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Tegole di copertura in età romana: questioni di forma, posa in opera e impiego

In questo articolo vengono analizzati i due principali tipi di tegola da tetto usati in epoca romana, la cui diffusione dipende non solo da fattori culturali ed economici, ma anche climatici.

La copertura tradizionale dei tetti con tegole e coppi di terracotta, di tipo sostanzialmente identico alle soluzioni antiche, è ancora oggi comune in ambito mediterraneo.

La forma dei singoli elementi costitutivi è cambiata in modo sostanziale solo con l’Ottocento, quando la produzione meccanizzata permise di migliorare alcune soluzioni tecniche, in particolare quelle relative all’aggancio fra elementi. Tuttavia, su gran parte dei tetti degli edifici storici italiani sono ancora presenti tegole e coppi antichi; in molte fabbriche storiche le tegole di copertura sono rimaste in uso per secoli (si pensi alle chiese o ai templi ancora oggi coperti, sia pur parzialmente, con tegole di età imperiale romana1), a dimostrazione della resistenza degli elementi di terracotta e dell’efficacia di questo sistema di copertura.

Si tratta quindi di oggetti ancora oggi molto diffusi, ma piuttosto trascurati da parte degli specialisti di antichità, che fino a tempi recenti non ne hanno fatto metodico oggetto di indagine per quanto riguarda gli aspetti progettuali, i criteri di scelta nell’impiego, la diffusione, limitandosi a considerarne le sole parti decorative2.

1. Tipologia delle tegole piane di età romana. Disegno di F. Mosca.
1. Tipologia delle tegole piane di età romana. Disegno di F. Mosca.

Nell’ambito degli studi di architettura antica, invece, l’analisi degli elementi costruttivi, in quanto funzionali, ha una lunga tradizione, che ha ovviamente compreso anche le coperture dei tetti. Il termine tegola (dal latino tegula) identifica l’elemento piano di copertura del tetto, dotato di margini longitudinali rilevati (le c.d. ali).

In italiano esiste anche il sinonimo embrice (dal latino imbrex); tuttavia il termine latino indicava il coppo, la tegola curva che copre la giuntura tra due tegole piane. Si tratta quindi di uno slittamento semantico che potrebbe sfociare in equivoci terminologici e ne sconsiglia l’uso alternativo a tegola. Vediamo quindi cosa risulta dall’esame degli elementi piani di copertura dei tetti di età romana, le tegole, tralasciando in questa occasione i coppi, gli elementi speciali (comignoli, fratini, coppi di colmo, tegole angolari) e, ovviamente, quelli decorativi (antefisse, sime).

QUESTIONI DI FORMA

Nell’Italia romana sono in uso, nelle coperture degli edifici come in svariati altri impieghi edilizi, tegole piane di due tipi diversi: a) senza accorgimenti per la sovrapposizione (fig. 1a); b) con accorgimenti per la sovrapposizione, derivati da una progettazione precisa che trova applicazione al momento della formatura della tegola in cassaforma (fig. 1 c-d).

La tegola di tipo a) può presentare degli adattamenti, praticati successivamente alla formatura con una lama o una corda (fig.1b), o al momento della posa in opera semplicemente con l’uso della martellina da muratore o maleppeggio.

La tegola di tipo b), a sua volta, viene prodotta in due varianti che si differenziano per la tecnica di giunzione e di sovrapposizione: b1) la tegola con risega (fig. 1d); b2) la tegola con incasso (fig. 1c)3. Dal punto di vista morfologico, risega e incasso interessano l’estremità inferiore delle ali di una tegola, nella parte a contatto con la tegola su cui va ad appoggiarsi.

La risega è un incavo che interessa tutta l’estremità inferiore dell’ala, per metà circa del suo spessore; l’incasso è una cavità di forma grossomodo parallelepipeda, ricavata nella parte esterna dell’estremità inferiore dell’ala. Osservando la tegola dall’alto, le ali del tipo a risega mostrano una rientranza nella parte inferiore (fig. 2), mentre quelle del tipo a incasso risultano intere, dato che la cavità non raggiunge la superficie superiore dell’ala ed è quindi visibile solo lateralmente o dal di sotto (fig. 3). Dal punto di vista della realizzazione dei pezzi, fabbricare una tegola a incasso è più complesso che non fabbricarne una a risega, poiché la formatura richiede più passaggi e maggiore attenzione nella lavorazione.

Per ottenere la risega, infatti, è sufficiente un tassello di legno fissato permanentemente alla cassaforma; per ottenere l’incasso, invece, serve un tassello mobile (fig. 4); se questo fosse fisso l’azione di sfilatura della cassaforma dalla tegola appena formata causerebbe l’amputazione dell’estremità dell’ala. In ogni epoca, una o due operazioni in più equivalgono a un aumento di tempo nella realizzazione del manufatto e quindi a un rallentamento della produzione. Fattori che sono sicuramente stati tenuti in conto anche nelle manifatture artigianali di tipo preindustriale, quali quelle di età romana, per le quali infatti conosciamo molte testimonianze di conteggi e di valutazione della produttività della manodopera4.

2. Tegola a risega dalla tomba di C. Annius C.f. a Montepulciano (SI). Firenze, Museo Archeologico Nazionale. Foto Soprintendenza Archeologia Toscana.
2. Tegola a risega dalla tomba di C. Annius C.f. a Montepulciano (SI). Firenze, Museo Archeologico Nazionale. Foto Soprintendenza Archeologia Toscana.

QUESTIONI DI POSA IN OPERA
Dal punto di vista operativo, i due tipi differiscono anche per il modo con cui si combinano nella posa in opera di una copertura.
Le tegole vengono disposte sul tetto per file parallele, parzialmente sovrapposte per evitare l’intrusione e la risalita dell’acqua piovana. La tecnica costruttiva tradizionale prevede che le tegole vengano disposte sul tetto a partire dal basso (dalla gronda) verso l’alto (il colmo); i singoli elementi vengono disposti a partire dalla tegola di gronda, sovrapponendo l’estremità inferiore della successiva all’estremità superiore della precedente. Possiamo quindi dire che le tegole prive di accorgimenti per la sovrapposizione saranno, in genere, state destinate alla fila di gronda. Essendo le ultime della falda, non devono sovrapporsi ad altre tegole e anzi è richiesta l’integrità dell’estremità sporgente.

Poniamo ora che il capomastro antico debba decidere che tipo di tegola usare per il tetto che deve mettere in opera. Gli è ben noto che la tegola a incasso si sovrappone alla successiva per mezzo di un’azione di agganciamento (in pratica, sono elementi autobloccanti); la tegola a risega si sovrappone invece «per imbocco», cioè per mezzo dello scorrimento della tegola superiore su quella inferiore5. Queste diverse modalità di collegamento determinano comportamenti costruttivi diversi nel modo di rivestire un tetto: le tegole a incasso devono essere il più possibile uguali, pena l’impossibilità di agganciarle (e infatti sono sempre rettangolari), mentre quelle a risega, generalmente tendenti al trapezoidale, permettono un gioco maggiore e possono essere anche di dimensioni diverse. In base a quali criteri il capomastro sceglierà l’uno o l’altro tipo? È impensabile che questo tipo di scelta sia casuale.

3. Tegola ad incasso con bolli di Sex. Avidius Maxsimus, dalle fornaci romane di Vingone (Scandicci, FI). Disegno di F. Mosca.
3. Tegola ad incasso con bolli di Sex. Avidius Maxsimus, dalle fornaci romane di Vingone (Scandicci, FI). Disegno di F. Mosca.

In assenza di una manualistica antica che sciolga il dilemma, è necessario chiedere lumi all’archeologia, che mediante l’analisi della diffusione e il collegamento del dato tipologico ad altri fattori, quali il contesto di rinvenimento, il dato cronologico, il tipo di impiego edilizio, l’associazione con altri elementi (in particolare epigrafici: bolli e graffiti), fornisce spunti interpretativi che possono fare luce sui motivi economici e culturali alla base della scelta. Tuttavia, è necessario anche il confronto con le tecniche costruttive storiche e con i saperi attuali: proprio la morfologia e l’uso costante delle tegole attraverso i secoli risultano importanti, perché è possibile operare confronti con tecniche e metodi meglio conosciuti, in una vera e propria dimensione etno- archeologica.

CONOSCENZA SU BASE ARCHEOLOGICA: ANALISI DELLA DIFFUSIONE

Entrambi i tipi sono presenti in Italia e in Sicilia fin dall’introduzione, alla metà del VII secolo a.C., del sistema di copertura c.d. «misto» o «ibrido», costituito dalla tegola piana del sistema «protocorinzio» e dal coppo semicilindrico del sistema «laconico». L’analisi della distribuzione cronologica e geografica dei due tipi lascia però intravedere l’esistenza di alcuni macro-ambiti culturali di appartenenza, oltre ad alcune aree dove è possibile constatarne una compresenza, sempre quantitativamente diseguale.

Il tipo a risega di età romana deriva dalle tegole arcaiche dell’Etruria centro-meridionale, del Lazio e della Campania, esemplificate dalle tegole tipo Wikander IC e II trovate a Murlo, Acquarossa, Satricum, Veio, Roma. Si ritiene che il tipo Wikander II sia stato introdotto dal mondo greco in Etruria settentrionale, a Murlo, già dalla metà del VII secolo a.C. e si sia successivamente diffuso nel Latium vetus fino a diventare, nel V secolo a.C., l’unico tipo prodotto in entrambi i distretti; dall’ultimo ventennio del VI secolo a.C. il tipo è anche l’unico attestato più a nord, nella città di fondazione etrusca di Marzabotto. In età repubblicana e imperiale, questo tipo è massicciamente prodotto dalle officine laterizie della valle del Tevere, che sfornano materiale da costruzione per Roma e il suburbio: si tratta di una delle maggiori produzioni del mondo antico.

Il tipo a incasso sembra essere particolarmente diffuso nel mondo magnogreco, dove ha una vita lunghissima (VI sec. a.C. – VI sec. d.C.), con due varianti nella conformazione del profilo dell’ala: a quarto di cerchio o rettangolare. Lo troviamo in Sicilia e nell’Italia meridionale, in particolare in Campania, a partire almeno dalla seconda metà del VI secolo a.C.; a Pompei e nelle città vesuviane, dove rappresenta la schiacciante maggioranza delle tegole piane prodotte o usate tra l’età sannitica e il 79 d.C. La zona di produzione di queste tegole è stata localizzata nella zona di confine tra Lazio e Campania, ma anche nel territorio di Ercolano. In area adriatica sono a incasso le tegole usate nella fondazione di Rimini e di Iesi; a Portorecanati; in larga parte del Piceno: nel territorio di Fermo, per esempio, recenti ricerche hanno stabilito il predominio assoluto di questo tipo. Anche la grande produzione settentrionale di tegole con bollo Pansiana è di tipo a incasso. Le fornaci emiliane producevano tegole a incasso, come quelle stoccate nella fornace di Gavaseto (S. Pietro in Casale, BO) o come quelle di Calderara di Reno (BO).

4. Tegola ad incasso dalle fornaci romane di Vingone (Scandicci, FI). Particolare dell’incasso. Foto di R. Magazzini, Soprintendenza Archeologia Toscana.
4. Tegola ad incasso dalle fornaci romane di Vingone (Scandicci, FI). Particolare dell’incasso. Foto di R. Magazzini, Soprintendenza Archeologia Toscana.

A Marzabotto, dove ai tempi della presenza etrusca era esclusivo il tipo a risega, l’introduzione di quello a incasso in alcune sepolture contraddistingue l’avvento della romanizzazione. Infine, sono regolarmente di tipo a incasso le tegole fabbricate dalle/per le legioni romane dislocate alla frontiera, dal limes settentrionale alla Britannia, alla Spagna e al Nord Africa.

Non si è ancora sufficientemente sottolineato che è proprio questo tipo a incasso a essere portato dai Romani nella loro espansione colonizzatrice, prima nell’Italia centrale e lungo la dorsale adriatica, fino ai confini settentrionali e oltre, e quello che verrà usato e trasmesso dall’organizzazione militare della conquista7 (fig. 6). Come già detto, agli inizi i due tipi si diffondono in Italia in aree definite: l’area etrusco-latina adotta il tipo a risega, l’area campana quello a incasso.

In ognuna delle due aree esistono poi casi di adozione del tipo meno diffuso, probabilmente derivanti dalla circolazione di artefici e materiali per committenze specifiche o per particolari flussi commerciali. Tuttavia, l’espansione romana in Italia e poi nel resto del mondo romano (fino in Britannia e al limes) diffonde inizialmente solo il tipo a incasso; questo mentre a Roma e nel territorio etrusco si usa solo l’altro. A giudicare dai contesti di ritrovamento, l’introduzione massiccia del tipo a incasso sembra coincidere con l’introduzione di misure di popolamento o sistemazione agraria del territorio da parte di Roma, anche legate all’insediamento di colonie e centuriazioni.

Questo fenomeno deve dipendere da due fattori: da un lato il popolamento delle colonie in Emilia e lungo la costa adriatica è stato effettuato da coloni provenienti dall’Italia centrale (Umbria, Lazio, Campania)8, che portarono con sé le tecnologie edilizie tipiche delle zone di origine; dall’altro, i magistrati che gestirono la penetrazione romana nell’Italia transappenninica, stabilendovi duraturi rapporti clientelari, erano allo stesso tempo grandi proprietari terrieri nell’Italia centro-meridionale, interessati a offrire uno sbocco alle proprie clientele contadine9.

Considerando quindi la base cui si attingeva per popolare i nuovi territori, per esempio quelli cisalpini e le nuove colonie in Etruria, è verosimile che i magistrati fondatori abbiano inserito tra i coloni anche clienti o maestranze provenienti dai territori dell’italia centro meridionale dove erano i propri possedimenti, in massima parte persone dotate di conoscenze tecnologiche tali da poter costruire edifici e infrastrutture praticamente dal nulla. Forse anche i materiali per i rifornimenti dei cantieri, almeno nei primi tempi della colonizzazione, potevano provenire da questi stessi possedimenti; l’uso della tegola a incasso sarebbe così anche culturalmente il portato della romanizzazione.

6. Area di produzione e diffusione della tegola ad incasso. Elaborazione grafica di M. Spanu.
6. Area di produzione e diffusione della tegola ad incasso. Elaborazione grafica di M. Spanu.

CRITERI TECNICO-FUNZIONALI DI SCELTA DEL TIPO DI TEGOLA

Abbiamo fin qui visto come archeologia e storia antica forniscano numerosi spunti per capire i motivi della diffusione delle tegole a incasso e a risega. Rimangono però da esaminare i criteri tecnico/funzionali alla base della scelta dei manufatti, rimasti ancora in secondo piano.

La costruzione di un tetto è un’operazione di ingegneria che richiede molteplici conoscenze, oggi impartite da appositi insegnamenti di scienza e di tecnologia delle costruzioni. Anche l’antichità conosceva regole e tecniche, basate su nozioni geometriche e fisiche, e sostenute da una lunga esperienza empirica. Possiamo quindi mutuare dal mondo moderno l’individuazione dei criteri di base con i quali operare la scelta di una o dell’altra soluzione tecnica.

Mettiamoci dunque nei panni del nostro capomastro antico, con le risorse delle sue conoscenze tecnico- operative, certamente frutto di una lunga tradizione costruttiva. Cosa avrebbe risposto se gli si fosse chiesto quali sono i pregi del tetto di tegole? Probabilmente che è solido, stabile, resistente al caldo, al freddo, all’umidità, e durevole nel tempo; che richiede poca manutenzione, e che i suoi elementi sono facili a sostituirsi singolarmente, secondo necessità.

Inoltre, in caso di smantellamento dell’edificio, le tegole possono essere riciclate in molti modi, sia intere, sia in frammenti, e sono facilissime da produrre. Quali sono dunque i fattori tecnici in base ai quali scegliere un tipo di tegola? Lo scopo essenziale delle coperture è garantire la tenuta di acqua, neve, grandine, vento, e la resistenza al gelo; impedire l’insorgere di umidità, diminuire la dispersione termica dell’edificio e preservare dal degrado le strutture lignee portanti del tetto.

Considerando gli scopi essenziali delle coperture e valutando i sistemi di sovrapposizione, quello a incasso (un vero e proprio incastro) è più complesso da realizzare, ma rispetto al sistema a risega darà sicuramente più garanzie di tenuta idrica anche in condizioni molto sfavorevoli. Anche i produttori odierni di tegole hanno particolare cura nel realizzare le sovrapposizioni utilizzando sistemi anche con doppi incastri.

7. Mappa del valore caratteristico del carico neve al suolo per l’Italia (da www.aineva.it).
7. Mappa del valore caratteristico del carico neve al suolo per l’Italia (da www.aineva.it).

È significativo sottolineare l’importanza dell’aspetto climatico che condiziona l’architettura delle coperture, tanto è vero che in Europa si utilizzano tegole con caratteristiche e morfologia diverse a seconda dell’area geografica e climatica a cui sono destinate.

La legislazione italiana attuale prescrive regole di progettazione molto precise per le azioni dirette sulle coperture a falde10. Tra i requisiti fondamentali c’è quello della resistenza agli agenti atmosferici, in particolare al carico da neve (fig. 7) e da vento11. Come abbiamo visto, la diffusione della tegola a incasso segue due vie principali: la mobilità delle persone dall’Italia centrale verso nuove destinazioni e l’impiego da parte del mondo militare.

Ma l’espansione della tegola a incasso segue anche criteri di applicabilità tecnica: la colonizzazione romana segue l’arco adriatico e poi alpino, diffondendosi poi nei territori settentrionali. Considerato dal punto di vista tecnico, è lo stesso areale geografico delle maggiori precipitazioni nevose: un dato in più per capire perché proprio la tegola più rigida e autobloccante è quella che coloni e militari decisero di portare nei nuovi territori conquistati. Tecnici e artigiani di varia estrazione culturale e di varia provenienza trasferirono poi le proprie conoscenze nei vari territori di conquista: forse in maniera non sempre omogenea, contribuendo a una diffusione «mista» laddove le aree climatiche non fossero particolarmente sfavorevoli.

NOTE

1 Sono noti i casi dei tetti delle maggiori basiliche romane, con tegole antiche studiate da Pietro Crostarosa. Anche il c.d. tempio di Portuno, nel Foro Boario, ha un tetto in cui sono inserite 95 tegole antiche, con bolli databili tra la tarda repubblica e l’età tardo antica. Di queste, una è a incasso, di notevoli dimensioni e priva di bollo. La compresenza sul tetto di tegole ottocentesche, prodotte nelle figline romane coeve, fa ritenere che gli elementi siano stati rimaneggiati durante i restauri del 1829-1835 curati da Giuseppe Valadier, di cui è nota l’attenzione filologica agli elementi architettonici antichi (Valadier 1828) [1].

2 Ci sono ovviamente felici eccezioni, in particolare vari lavori di Örjan Wikander (1986, 1988, 1993) [2,3,4], imprescindibili per il metodo e l’ampiezza dello sguardo. Per lo stato dell’indagine tipologica e la relativa bibliografia, cfr. Shepherd 2008, pp. 263-268 e fig. 239 [5]; Shepherd 2007, pp. 60-62 [6]; Shepherd 2015 [7];

3 Per i vari tipi di tegola cfr. Shepherd 2007, pp. 58-60, fig. 1 [6].

4 Per esempio, la ‘tegola di Pellarò con iscrizione in greco ante cottura che menziona i lavoranti di un’officina di Reggio, trovata nella necropoli di Occhio di Pellaro (CS), in uso tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C.. Cfr. Lazzarini 1989 [8]; Clemente 2015, fig. 26 (dove è visibile l’incasso) [9].

5 Terminologia dei due sistemi tecnici di assemblaggio mutuata da Rescigno 1998, pp. 31, 46. [10]. Cfr. anche la tavola sinottica delle tipologie edite di tegole piane in Shepherd 2008, fig. 239 [5].

6 I riferimenti bibliografici per tutti i ritrovamenti citati nel testo sono esplicitati in Shepherd 2015 [7].

7 Shepherd 2007, con riferimenti [6].

8 Bandelli 1988, pp. 109-111 [11].

9 È il caso di M. Aemilius Lepidus, console negli anni 187 e 175 a.C., che fece parte delle commissioni triumvirali per la fondazione di Luni, Modena, Parma e che dette il proprio nome alla via Aemilia. Cfr. Shepherd 2007, pp. 68-69 [6]; Shepherd 2015 [7].

10 DM 14-01-2008 (Norme tecniche per le costruzioni), con precedenti.

11 Traggo molte nozioni relative al carico della neve (che si determina con parametri quali l’individuazione della zona climatica in cui sorge la costruzione e l’altezza sul livello del mare del sito) dai numerosi manuali di ingegneria delle costruzioni e dalle istruzioni per la posa in opera di tetti di tegole, facilmente reperibili sul Web. Ringrazio Andrea Bresciani e Franco Alvisi della SACMI, Imola, per utilissimi pareri tecnici; in particolare l’ultima sezione di questo testo è ispirata per larga parte dalle indicazioni di Franco Alvisi.

REFERENZE BIBLIOGRAFICHE

[1] G. Valadier, L’architettura pratica, tomo I, Società tipografica, Roma, 1828.

[2] Ö. Wikander, Acquarossa VI. The roof-tiles, Part 1, Catalogue and architectural context, Acta Rom. 38:6.1, Stockholm, 1986.

[3] Ö. Wikander, Ancient roof-tiles – use and function, Opuscula Atheniensia, XVII (1988) 203-216.

[4] Ö. Wikander, Acquarossa VI. The roof-tiles, Part 2., Typology and technical features, Acta Rom. 38:6.2, Stockholm, 1993.

[5] E.J. Shepherd, Appunti sulla tipologia e diffusione dei laterizi da copertura nell’Italia tardo-repubblicana, in: E.J. Shepherd, G. Capecchi, G. de Marinis, F. Mosca, A. Patera (a c.), Le fornaci del Vingone a Scandicci. Un impianto produttivo di età romana nella valle dell’Arno, «Rassegna di Archeologia», 22/B, 2006 (2008), Firenze.

[6] E.J. Shepherd, Considerazioni sulla tipologia e diffusione dei laterizi da copertura nell’Italia tardo-repubblicana, Bullettino Comunale 98 (2007) 55-88.

[7] E.J. Shepherd, Tegole piane di età romana: una tipologia influenzata dalle culture «locali», una diffusione stimolata dall’espansione militare, Archeologia dell’Architettura XX (2015) 120-132.

[8] M. L. Lazzarini, La tegola di Pellaro (Reggio Calabria), La Parola del Passato XLIV (1989) 286-309.

[9] G. Clemente, Conoscere e comprendere il territorio. Ricerche archeologiche e topografiche tra Reggio Calabria e Motta San Giovanni, tesi di dottorato, Sassari, 2015.

[10] C. Rescigno, Tetti campani. Età arcaica: Cuma, Pitecusa e gli altri contesti, G. Bretschneider, Roma, 1998.

[11] G. Bandelli, Le prime fasi della colonizzazione cisalpina (295-190 a.C.), Dialoghi di Archeologia 2 (1988) 105-116.

 

Elizabeth Jane Shepherd,
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

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