Punti di vista | Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

Tirocinio professionale e giovani architetti e ingeneri: tra archistar e studi professionali strutturati

I neo laureati sono chiamati a versare un migliaio di euro al mese per poter frequentare l’atelier di un archistar e poter costruire un cv credibile e spendibile globalmente. Non sono più soltanto le università a godere di prestazioni svolte sottocosto, se non a titolo gratuito. Una tale “estrazione di valore” è lo specchio della debolezza dei professionisti. Meglio sarebbe se le archistar proporzionassero il compenso da attribuire ai loro giovani stagisti al loro grado di maturazione professionale.

Secondo recenti normative, i laureati italiani in architettura e in ingegneria possono sostituire la prova scritta dell’esame di Stato, con un tirocinio di sei mesi presso uno studio professionale.

Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti.

La norma non richiede qualificazioni allo studio ospitante, ma un’attestazione finale che certifichi un ventaglio d’attività, che spaziano dal progetto, al cantiere, alla comunicazione, al design e quindi di fatto restringe il numero degli studi idonei, che possono dirsi impegnati a tutto campo.

Questo tirocinio sostituisce con vantaggio quell’ulteriore prova di teoria, che è l’esame senza esperienza sul campo. Il sistema peraltro non è ancora ben a punto, nel collegamento tra i percorsi accademico e post accademico e il mondo del lavoro, poiché non consente che i tirocinanti restino negli studi, tra la conclusione del tirocinio e il superamento della prova orale d’esame.

Una più attenta regolamentazione consentirebbe il radicamento dei laureati negli studi professionali, evitando che il susseguirsi di tirocini senza successiva continuità, si trasformi in un usa e getta, che ignora i talenti e le competenze dei giovani formati. Però con qualche perfezionamento, si potranno avere buoni risultati e rispolverare l’antico uso dell’apprendistato presso le botteghe dei maestri.

Da sempre infatti i giovani di tutte le arti e professioni hanno imparato dall’esperienza degli anziani, in quanto più il mestiere è difficile e complesso, più la trasmissione diretta delle abilità è determinante per raggiungere alti livelli professionali. I grandi artisti del passato avevano appreso l’arte nelle botteghe e la frequentazione degli studi da parte dei giovani dovrebbe essere costante e incentivata anche oggi, durante tutto il percorso accademico.

Del resto, l’uso è ancora diffuso in tutto il mondo e i giovani dotati d’intraprendenza e talento ambiscono alla pratica negli studi dei grandi nomi internazionali, le cosiddette Archistar. Qualcuno del resto sostiene che proprio le Archistar sono i maestri del nostro tempo (e non tanto dei banali industriali del progetto) e che proprio presso di loro i giovani trovano ad un livello eccellente formazione, innovazione, metodo.

I giovani hanno ben compreso l’utilità del tirocinio svolto presso gli studi più famosi: abbiamo appreso da un laureato impegnato in un tirocinio presso un celebre architetto, che per essere ammesso aveva sottoscritto un contratto, che lo  obbliga a prestare servizio per tre anni e a versare anche un migliaio di euro al mese, per poter frequentare l’atelier.

Alla nostra perplessità ha risposto che si tratta di una normale prassi internazionale, giustificata sia dalla qualità della formazione ricevuta, sia dalle relazioni che indirettamente ne possono derivare, sia dal prestigio che il giovane ne potrà ricavare sotto il profilo curriculare, nel momento in cui presenterà la credenziale di un lungo periodo di permanenza presso uno studio famoso. Inoltre, egli ci ha fatto osservare, che si tratta di un costo inferiore a quello di un master svolto presso un’università di rango.

Quindi tutto per il meglio? Si e no. Questo fenomeno ci fa anche rilevare che non sono più soltanto le università a trasformare studi ed elaborazioni svolti gratuitamente, in prodotti professionali, utilizzati dai docenti e dai loro studi. Ormai sono numerose le forme d’organizzazione del lavoro, che forniscono prestazioni svolte con manodopera sottocosto, indebolendo così le capacità di competizione degli studi professionali, anche di quelli strutturati.

Ed è sicuramente retorico porsi la domanda dell’origine di questa degenerazione di comportamento, che trova ovvia spiegazione nella composizione ibrida degli albi professionali. Proprio il medesimo vizio d’origine, che determina l’impossibilità di perseguire con chiarezza qualsiasi politica di tutela della professione in Italia.

A tale riguardo, è chiaro che l’interesse pubblico, al contrario, vorrebbe che ciascuno svolgesse il proprio ruolo, che i docenti facessero i docenti, i funzionari pubblici s’occupassero dei loro uffici, le imprese di costruzione costruissero e che i progettisti progettassero, evitando che tutti svolgano, in qualche modo, anche il lavoro degli altri.

Quanto alle Archistar, così efficaci nel costruirsi immagini colte, positive, sensibili ai temi sociali e ambientali, farebbero ancor miglior figura se proporzionassero il compenso da attribuire ai giovani, alla loro effettiva maturazione professionale, evitando di operare una selezione perversa, che inevitabilmente privilegia ancora una volta chi è già dotato di mezzi economici.

Infatti, questa formula finisce per configurarsi in una duplice scorretta concorrenza: verso gli studi, che non possono competere con chi utilizza una mano d’opera che, anziché essere pagata, presta una vera “servitù del progetto” e anche verso i giovani laureati meno abbienti, che si trovano una volta di più sorpassati da chi ha i mezzi economici per pagare formazione e titoli, anche oltre la laurea.

di Bruno Gabbiani, Ala Assoarchitetti

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