Patrimonio storico | Grande Guerra

Il cantiere di valorizzazione culturale e turistica delle Caserme di Strino

L’intervento di recupero e valorizzazione delle Caserme di Strino, curato dall’arch. Daniele Bertolini, ha avuto come scopo l’arresto del processo di degrado di alcune strutture superstiti della Prima Guerra Mondiale e il loro consolidamento attraverso metodologie di restauro conservativo. Le scarse tracce d’intonaco a base di calce sulle murature interne ed esterne degli edifici sono state consolidate e conservate, così come l’intonaco a base cementizia dello zoccolo alla base degli edifici.
Arch. Daniele Bertolini | Progettista.

Arch. Daniele Bertolini | Il Progetto

«Obiettivo generale dell’intervento di recupero delle Caserme di Strino era quello di chiamare l’insediamento a far parte del sistema museale della Grande Guerra sul territorio di Vermiglio, costituito da alcuni presidi museali (come il Forte Strino e il Museo della Guerra) e da un paesaggio fortificato di notevole consistenza riguardo alle testimonianze fisiche ancora presenti (forti, trincee, sentieri di arroccamento, postazioni in quota) con caratteristiche del tutto peculiari. Qui ha avuto infatti origine il mito della cosiddetta ‘Guerra Bianca’, quella combattuta sulle montagne e i ghiacciai dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale, alle soglie dei 4000 m di altitudine. Il recupero della memoria storica delle Caserme di Strino è stato quindi fin dall’inizio finalizzato esplicitamente alla valorizzazione in chiave culturale e turistica del sito, peraltro in un quadro di generale riscoperta delle fortificazioni della Prima guerra mondiale avvenuto in Trentino negli ultimi anni. In conformità a questo orizzonte di riferimento, il progetto si è posto in primo luogo l’obiettivo di arrestare il processo di degrado delle strutture superstiti e del loro consolidamento mediante le metodologie del restauro conservativo secondo i beni noti principi di riconoscibilità, reversibilità e compatibilità degli interventi, restituendo leggibilità ai singoli manufatti e all’insediamento nel suo insieme e rendendolo visitabile in sicurezza. Accanto a ciò, in un’ottica di conservazione complessiva della memoria, l’intervento, con alcune scelte progettuali e operative volte al superamento di una visione spesso troppo rigida della disciplina del restauro, ha voluto dare conto dell’azione esercitata dal trascorrere del tempo sul corpo degli edifici, cioè la fase della ruderizzazione e della riappropriazione del sito da parte della natura seguita alle spoliazioni del dopoguerra. Infine, il progetto non ha rinunciato alla valorizzazione delle notevoli qualità paesaggistiche del luogo, ricercando soluzioni a impatto minimo finalizzate a mettere in condizione il visitatore di muoversi a proprio agio fra natura e costruito, immerso nel maestoso scenario della foresta».

Il progetto va oltre il restauro conservativo delle Caserme di Strino per rappresentare agli occhi del visitatore l’azione esercitata dal tempo sui manufatti e consentirne la lettura di tutte le fasi di vita, comprese quelle della distruzione e della rovina.

Le Caserme di Strino, situate a ridosso del Passo del Tonale al confine fra Trentino e Lombardia, nel corso della Prima guerra mondiale costituivano un’importante base logistica di appoggio alle vicine fortezze austroungariche Zacarana e Mero e alle postazioni fortificate dislocate lungo la prima linea del fronte.

Qui, al riparo dai tiri di artiglieria provenienti dalle batterie italiane oltre il confine, erano acquartierati i reparti in avvicendamento al fronte e immagazzinati viveri e materiali destinati agli avamposti in quota.

Il villaggio militare, la cui costruzione risale agli anni immediatamente precedenti lo scoppio del conflitto, era formato da tre fabbricati principali in muratura (uno dei quali probabilmente adibito a ospedale da campo) e da alcune costruzioni accessorie in legno.

Negli anni dopo la guerra i “recuperanti” asportarono dagli edifici tutto ciò che potesse tornare utile alla ricostruzione del vicino paese di Vermiglio, distrutto dai bombardamenti e dagli incendi: travi dei solai e delle coperture, pavimentazioni, serramenti e finiture di ogni tipo.

L’esposizione delle costruzioni alle intemperie ne decretò rapidamente la rovina e il conseguente stato di abbandono e di oblio. Il sito è riconosciuto d’interesse storico e culturale in forza della Legge 7 marzo 2001, n. 78 “Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”.

Stato di conservazione prima del recupero

Il villaggio è situato lungo la strada militare che conduce ai forti Zacarana e Mero, su un terrazzamento dove per fare posto alle costruzioni venne ricavata un’ampia radura nel fitto bosco circostante. I tre corpi di fabbrica in muratura superstiti, dislocati in successione lungo l’asse sud-nord, erano certamente adibiti all’alloggio delle truppe.

I due collocati agli estremi presentano un impianto tipologico simile: sono disposti su due piani principali più un piano seminterrato nella sola parte di sedime rivolta verso valle. Un corridoio centrale distribuisce i locali posti ai lati, dotati di ampie finestre ad arco ribassato.

Patologie delle strutture in pietrame e malta |  La vegetazione infestante era diffusa in maniera invasiva con specie ad alto fusto (conifere) all’interno e all’esterno del perimetro degli edifici, con specie di tipo arbustivo ed erbaceo su paramento e creste murarie, con muschi e licheni nelle zone umide e in ombra;  alcune parti di muratura presentavano significativi fenomeni di dissesto del paramento e delle creste, con fessurazioni, lacune, discontinuità e lesioni attive, che nei casi più gravi avevano provocato deformazioni con tessitura muraria allentata e cedimenti differenziali con distacco, espulsione di materiale e crolli in più punti;  altre murature si presentavano in uno stato di conservazione tutto sommato discreto, con limitati fenomeni di erosione dei giunti di allettamento alternati a parti con erosione più marcata del giunto;  gli intonaci sia esterni sia interni, a base di calce al naturale, erano quasi completamente dilavati, mentre gli intonaci a base cementizia di rivestimento dello zoccolo dei fabbricati apparivano meglio conservati. Da notare i depositi di materiale lapideo di crollo lungo il perimetro esterno degli edifici e nei locali interni, che, paradossalmente, avevano assolto a una funzione di conservazione statica delle strutture, sia quali contrafforti alla base delle murature, sia per avere almeno in parte impedito la colonizzazione della vegetazione infestante.

La superficie lorda del piano è pari a circa 220 mq per il fabbricato più a sud e di 140 mq per quello a nord. Il terzo corpo di fabbrica è un grande edificio a piano unico a pianta rettangolare di dimensioni esterne 41,40×11,50 m, con latrina esterna. Di un quarto edificio rimane solo il basamento in pietra di un edificio in legno.

Completano l’insediamento alcune opere accessorie, tra cui una vasca in conglomerato cementizio per l’accumulo dell’acqua potabile e un’angusta caverna scavata nella roccia con opere di sostegno delle pareti in cemento armato.

Le rovine dei fabbricati, edificati in muratura di pietra locale con solai e copertura in legno, prima dei lavori di recupero erano invase dalla vegetazione e ormai quasi riconquistate dal bosco.

La buona qualità esecutiva delle murature ne aveva tuttavia consentito la parziale conservazione, talvolta anche in maniera sorprendente, considerati i quasi cent’anni di dismissione degli edifici, pur con vistosi fenomeni di dissesto e crolli anche estesi, tali comunque da non pregiudicare all’occhio esperto la leggibilità dell’insediamento.

Metodologie di rilievo e analisi

Preliminarmente alla redazione del progetto vero e proprio è stato effettuato il rilievo topografico e altimetrico strumentale dell’ampia area che include il complesso delle Caserme di Strino, per un’estensione totale di circa 7.000 mq.

Successivamente è stato eseguito il rilievo architettonico dei fabbricati, integrato da una campagna di sistematico rilevamento fotografico rielaborato digitalmente mediante software dedicato, specificamente finalizzato alla restituzione dei prospetti degli edifici mediante fotopiani. Infine è stata effettuata la mappatura dello stato di degrado e dissesto delle murature. 

Logistica di cantiere

Data la quota altimetrica del sito, posto a 1850 m slm, il cantiere ha avuto inizio ai primi giorni di giugno allo scioglimento dell’ultima neve ed è stato concluso alla fine di ottobre, quando già si erano avute le prime nevicate invernali. La durata dei lavori è stata dunque pari a cinque mesi.

A causa dei condizionamenti meteorologici la programmazione degli interventi ha dovuto tenere conto dell’alta probabilità di gelate notturne autunnali, dannose per l’impiego delle malte, e del rischio di copiose nevicate precoci che avrebbero potuto rendere estremamente difficoltoso se non impossibile lo sgombero e il trasporto a valle di attrezzature, macchinari e materiali.

La logistica di cantiere era inoltre subordinata alla posizione isolata del sito, per raggiungere il quale era necessaria circa un’ora di viaggio da Vermiglio, il centro abitato più vicino, e con un ultimo tratto di strada forestale ex militare di circa 4 km, pendenza media 8% e larghezza pari a 2 m nei punti più stretti, tale da non permettere il passaggio di mezzi operativi di grandi dimensioni.

L’organizzazione del cantiere era infine condizionata dall’assenza di acqua, per il cui approvvigionamento è stato necessario provvedere al trasporto mediante cisterne Ibc in plastica da 1 mc, e di corrente elettrica, prodotta in loco con generatore a gasolio. La forza presente in cantiere è stata mediamente di 4 uomini, affiancati all’occorrenza dagli addetti ai mezzi operativi e al trasporto dei materiali. 

Valutazione rischio bellico residuo

Non sono state svolte indagini sistematiche sul rischio bellico residuo, in quanto il sito, collocato all’interno di un angolo morto rispetto all’azione dell’artiglieria, nel corso del conflitto non fu sottoposto a bombardamenti.

Dalle notizie storiche e per comparazione con situazioni analoghe, era inoltre da desumere con ragionevole certezza che eventuali depositi di ordigni esplosivi fossero stati bonificati dal genio militare e dai “recuperanti” civili nell’immediato dopoguerra.

In ogni caso, sondaggi preliminari eseguiti a campione con l’uso di metal detector avevano evidenziato la diffusa presenza di residuati metallici (lamiere, filo spinato, scatolame) che avrebbero reso pressoché impossibile l’individuazione e la selezione di eventuali ordigni inesplosi. A conferma delle ipotesi iniziali, nel corso dei lavori non sono stati effettivamente rinvenuti residuati bellici pericolosi. 

Pulizia dell’area e sgombero del materiale

Successivamente all’impianto di cantiere, la prima fase di lavoro è consistita nella pulizia dell’area e nello sgombero dei manufatti dalle macerie. Si è proceduto in primo luogo al taglio della vegetazione ad alto fusto (abeti rossi e larici) presente all’interno e all’esterno dei fabbricati e ritenuta in eccesso rispetto alle previsioni del progetto di sistemazione ambientale.

Quindi è stata la volta della rimozione dei materiali di crollo accumulatisi nel tempo all’interno dei manufatti e a ridosso delle murature perimetrali. Gli interventi sono stati eseguiti con mezzi leggeri quali escavatore cingolato e pala meccanica gommata all’esterno dei fabbricati e con motocarriola e in parte a mano all’interno di essi.

L’impiego dei mezzi meccanici ha richiesto particolare cautela al fine di non danneggiare le strutture murarie superstiti e indurre nuovi fenomeni di dissesto; alcune situazioni d’instabilità hanno richiesto il puntellamento provvisionale o il preconsolidamento dei paramenti murari.

Il materiale rimosso consisteva essenzialmente in pietrame da costruzione ricavato da rocce metamorfiche di ottima qualità e consistenza, la cui cava di origine era stata individuata già durante il rilievo a poca distanza dall’insediamento. Il materiale è stato depositato e accatastato all’interno dell’area di cantiere in vista di un successivo riutilizzo previsto in fase di progetto, in modo che nulla è stato conferito in discarica.

Al termine delle operazioni di pulizia e sgombero dei materiali risultavano di nuovo chiaramente leggibili sia i singoli manufatti sia la morfologia dell’insediamento nel suo insieme.

Gli scavi e la messa a nudo delle strutture apportavano inoltre nuovi elementi alla conoscenza dei manufatti, consentendo l’approfondimento di alcuni aspetti costruttivi e tipologici che non era stato possibile valutare compiutamente in fase di rilievo.

Interventi di consolidamento delle strutture murarie

Vegetazione infestante. Rimossa la vegetazione d’alto fusto cresciuta all’interno del perimetro delle murature degli edifici, la vegetazione arbustiva ed erbacea che infestava il paramento e le creste murarie è stata sistematicamente eliminata attraverso il taglio dei rami e l’asportazione delle radici.

Data la scarsa compenetrazione dell’apparato radicale nelle murature, non è stato necessario eseguire trattamenti di devitalizzazione e opere di preconsolidamento. La rimozione di muschi e licheni è stata effettuata mediante trattamento biocida a spruzzo e successiva asportazione con mezzi meccanici manuali (raschietto e spazzola) dei resti vegetali e della terra. Dopo la disinfestazione della vegetazione le murature sono state sottoposte a un’azione generalizzata di pulitura ad acqua diffusa mediante idropulitrice a bassa pressione.

Malte e intonaci. Preliminarmente a ogni intervento di consolidamento delle strutture murarie, si è posto il quesito del tipo di malta da utilizzare. La scelta si è indirizzata da subito verso un impasto a base di calce idraulica naturale e inerti di provenienza locale con l’aggiunta di polveri di marmo, in modo da ottenere un impasto ad elevata compatibilità chimico-fisica, meccanica e cromatica rispetto all’esistente, definita mediante il confronto fra diverse campionature.

Erosione dei giunti di allettamento. Le murature che si presentavano in discreto stato di conservazione, con limitati fenomeni di erosione del giunto di malta e di microlesioni, sono state sottoposte a interventi di stuccatura e sigillatura puntuale; nel caso di paramenti murari con marcati fenomeni di erosione del giunto è stata eseguita la ristilatura dello stesso e la sigillatura delle incrinature.

Dissesti. Le fessurazioni di lieve entità sono state sanate mediante sigillatura. Quelle passanti sono state riparate anche mediante operazioni di “scuci-cuci”, finalizzate ad arrestare l’avanzamento delle fratture. Le lacune e le interruzioni di limitata entità nella continuità del paramento murario sono state risarcite mediante operazioni di “scuci-cuci” e integrazioni.

Quelle più estese sono state risarcite con interventi finalizzati a ridare continuità strutturale al paramento utilizzando conci selezionati fra il materiale di crollo, evitando di accentuare la diversità materiale e cromatica rispetto alle murature contermini. Allo scopo di rendere riconoscibili gli interventi e a beneficio di future letture stratigrafiche, le integrazioni sono state poste in opera utilizzando la tecnica del sottolivello (circa 2 cm), mantenendo quindi leggibile il punto di contatto con la muratura originale circostante.

Nel caso di murature con fenomeni di lesioni attive, deformazioni, tessitura allentata e cedimenti differenziali con distacco ed espulsione di materiale, l’incremento della resistenza è stato attuato con integrazioni murarie poste in opera come nel caso del risarcimento delle lacune. In alcuni casi in cui risultava indispensabile per il sostegno della muratura soprastante, è stato ricostruito l’architrave delle porte con un doppio profilo in acciaio Heb 220, posto in opera in sottolivello. È stata inoltre attuata la correzione del fuori piombo nei tratti in cui esso era più accentuato.

Intonaci. Le scarse tracce d’intonaco a base di calce sulle murature interne ed esterne degli edifici sono state consolidate e conservate, così come l’intonaco a base cementizia dello zoccolo alla base degli edifici.

Creste murarie. Sono state pulite con l’utilizzo di idropulitrice a bassa pressione, con spazzolatura nelle zone con depositi più resistenti. Le integrazioni sono state effettuate con pietre di recupero a pezzatura minore rispetto a quella dell’apparecchio murario originale, al fine di favorirne la riconoscibilità. La protezione superiore è stata ottenuta con malta di sacrificio trattata con impermeabilizzante.

Buche pontaie e sedi di appoggio delle travi dei solai. Sono state di regola conservate; nei casi in cui hanno dato origine a episodi di dissesto, questi sono stati trattati mediante le tecniche di risarcimento e/o integrazione descritti precedentemente.

Pavimentazioni. I frammenti di pavimentazioni interne tornati alla luce a seguito dello sgombero delle macerie sono stati conservati senza alterazioni; le lacune sono state integrate con la stesura di ghiaia a granulometria 3-7 mm, previa posa di tessuto Tnt per ostacolare la ricrescita della vegetazione. 

Interventi di lettura e restituzione dei segni del tempo

Il progetto si era posto esplicitamente l’obiettivo di andare oltre il mero restauro conservativo delle Caserme di Strino per rappresentare agli occhi del visitatore l’azione esercitata dal tempo sui manufatti e consentirne la lettura di tutte le fasi di vita, comprese quelle della distruzione e della rovina. In altre parole fare del “tempo” uno strumento della progettazione.

Ecco perciò che il bel lariceto cresciuto all’interno di una delle costruzioni è stato preservato, mantenendone la quota a livello superiore rispetto a quella originaria del resto dell’edificio, evidenziata dai lacerti di pavimentazione rinvenuti.

Allo stesso modo, i depositi lapidei di crollo formati dalle pietre metamorfiche caratteristiche del luogo che avevano colmato i locali seminterrati delle costruzioni, dopo essere stati, come si è visto, temporaneamente rimossi per consentire il risanamento delle strutture murarie, sono stati in parte riposizionati.

Così come in qualche punto a ridosso delle murature esterne sono stati ricollocati i cumuli di pietrame delle pareti franate, ricreando quel contrasto di tessiture tanto caratteristico che appariva prima dei lavori e ripristinando con ciò anche quell’efficace funzione rivestita dai materiali di crollo di rinforzo statico delle murature e di ostacolo alla colonizzazione della vegetazione infestante, che paradossalmente aveva contribuito efficacemente nel tempo alla conservazione dei manufatti. 

Interventi sull’area di pertinenza

Oltre al “tempo”, altro criterio guida nella progettazione degli interventi è stato lo “spazio”, inteso come strumento di lettura e valorizzazione delle rilevanti qualità paesaggistiche del luogo.

L’intento era quello d’introdurre alcuni accorgimenti per mettere in condizione il visitatore di muoversi a proprio agio alla scoperta del luogo, apprendere senza inutile sfoggio di apparati didattici qualcosa sulla storia e sul significato dei ruderi che si trova davanti, fargli trovare qualcosa per potersi sedere a riflettere, riposare e magari consumare il suo pranzo al sacco. Il tutto muovendosi liberamente fra natura e costruito quasi come all’interno di un parco archeologico.

Gli interventi previsti a progetto e poi realizzati sono discreti e poco invasivi; s’innestano su un percorso di visita che riprende quanto a caratteristiche costruttive e materiali i camminamenti originari di collegamento fra le tre caserme, in qualche tratto ancora ben leggibili, formati dalla semplice posa a secco di lastroni in pietra sul terreno.

Nel suo tratto iniziale il percorso riprende un tratto di camminamento dell’epoca che collega il primo fabbricato al secondo; a un certo punto il percorso si allarga a includere un punto informativo e un’area di sosta, per poi proseguire all’interno dell’edificio più grande con il lariceto e uscirne dalla parte opposta, per giungere infine alla terza e ultima caserma.

Non si tratta comunque di un percorso obbligato che in qualche modo costringa il visitatore a seguirlo; il fatto stesso che fra le pietre che lo segnano cresca l’erba lo rende ‘permeabile’, chi lo segue può e deve abbandonarlo per aggirarsi liberamente nella radura.

Sono piuttosto i ‘segni del tempo’ a guidare concettualmente il visitatore, cioè la rovina, il lariceto, i cumuli delle pietre posizionati come si è detto. Per la definizione di alcuni particolari del percorso e per la bordatura delle aree di sosta è stato fatto ricorso a lamiere da 5 mm in acciaio Corten, un materiale che ben si accorda sia con l’ambiente che con il contesto storico, cioè il residuato bellico e la Prima guerra mondiale.

Lo stesso materiale è stato utilizzato per la costruzione di parapetti e balaustre e, abbinato al legno di larice, per la realizzazione dei gruppi arredo tavolo-panca e per una bacheca informativa con un grande pannello illustrativo che riporta la planimetria del complesso delle Caserme di Strino e un testo che ne illustra brevemente la storia e i criteri seguiti nel recupero. Una nicchia ricavata nella bacheca contiene alcuni reperti rinvenuti nel corso dei lavori.

CHI HA FATTO COSA

  • Committente Comune di Vermiglio, Trento
  • Progetto Art&Craft studio di architettura, arch. Daniele Bertolini, arch. Catia Meneghini
  • Rilievo fotografico e restituzione mediante fotopiani Sandro de Manincor
  • Direzione lavori arch. Daniele Bertolini
  • Coordinamento della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione arch. Catia Meneghini
  • Alta sorveglianza Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento, Ufficio beni architettonici (direttore arch. Michela Cunaccia, funzionario incaricato arch. Valentina Barbacovi)
  • Imprese esecutrici Effeffe Restauri srl, Borgo Chiese, Trento; Roberto Stanchina, Terzolas, Trento (opere in carpenteria metallica)
  • Luogo Comune di Vermiglio (Tn).

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