Punti di Vista | Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

Verso concorsi di progettazione trasparenti e sostenibili

Per il presidente di Ala Assoarchitetti, se si vuole riprendere a realizzare opere di qualità e non disperdere le professionalità bisogna abolire gli appalti integrati e introdurre il divieto di praticare prezzi palesemente anomali, inferiori ai costi di produzione delle prestazioni. E per i concorsi occorrono regole nazionali inderogabili.
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti
Bruno Gabbiani | Presidente Ala Assoarchitetti

Oltre che per le vicende dell’Expo, Milano ha attirato l’attenzione con due concorsi di progettazione: quello per il Padiglione infanzia del nuovo Centro civico, che si è chiuso nella prima fase con la presentazione di 398 progetti, e quello per il cavalcavia Bussa. Per il Centro civico il budget è di 2,3 milioni di euro, dei quali 1,55 per l’opera.
La novità di questi concorsi è che sono stati banditi e partecipati on-line e che nel bando vi è, finalmente, l’obbligo per la stazione appaltante d’assegnare l’incarico ai vincitori. Sembrerà banale, ma quest’obbligo è un obiettivo sempre inseguito dai progettisti e quasi mai raggiunto. L’Ordine degli architetti di Milano, che ha assunto una larga responsabilità nella commissione giudicante, ha manifestato soddisfazione, poiché il concorso ha recepito i suoi suggerimenti, e ha espresso la convinzione che non si tratti di un episodio solitario, sbandierato, aggiungiamo noi, anche per migliorare un’immagine appannata dalla gestione degli appalti integrati dell’Expo.

Ma se questi aspetti positivi lasciano sperare qualche miglioramento futuro, non possiamo nasconderci che il cammino verso un’effettiva e diffusa trasparenza e sostenibilità dei concorsi è ancora lungo e che lo stesso istituto del concorso, così come praticato, è un ben singolare modo d’ammettere al diritto al lavoro un’intera categoria di lavoratori intellettuali, quali sono architetti e ingegneri.
Infatti, non possiamo nasconderci che ben 398 gruppi di progettisti si sono prestati a concorrere a proprie spese, per progettare una piccola opera di soli 1.500.000 euro a base d’appalto. Nella prima fase il bando ha richiesto elaborazioni assai ridotte, sostanzialmente due tavole in formato A3, e ciò ha comportato costi altrettanto ridotti per i partecipanti. Tuttavia, se anche ognuno avesse speso soltanto un decimo di quel che costa un progetto di massima, e cioè appena 2.300 euro per gruppo (23 ore di lavoro a 100 euro, comprese collaborazioni e spese generali), dobbiamo pur sempre rilevare che architetti e ingegneri, per avere una probabilità su 40 d’entrare nella seconda fase, hanno investito fra tutti qualche cosa come 920mila euro, pari al 61% del valore dell’opera da appaltare!
Poi i dieci gruppi selezionati dovranno redigere dieci progetti preliminari del costo di circa 25mila euro ciascuno, con un esborso complessivo di altri 250mila euro, che sommati ai precedenti portano a 1.170.000 euro (oltre il 78% del prezzo d’appalto dell’opera) l’investimento sostenuto dagli architetti e dai loro partners, per concorrere a una parcella di 260mila euro in tutto.

Questi sono gli effetti di quarant’anni d’insensata sovra produzione di architetti e di venti di una legislazione che ha via via ridotto l’autorevolezza dei progettisti liberi professionisti, anteponendo gli uffici tecnici pubblici, l’appaltatore e i processi industriali all’apporto di competenza, esperienza, passione, innovazione, inventiva, etica e responsabilità sociale dell’architetto.
L’applicazione di queste leggi ha dato i previsti risultati negativi: per le amministrazioni e i cittadini, con la riduzione della qualità delle opere pubbliche, divenute esito di progetti disattenti verso l’architettura e la qualità della vita; per i costruttori e i produttori di componenti per le costruzioni, che scontano la decadenza degli studi italiani, che non sono più in grado di promuovere il sistema Italia; per i dipendenti pubblici, che per rincorrere i ruoli progettuali hanno abbandonato quello più appropriato di responsabile del procedimento e la programmazione e sorveglianza del territorio; per gli architetti, espropriati del loro mestiere e abbandonati a un’impari concorrenza con gli stranieri.

Ora i concorsi sono invocati come una ciambella di salvataggio in un mare in tempesta, ma gli architetti non sono nelle condizioni d’assumersi costi così onerosi per consentire al comune di Milano di scegliere quello che gli piace di più tra 400 idee progettuali e 10 progetti preliminari, redatti a spese dei concorrenti.
Se si vuole riprendere a realizzare opere di qualità e non si vuole far chiudere tutti gli studi strutturati italiani e disperderne le professionalità, bisogna invece abolire gli appalti integrati e le progettazioni in house e introdurre il divieto di praticare prezzi palesemente anomali, inferiori ai costi di produzione delle prestazioni, in tutte le gare pubbliche.

Quanto ai concorsi, è vitale introdurre regole nazionali inderogabili: inserire i concorsi nel programma triennale delle opere e bandirli con almeno sei mesi di preavviso; emanare uno schema di bando unico, con clausole e modalità di partecipazione chiare e semplici (come del resto lo sono quelle dei due bandi milanesi); istituire un elenco unico nazionale dei concorsi, dei partecipanti (valevole come punteggio per la formazione permanente), dei vincitori (per concorrere alla formazione del curriculum), degli affidamenti e dei giurati, che devono essere estratti a sorte dagli albi unici nazionali di architetti e ingegneri.

Bruno Gabbiani, presidente Ala Assoarchitetti

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