umidità per contrastare l’inquinamento di tipo biologico.

Per realizzare un Nzeb salutare pertanto la strada principale è ventilare. Tuttavia, in assenza di impianti di ventilazione meccanica, i ricambi orari ottenibili sono legati alla sola permeabilità all’aria dei serramenti e, in particolare, all’aria passante attraverso le guarnizioni in assenza di apertura dei serramenti, oltre che ovviamente alle aperture occasionali dei componenti finestrati.

L’apertura del serramento per alcuni brevi periodi nell’arco della giornata permette di ottenere sostanziali miglioramenti sul piano della qualità dell’aria ma ovviamente è una strategia non praticabile in quanto si porterebbe all’interno dell’edificio aria fredda con il conseguente incremento dei consumi energetici dell’edificio.

In assenza di apertura del serramento o di altri dispositivi utili alla ventilazione (anche di tipo meccanico) si hanno invece ricambi d’aria del tutto insufficienti e sensibilmente inferiori a quelli necessari in relazione alle problematiche di Iaq evidenziate.

Lo spostamento verso classi di serramenti con prestazioni elevate comporta peraltro il sostanziale azzeramento degli scambi di aria dovuti alle sole infiltrazioni. Da ciò deriva come un edificio Nzeb difficilmente può essere ventilato solo naturalmente, ma è necessario integrare la ventilazione naturale con quella meccanica.

Inoltre, se ci si affidasse solo alla ventilazione naturale, non si riuscirebbe, salvo una accuratissima progettazione anche in relazione all’impatto del vento sull’edificio, a tenere sotto controllo la sua entità.

Il tasso di ventilazione naturale dipende, infatti, dalla dimensione e dalla posizione delle aperture  dell’edificio, nonché dalla dimensione delle forze (differenze di pressione) che causano l’ingresso dell’aria, ovvero l’effetto camino e la pressione del vento.

È evidente pertanto che con la ventilazione naturale in un edificio, il movimento dell’aria ed i ricambi non sono costanti nel tempo ma dipendono dalle condizioni climatiche, dalla configurazione della costruzione, oltre che dalle azioni di controllo attuate dagli abitanti stessi.

Alternativa alla ventilazione naturale è la ventilazione meccanica. Nei sistemi più semplici, che trovano generalmente applicazione negli edifici residenziali, l’impianto sfrutta sistemi di estrazione dell’aria esausta, principalmente collocati nelle cucine e nei bagni, i quali, per via della depressione creata, favoriscono l’ingresso di aria dall’esterno principalmente attraverso le fessure presenti nell’involucro edilizio o attraverso bocchette di immissione ad hoc.

Non sempre tali sistemi sono però dotati di recuperatori di calore per pre-riscaldare l’aria immessa in ambiente, a svantaggio dei consumi energetici d’inverno. I vantaggi della ventilazione per l’estrazione dell’aria esausta sono un tasso costante di ventilazione e piccole pressioni negative all’interno dell’edificio.

Naturalmente è possibile impiegare più sofisticati impianti di ventilazione interna all’edificio, i quali possono comprendere recuperatori di calore per minimizzare il costo energetico del ricambio orario.

Sistemi di ventilazione centralizzati, sviluppandosi mediante condotti, richiedono una adeguata manutenzione e pulizia periodica per evitare proliferazioni batteriche, altrimenti l’impianto stesso può divenire causa dell’inquinamento interno dell’edificio. È possibile anche impiegare una combinazione di sistemi di ventilazione naturale e meccanica.

In questo caso si parla di ventilazione ibrida. Essa consiste in estrattori a basso consumo energetico posizionati all’interno di condotti per il prelievo dell’aria interna mediante ventilazione naturale.

Gli estrattori in questo caso funzionano solamente quando la differenza di pressione tra interno ed esterno è piccola o negativa al punto da determinare l’inversione dei flussi di aria. La ventilazione ibrida è quindi una buona strategia per garantire le portate necessarie per l’ottenimento di adeguati livelli qualitativi dell’aria minimizzando i consumi energetici.

La ventilazione ibrida può anche essere ottenuta mediante sistemi delocalizzati ed integrati all’interno dei componenti finestrati. Alcune aziende propongono, infatti, dispositivi di immissione di aria dall’esterno e di estrazione integrati nei componenti finestrati e con scambiatori di calore.

Laterizio faccia a vista in ambienti interni: Casa G a Como, Arch. Lorenzo Guzzini (CIL162 Interiors).

Il buffering per il contenimento dei carichi di umidità

La ventilazione, pur essendo il metodo principale per ottenere un Nzeb salubre, può essere efficacemente affiancata da altre strategie. In particolare è nota la capacità di molti materiali, in relazione alla loro struttura porosa e/o fibrosa, di agire da tampone (buffering) nei confronti dei gas presenti nell’aria.

Per sfruttare tale proprietà di buffering dei materiali è necessario che non ci sia una emissione costante di inquinanti nell’aria, ma che ci sia un periodo di carico elevato, nei quali i materiali possono adsorbire, seguito da periodi di carico minore, nei quali i materiali possono rilasciare.

Negli ultimi anni molti studi sono stati condotti su una particolare applicazione di questo principio: il moisture buffering [22,23]. In particolare, posta la difficoltà di ventilare significativamente gli ambienti dove stazionano persone producendo vapore, e considerando anche il fatto che alte pressioni di vapore determinano maggiori consumi negli impianti di climatizzazione per il raffrescamento degli ambienti, sono stati condotti studi sulla possibilità di impiegare materiali di finitura interni in modo da ottenere con questi uno smorzamento dei picchi di pressione di vapore interna all’ambiente (e quindi delle UR%) nei momenti di massima produzione per un graduale rilascio nelle ore successive.

L’impiego di materiali con capacità di buffering impedisce l’innalzamento delle UR% nei momenti di massima produzione di vapore, ovvero oltre le soglie considerate pericolose per la formazione di microorganismi quali le muffe.

Allo stesso tempo è limitatissima l’influenza dell’utilizzo di grandi spessori di materiale igroscopico, in quanto i fenomeni di adsorbimento descritti tendono a interessare solo 1-2 cm di spessore di materiale.

Test sono stati condotti per diverse tipologie di materiali e per diverse condizioni di carico igroscopico e si è osservato che tale proprietà dei materiali riesce ad essere efficace soprattutto laddove la produzione di vapore è costante (anche se non elevatissima) e laddove la ventilazione è tenuta bassa, come nel caso di camere da letto in periodo notturno.

Per classificare i materiali secondo tale proprietà, è stata definita una grandezza, il moisture buffering value (MBV), intesa come la quantità di acqua che una superficie unitaria di materiale è in grado di adsorbire e rilasciare per punto % di Ur% in un processo ciclico della durata di 16 ore (8 al 35% e 8 al 75% di UH). L’unità di misura del Mbv è pertanto: g/m2UR% per 8/16h. Materiali con Mbv superiore a 2 sono ritenuti eccellenti in termini di capacità di adsorbimento, mentre materiali con Mbv inferiore a 0,2 hanno prestazioni trascurabili.

Per avere una idea del significato pratico di un certo Mbv si consideri che in una camera da letto, due persone a riposo producono in 8 ore tra i 700 e gli 800 grammi di vapore. Se la stanza (14 mq) fosse completamente rivestita sulle pareti (28,5 mq) di un materiale che esibisce un Mbv pari a 1, questi avrebbe la capacità di trattenere in un ciclo 28,5 grammi di vapore per ogni punto percentuale di oscillazione diurna dell’UR%.

Assumendo una oscillazione dal 50% (fase diurna) al 70% (fase notturna), si ricava che questo avrebbe la capacità di trattenere 570 grammi di vapore determinando pertanto la sostanziale stabilizzazione delle UR% ambientali nella giornata intorno al valore medio di oscillazione (60%) ed evitando che si raggiungano valori critici per la crescita di microorganismi sulle superfici.

Va considerato tuttavia che l’applicazione di pitture al di sopra di materiali caratterizzati da elevati MBV può determinare una riduzione anche significativa della loro capacità di buffering e che non sempre risulta possibile il totale rivestimento delle pareti con materiali aventi queste caratteristiche. A questo proposito, risulta interessante l’utilizzo del laterizio faccia a vista come finitura di ambienti interni (fig.3). Come dimostrato sperimentalmente [24], infatti, alcune tipologie di laterizio hanno ottime capacità di adsorbimento.

Isoterme di adsorbimento di laterizi faccia a vista a confronto con quella della lana di legno. Le isoterme di adsorbimento sono curve che rappresentano il contenuto d’acqua del materiale in funzione dell’umidità relativa dell’aria in equilibrio con esso a temperatura costante.

A titolo di esempio, il grafico (estrapolato da [24]) rappresenta le isoterme di adsorbimento -curve che rappresentano il contenuto d’acqua del materiale in funzione dell’umidità relativa dell’aria in equilibrio con esso a temperatura costante- di tre tipologie di laterizio faccia a vista a confronto con la lana di legno (materiale con ottime capacità di adsorbimento). Dal grafico si deduce che alcune tipologie di laterizi hanno curve di adsorbimento (nel range delle Ur ambientali) superiori alla lana di legno e pertanto possono essere impiegati come «tamponi igroscopici».

Conclusioni

In attuazione alle disposizioni normative comunitarie in tema di efficienza energetica negli edifici e al loro recepimento a livello nazionale, negli ultimi anni abbiamo radicalmente, e repentinamente, cambiato il nostro tradizionale modo di costruire e in particolare la nostra concezione di involucro edilizio.

Questo è oggi sempre più inteso come una scatola ermetica, ad altissimo isolamento e tenuta all’aria, con l’obiettivo di limitare le dispersioni di calore verso l’esterno e quindi azzerare i consumi energetici in fase invernale. Tali modalità costruttive, tipiche di edifici energeticamente efficienti realizzati in paesi nordici, sono state spesso semplicemente adottate e replicate nel nostro contesto climatico temperato e mediterraneo, sempre più influenzato dai mutamenti di clima a scala globale.

Gli involucri ermetici non limitano solo i flussi di calore passanti, ma anche quelli di vapore. A causa di ciò la superficie delle pareti interne subisce fortissimi accumuli igroscopici, con accentuato rischio di formazione di muffe e impatto sulla salute degli abitanti. Anche i moderni serramenti a sempre più elevata tenuta all’aria contribuiscono ad acuire il problema.

Di conseguenza, se costruire Nzeb dovrebbe portare a ridotti consumi (e quindi costi in bolletta) in fase d’uso dell’edificio, occorre tuttavia valutare accuratamente, durante una analisi dell’intero ciclo di vita di un edificio, se tali risparmi rischiano di essere non così cospicui a fronte di più elevati costi di investimento iniziale (per la realizzazione di involucri e impianti più sofisticati), di spese aggiuntive per la manutenzione dei componenti e, aspetto certamente più rilevante, per il miglioramento del comfort e della salute degli occupanti.

Questo articolo mette in luce alcune delle possibili problematiche conseguenti ad un approccio costruttivo di iper-isolamento, a livello di durabilità dei componenti e della salute umana, con l’obiettivo di spingere progettisti ed addetti ai lavori ad una approfondita riflessione sulle caratteristiche e prestazioni attese in un edificio a energia quasi zero nel contesto climatico e costruttivo italiano.

Note

  1. Nel contesto normativo italiano, la definizione di edificio ad energia quasi zero è presente già nel decreto legislativo 19 agosto 2005, n.192, attuazione della direttiva 2002/91/CE, come modificato dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, “Conversione, con modificazioni, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63: disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale”. All’articolo 2 comma 1, l’“edificio a energia quasi zero” viene definito come un “edificio ad altissima prestazione energetica […]. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ).
  2. Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA

Riferimenti Bibliografici

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di Marco D’Orazio, professore ordinario,
Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Architettura,
Università Politecnica delle Marche

di Elisa Di Giuseppe, ricercatore,
Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Architettura,
Università Politecnica delle Marche

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