Punti di Vista | Architetto Moreno Pivetti

Governance post-sisma nel contesto internazionale. Sismoresistenza degli edifici e sismoresilienza delle comunità

Un viaggio sia pure non esaustivo tra i modelli e le esperienze di governance che hanno guidato le ricostruzioni post-sisma nel contesto internazionale, con esplicito riferimento al coinvolgimento delle comunità nel processo rigenerativo dei territori colpiti, al fine di delineare e sostanziare le modalità tecniche di intervento con un approccio etico, rivolto al disegno di modelli sociali potenzialmente più sostenibili.
Punti di Vista | Arch. Moreno Pivetti.

Sono esattamente sei gli anni che ci separano dall’ultimo, in ordine di tempo, degli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia nel 2016 (Norcia, 30 ottobre 2016) e dieci quelli che hanno ormai archiviato il terremoto dell’Emilia (20 e 29 maggio 2012).

Molto si è scritto in tema di ricognizione e censimento dei danni, reperibilità delle risorse tecnico-finanziarie per l’attivazione delle procedure di esecuzione e monitoraggio degli interventi, contributi assegnati, obiettivi e risultati raggiunti nel breve e medio periodo.

In questa sede vogliamo operare un viaggio sia pure non esaustivo tra i modelli e le esperienze di Governance che hanno guidato le ricostruzioni post-sisma nel contesto internazionale, con esplicito riferimento al coinvolgimento delle comunità nel processo rigenerativo dei territori colpiti, al fine di delineare e sostanziare le modalità tecniche di intervento con un approccio etico, rivolto al disegno di modelli sociali potenzialmente più sostenibili.

L’ibridazione tra tecnica ed etica  è ormai accettata come un imperativo fondamentale nella prospettiva rigenerativa fisica e sociale dei palinsesti. Se l’approccio meramente tecnico ci porta a verificare la sismoresistenza degli interventi, l’approccio etico, condizione essenziale per una classe professionale operante in un clima di responsabilità civile, ci porta altresì a valutare la sismoresilienza delle comunità che di quei contesti rigenerati saranno gli utenti e gli attori futuri.

Paesi quasi agli antipodi per storia, cultura e contesto socio-economico, in materia di ricostruzione sono accomunati da modelli di Governance di tipo ‘top-down’, dove lo Stato ha potuto accentrare sia la gestione dei fondi, in gran parte rivolti allo sviluppo e alla ricostruzione pubblica, sia la programmazione degli interventi. Tuttavia, l’approccio formale di tali modelli ha manifestato rilevanti criticità, che talvolta hanno degenerato i rispettivi sistemi in casi di ricostruzione insoluta.

Sisma Tohoku | Giappone 2011 | Devastazione a seguito dello tsunami attivato dal terremoto.

Per indagare potenzialità e limiti dei modelli ‘top-down’, concentriamo l’attenzione su due aree geografiche tra le più esposte al rischio sismico, il Giappone e la costa occidentale dell’America Latina. Nonostante l’esistenza di un’architettura procedurale ormai testata in materia di ricostruzione, in entrambi i casi le criticità multilivello generate dai fenomeni hanno destituito i rispettivi modelli consolidati, basati proprio su un approccio formale di tipo ‘top-down’. Per quali motivi?

La frequenza pressoché annuale che scandisce gli eventi sismici in Giappone – con intensità che in Italia ricorre con cadenza decennale – ha maturato col tempo un patrimonio costruito di bassa vulnerabilità, evolutosi nella direzione di sistemi sismoresistenti,  un consolidato apparato assicurativo privato ed una nutrita legislazione nazionale, fondata su una Governance fortemente centralizzata di tipo ‘top-down’.

Tuttavia il carattere devastante del sisma che ha distrutto il Tōhoku (2011, magnitudo 8.9), con oltre 20.000 vittime ed 1,2 mln di edifici crollati, ha destabilizzato quella cultura dell’emergenza pur così evoluta nel disciplinato popolo giapponese.

Già coinvolto nella congiuntura della crisi economica mondiale, il Giappone rischiava il blocco della produzione interna: alla devastazione dell’agricoltura costiera e dei porti si associava quella dei principali siti produttivi.

Nella Governance giapponese, la struttura dei fondi è basata sul principio secondo cui: “le risorse finanziarie per il recupero e la ricostruzione devono essere essenzialmente a carico della generazione attuale, la ripartizione degli oneri come della solidarietà non deve essere lasciata come costo alle generazioni future”.

Nonostante tutto, per far fronte a un danno superiore ai 250 mld di dollari (ad oggi rimane “la catastrofe naturale più costosa di sempre”, secondo il New York Times), a 72 ore dal sisma la Banca del Giappone iniettò 181 mld di denaro di Stato nelle casse delle banche giapponesi per arginare un possibile tracollo finanziario. Dopo una prima ricognizione dei danni, che stimava in 128 mld il costo della ricostruzione, Governo ed opposizione si accordarono per un esborso complessivo di 230 mld di dollari. Oggi il Giappone è in ricostruzione.

Anche nel caso del Perù lo Stato gestisce direttamente la ricostruzione di infrastrutture ed edifici pubblici facendo leva su aiuti provenienti dalla solidarietà internazionale, mentre per la ricostruzione privata vengono attivati fondi in aiuto ai singoli danneggiati come minimo comune multiplo di progetti promossi dallo stesso Governo o da Ong.

Quando nel 2007 il sisma colpì Chincha, una delle aree più ricche del Paese, città ed insediamenti rurali risultarono gravemente compromessi. Alla potenziale ripresa economica nel breve periodo, condizione ideale per la conservazione dell’equilibrio pre-sisma, faceva eco il rischio di spopolamento del territorio, tale comunque da comprometterne la produttività a scala locale e nazionale.

Per non frammentare il tessuto sociale, frutto di diverse ondate migratorie attratte dalle possibilità di lavoro offerte dall’area, il Governo si impegnò da subito alla riabilitazione del palinsesto economico.

Al censimento immediato dei danni seguì l’istituzione del cosiddetto “Bono 6.000”, un indennizzo pari all’equivalente di circa 18 mensilità ordinarie, gestito da un ente ad hoc, chiamato Forsur, deputato a coordinare la fase post-emergenziale.

Se nell’immediato il Buono Individuale ebbe come effetto positivo quello di riattivare l’economia locale, scongiurando lo spopolamento dell’area, contestualmente l’aumento di prezzo dei materiali portò in molti casi all’impossibilità di terminare la ricostruzione.

Ma il vero paradosso era che il buono non vincolava i destinatari al rispetto delle norme antisismiche degli edifici: i controlli furono carenti e l’esigenza di costruire risparmiando generò ricorrenti abusi ed errori, ricreando (incredibile ma vero!) una condizione di vulnerabilità del patrimonio simile a quella pre-sisma.

Differenti casi, stesse criticità: ricostruzione pubblica gestita direttamente dallo Stato, ricostruzione privata demandata a coperture assicurative – come in Giappone – o addirittura a Ong che, quindi, assumono il controllo diretto degli interventi. Se questo può funzionare in Giappone – dove la semplicità di tipologie costruttive modulari ed in legno, già radicate nella cultura costruttiva garantisce rapidità ed efficienza ricostruttiva – cosa succede laddove (nell’America Latina in primis) attori sovralocali gestiscono i fondi privati, senza neppure l’obbligo di dimostrare la sismoresistenza degli interventi in ricostruzione?

Participatory Design Process e Community-led approach

La rigidità implicita ai modelli formali di tipo ‘top-down’ ha attivato processi virtuosi di decentramento verso modelli di Governance partecipativa ed inclusiva, rilevatisi i più sensibili a rispondere alle criticità multilivello che il sisma attiva.

La chiave del successo, nella ricostruzione, sta  nella partecipazione della comunità locale” (Barenstein, 2012).

La Comunità non va intesa tanto e soltanto come sommatoria dei beneficiari del palinsesto ricostruttivo, bensì nella sua capacità di interazione con Enti ed Istituzioni nella rigenerazione del contesto.

Durante le fasi di ricostruzione in un anno vengono impiegate quantità di risorse ingenti che in condizioni normali neanche possono essere auspicabili in decine di anni, inoltre il territorio viene in contatto con saperi e professionalità di altissimo livello, questo crea, oltre ad un’occasione di sviluppo importante, anche un momento in cui è possibile (…) progettare la città assieme fondando un nuovo patto tra popolazione ed amministrazioni(Quarantelli, 1993).

È alquanto riduttivo considerare la ricostruzione come una nebulosa di interventi puntuali, perdendo di vista la loro organicità nella direzione rigenerativa del territorio. Finanziamenti e sussidi investiti esclusivamente nell’oggettualità di singoli interventi, non inseriti in una programmazione di sviluppo strategico ed organico del territorio ne determinerebbero, col tempo, la sterilità. 

Già Robert Alexander (2004) sottolineava come la Pianificazione post-disastro dovesse riguardare non solo la ricostruzione degli edifici danneggiati e delle infrastrutture, ma anche la riabilitazione della Comunità, assicurando il recupero tempestivo delle normali attività e condizioni di vita, la formulazione ed il raggiungimento di obiettivi comuni tra le parti interessate nonchè la protezione  da futuri rischi. 

Superata la prima fase emergenziale, il territorio va ripensato e disegnato secondo un approccio olistico, che veda dialogare in forma corale ed inclusiva tutti gli attori della progettualità, locali e sovralocali, promuovendo la cooperazione interistituzionale e la partecipazione sociale.

Proprio come avvenne in Cile, dove nel  2010 un sisma di magnitudo 8.8 attivò uno tsunami che cancellò la città di Constituciόn. Nel giro di 100 giorni, Alejandro Aravena ed il gruppo Elemental intrapresero un percorso partecipativo (“participatory design process”) con la collettività, giungendo ad una proposta economicamente sostenibile con le risorse preventivate, senza cedere agli interessi locali, orientati a costruire una barriera di cemento per arginare futuri tsunami.

Quello che colpì la costa centro-meridionale del Cile il 27 febbraio 2010 fu uno dei terremoti più forti di sempre: 525 morti, 50 città e circa 1000 villaggi colpiti, l’80% del tessuto abitativo distrutto, 1400 km di strade non più percorribili. Danni pari al 18% del Pil, per una stima di circa 30 mld di dollari: un’intera zona del Paese non solo da ricostruire ma da ripensare.

Nel 2014 il Governo presentò un report per trarre un bilancio della ricostruzione, nel quale venivano individuate le diverse criticità emerse, quali la lentezza nella rimozione delle macerie, l’esproprio dei terreni per nuovi alloggi, la sperequazione tra centri delle città ed aree marginali. Ma, nonostante tutto, a distanza di soli 4 anni l’84% delle abitazioni poteva dirsi ricostruito.

Prendendo spunto da Constituciόn, bisogna sempre aver presenti alcuni punti chiave: le comunità si sentono abbandonate, credono che rimarranno in quelle condizioni tutta la vita, soprattutto quando l’attenzione dei media sparisce”, riferisce Jose Oda, tra i responsabili del Fondo solidarietà-investimenti sociali del Cile. “Le scosse spezzano non solo il tessuto urbano ma anche il tessuto sociale”.

Il metodo adottato in Cile ha sviluppato una ‘rigenerazione sostenibile’ dei contesti ascoltando le priorità della Comunità ed interagendo  con le strutture governative. Continua Aravena: “La questione più delicata di una ricostruzione è il coordinamento di diverse risorse e diversi interventi (“not money but coordination”). (…) Senza partecipazione dei cittadini ogni passaggio sarebbe stato più lento e sarebbero aumentati i fattori di inefficienza. Si condivide una visione del futuro. L’importante è capire che dalle persone colpite dal terremoto non bisogna aspettarsi risposte, ma domande che occorre interpretare alla luce delle conoscenze tecniche”.

Disegnare dalla catastrofe comporta “Una presa di coscienza sulla fragilità, tanto fisica quanto etica, dell’architettura”, ma è anche la prova di come l’architettura stessa, nonostante tutto,  possa contribuire a uscire da una tragedia conservando la cultura stratificata di luoghi e comunità, “reiventando se stessi ed attivando nuove conquiste”.

di Architetto Moreno Pivetti |
Founder MPA Architecture

 Bibliografia

  • Abhas K., “Safer Homes, Stronger Communities. A Handbook for Reconstructing after Natural Disasters”, World Bank, Washington, 2010;
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  • Guidoboni E,, Valensise G., “Il Peso Economico e Sociale dei Disastri Sismici in Italia negli Ultimi 150 anni”, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Palermo, 2011;
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  • Nimis P. ”Terre Mobili”, Donzelli, Roma, 2009;
  • Nimis P. ”Non Quando ma Come” in “L’Emergenza del Governo del Territorio”, Macramè n. 4, Milano, 2012;
  • Scamporrino M. ”Governare la Ricostruzione. Modelli e Linee Guida per la transizione dall’emergenza alla rigenerazione post-sisma in Italia”, Dottorato di Ricerca in “Progettazione della Città, del Territorio e del Paesaggio”, Coordinatore Prof. Corsani G, Tutor Prof. De Luca G., Università degli Studi di Firenze, 2011/12;
  • Tozzi M. ”Catastrofi. Dal Terremoto di Lisbona allo Tsunami del Sudest Asiatico: 250 Anni di Lotta tra l’Uomo e la Natura”, Rizzoli, Bologna, 2005.

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