Sostenibilità | Ambiente costruito

Costruzioni e gestione delle risorse idriche: dal progetto alla manutenzione

Il ciclo delle acque di un organismo edilizio deve essere progettato in modo da fornire un elevato grado di confort agli utenti e assicurare allo stesso tempo il miglior consumo possibile di acqua potabile (acqua di alta qualità) e l’utilizzo di sorgenti alternative di minor qualità (acque grigie e acque meteoriche) per tutti gli usi di “secondo ordine” concessi dalle normative vigenti all’interno e all’esterno delle abitazioni.

Le mutazioni nei tempi e nel luogo delle precipitazioni, combinati con l’aumento dei livelli di inquinamento delle acque, metteranno a dura prova gli ecosistemi. In molte regioni del mondo precipitazioni stanno diventando più variabili e più incerte, portando a inondazioni e siccità più frequenti e più intense.

Anche in Italia, dove con un amento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050, si registrerà una diminuzione delle precipitazioni estive del Centro e del Sud e un incremento di eventi legati a precipitazioni intense al Nord. Quali saranno le conseguenze sulla risorsa idrica?

I dati pubblicati nel 2020 dalla Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) aiutano a fare chiarezza. Per le aree urbane, ad eccezioni di alcune zone del Veneto e della Toscana e delle zone alpine, la riduzione delle precipitazioni determinerà situazioni di siccità e scarsità idrica più frequenti.

“L’Italia meridionale subirà in modo particolare una riduzione delle prestazioni dei bacini idrici. Si è visto come la maggior causa dell’insufficienza dei sistemi in Sud Italia sia legata alla riduzione delle precipitazioni disponibili piuttosto che alla capacità del serbatoio, problema principale invece per i sistemi analizzati in Centro Italia”.

In un recente intervento al Green&Blue summit, Paola Mercogliano, ricercatrice della Fondazione Cmcc, ha mostrato come l’impatto del clima cambierà la vita delle città italiane: Napoli, Bologna, Milano e Roma fanno registrare un trend di crescita del numero di giorni molto caldi.

In alcune zone d’Italia, è in corso un aumento dei massimi di precipitazione, nel periodo da novembre a marzo. Le città che non adottano misure per salvaguardare la propria fornitura d’acqua potrebbero avere importanti ripercussioni.

Il Rapporto ASviS 2021 evidenzia numerosi ritardi e inadeguatezze sull’evoluzione normativa relativa al Goal 6 (Acqua pulita e servizi igienico sanitari).

L’indice composito per il Goal 6 relativo all’Unione Europea mostra sostanziale stabilità (seppur con trend altalenante) dal 2010 al 2019, dovuta alla compensazione di andamenti opposti osservati sugli indicatori elementari. Peggiora l’indice di sfruttamento idrico, che passa dal 6,3% nel 2010 all’8,4% nel 2017.

La percentuale di persone che non hanno servizi igienici nelle proprie case diminuisce dal 2,9% nel 2010 a 1,6% nel 2019. Un lieve miglioramento si registra nell’indicatore relativo al trattamento delle acque reflue, aumentato dal 78,1% nel 2010 al 79,7% nel 2018. 

Consumo d’acqua nel mondo e in Italia

L’Italia si assesta ben al di sotto della media europea. Dal 2010 al 2018 l’indicatore composito del Goal 6 per l’Italia mostra un andamento complessivamente negativo dovuto sia al peggioramento dell’indice di sfruttamento idrico, aumentato dal 6,7% nel 2010 al 15,6% nel 2017, sia alla diminuzione dell’efficienza delle reti idriche, con un calo di 4,6 punti percentuali dal 2012 al 2018.

Nell’ultimo biennio si osserva una sostanziale stabilità dovuta al peggioramento dell’efficienza idrica, compensata però dal miglioramento dei due indicatori relativi alla quota di famiglie che non si fidano di bere l’acqua del rubinetto e di famiglie che lamentano irregolarità nell’erogazione di acqua, che si riducono, rispettivamente, di 0,6 e 1,4 punti percentuali.

L’analisi mette in luce il grave pericolo che corre la sostenibilità idrica del nostro Paese soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Nel 2020 le persone che lamentano l’irregolarità nell’erogazione dell’acqua nel Mezzogiorno sono il 17,8% rispetto al 9% della media nazionale.

Prelievi di acqua nel mondo e popolazione mondiale a partire al 1900 e stime fino al 2100.

I prelievi di acqua dolce nel mondo hanno registrato una crescita significativa dal dopo guerra a oggi, essendo triplicati dal 1950 al 2010, con un trend di crescita 1,7 volte maggiore rispetto all’andamento demografico.

Negli ultimi sette anni, la crescita del consumo di acqua è stata di oltre il 50%: l’umanità ha consumato circa 6.000 km3 di acqua dolce nel 2017, valore che si stima raddoppierà da qui al 2100. L’acqua ci sembra un bene di disponibilità infinita, ma ricordiamo che la porzione di acqua dolce utilizzabile è solamente il 3% di tutta quella presente sul pianeta, e il 2% è conservata nei ghiacci perenni.

Prelievi di acqua nel mondo per settore nel 2015.

Peculiarità dell’Europa è che il settore industriale copre oltre il 50% dei consumi di acqua, con agricoltura e civile a dividersi a parti quasi uguali il restante 50%. In tutti gli altri continenti, è il settore agricolo a consumare la quota maggiore di acqua.

In Italia, il consumo complessivo di acqua è pari di 26 miliardi di metri cubi annui. Di questi, il 55% è consumato nel settore agricolo (l’Italia sta dietro solamente la Spagna come superficie irrigata in Europa), seguito dal settore industriale (27%) e da quello civile (18%).

I settori agricolo e industriale si approvvigionano marginalmente dalla rete idrica, usata quasi esclusivamente in ambito civile. Il prelievo annuo di acqua ammonta però a 33 miliardi di metri cubi e la differenza tra prelievo e consumo rappresenta le dispersioni, che costituiscono così il secondo ambito di impiego.

Esse sono concentrate soprattutto nell’ambito civile (figure 4 e 5). Se nel settore civile le perdite rappresentano il 40% dei prelievi, nel settore industriale le perdite ammontano a solamente il 12% dei prelievi, grazie al fatto che spesso le industrie hanno captazioni locali e non necessitano delle reti di distribuzione come invece accade in ambito civile. In ambito agricolo le perdite sono del 17%.

Prelievi e consumo di acqua per anno in Italia per settore, la differenza rappresenta le dispersioni.
Rapporto percentuale tra consumi e prelievi annui in Italia per settore, incluse le perdite.

La gestione delle risorse idriche in Italia

Fondato nell’ambito della School of Management del Politecnico di Milano una decina di anni fa, l’Energy&Strategy Group rappresenta ormai da tempo un punto di riferimento nell’analisi delle prospettive finanziarie e imprenditoriali nei settori delle fonti rinnovabili e delle nuove tecnologie per una gestione intelligente dell’energia.

Per la prima volta il gruppo di ricerca ha però deciso di analizzare le potenzialità di miglioramento nella gestione di un altro bene fondamentale, quello dell’acqua, concentrandosi in particolare su due aspetti: l’impiego delle risorse idriche nel mondo industriale e le infrastrutture per gli usi civili.

Arrivando alla conclusione che esiste una regressione quasi perfetta tra water ed energy intensity (le industrie che usano più energia sono infatti quelle che consumano più acqua) e che gli investimenti per il potenziamento dei sistemi idrici a livello civile sono stati ingenti del periodo 1999-2015 (11,8 miliardi di euro) ma non sono stati indirizzati verso gli ambiti che avrebbero potuto far ottenere i successi maggiori nel combattere le dispersioni, che sono assai elevate nel nostro Paese: ogni 100 litri di acqua immessa nelle reti idriche per usi civili nel 2015, oltre 40 litri venivano dispersi, con punte del 50% nel Centro e nel Sud (nel 2012 le dispersioni erano inferiori, pari a 37 litri ogni 100 immessi).

Le reti di distribuzioni italiane erogano ogni anno 4,8 miliardi di metri cubi di acqua, con una dispersione media del 40,66%, il valore maggiore a livello europeo.

Prelievi delle reti idriche e dispersioni per regioni in Italia.

Inquinamento dell’acqua

Un requisito fondamentale dell’acqua dolce, tanto quanto la quantità, è la qualità. L’inquinamento idrico è una minaccia reale per la qualità dell’acqua dolce e comporta conseguenze negative, a volte drammatiche anche in termini di impatto ambientale.

Le cause principali sono l’urbanizzazione, la contaminazione del suolo, i processi industriali, l’estrazione delle materie prime. L’impiego di fertilizzanti agricoli e pesticidi, i reflui civili che contengono anche pericolose sostanze presenti nei detersivi domestici.  In questo contesto esistono tre grandi classi di sostanze inquinanti: nitrati e fosfati, metalli, inquinanti organici sintetici.

Le attività agricole sono la causa preponderante dell’inquinamento dei corsi d’acqua, in quanto i fertilizzanti impiegati, contengono nitrati e fosfati che causano l’eutrofizzazione delle acque. Questo fenomeno interessa principalmente i corsi d’acqua dolce, ma in certi casi può anche riguardare i mari confinati, come Mar del Nord e il Mar Baltico (in parte anche il Mare Adriatico) che hanno visto crescere la concentrazione di nitrati e fosfati in seguito alla presenza dei reflui civili e agricoli.

L’eutrofizzazione in questi casi provoca la formazione e la crescita eccessiva alghe negli estuari che risultano nocive per gli esseri viventi che popolano questi habitat. Gli scarichi contribuiscono alla eutrofizzazione anche a causa della presenza di sostanze detergenti e di fosfati e nitrati derivanti dai processi metabolici. Essi contengono inoltre pesticidi e metalli inquinanti come nichel, rame piombo e zinco, che provengono dalle condutture idrauliche, dai cosmetici, dai prodotti detergenti e dalle medicine.

Anche i processi industriali, oltre ad aver creato, in qualche caso, discariche interrate, sono responsabili dell’inquinamento da metalli, che sono in particolare piombo, mercurio, arsenico e cadmio, nocivi per la salute dell’uomo oltre che rame, argento, selenio, zinco e cromo, dannosi invece per la vita subacquea.

I processi industriali e agricoli sono fonti anche di inquinamenti organici sintetici, che sono pericolosi per la salute dell’uomo anche a concentrazioni ridottissime e persistono nell’ambiente per molti anni.

In questa categoria ricadono i pesticidi sintetici organici come Ddt, prodotti industriali, solventi organici utilizzati in ambito civile e industriale oltre a fosfati. L’acqua piovana di dilavamento che scorre sulle superfici urbane non permeabili può contenere un insieme di inquinanti “raccolti” dall’immondizia, dai liquidi fuoriusciti dai veicoli, processi industriali, prodotti chimici utilizzati per fertilizzare giardini ed escrementi animali.

Una certa quantità di queste sostanze inquina direttamente le falde di acqua potabile; l’acqua potabile di falda può essere inquinata da sostanze che si infiltrano nel terreno che derivano da tutti questi scarti di processi agricoli, civili, industriali e dalle percolazioni delle discariche.

Una ulteriore problematica attuale e, sempre più diffusa è, relativa all’aumento della falda freatica, in quanto l’acqua di falda a contatto con il terreno superficiale inquinato si avvelena.

Si verifica l’inquinamento indiretto quando l’acqua contaminata finisce in fognatura o nel sistema di raccolta delle acque piovane e viene dispersa nei corsi superficiali senza essere in alcun modo depurata.

Il settore edile è un ulteriore responsabile dell’inquinamento delle acque per cause dirette e indirette. In genere la contaminazione è di tipo chimico e fisico e spazia dai rivoli derivanti dall’impiego dell’acqua in cantiere che vanno a finire nei corsi d’acqua e nel terreno, fino all’immissione in rigagnoli di acqua contaminata con cementi, calci e prodotti chimici utilizzati in edilizia. L’inquinamento idrico, quindi, non danneggia soltanto l’ambiente naturale, ma compromette anche la qualità dell’acqua dolce riducendo questa risorsa a disposizione per usi potabili e peggiorando la crisi idrica.

Approccio Sostenibile nell’uso delle acque e nello smaltimento dei reflui

Diminuire la domanda

  • Scegliere toilette a compostaggio
  • Utilizzare impianti a basso consumo di acqua
  • Preferire la doccia alla vasca
  • Fare attenzione all’uso dell’acqua

Ottimizzare l’impiego

  • Installare aeratori di flusso o rubinetti automatici
  • Installare sciacquoni per wc a flusso doppio o ridotto
  • Efficientare attraverso le ristrutturazioni gli impianti esistenti
  • Progettare sistemi di irrigazione differenziati ed efficienti
  • Educare e adottare comportamenti consapevoli

Riciclare le acque utilizzate

  • Installare sistemi di raccolta delle acque grigie in modo da riutilizzarle le acque per gli sciacquoni dei wc

Riciclare le acque piovane

  • Installare cisterne di raccolta delle acque di prima pioggia per l’irrigazione.
  • Installare un sistema di recupero dell’acqua piovana.
  • Utilizzare pozzi privati ad uso agricolo per irrigare i giardini

Ridurre l’impiego di superfici non permeabili

  • Ridurre la cementificazione
  • Arredare i giardini in modo sostenibile
  • Impianti di fitodepurazione

Progettare per ridurre consumi idrici e reflui

Esistono tre approcci differenti legati alla progettazione edilizia e ai problemi ambientali relativi alla riduzione dei consumi e all’inquinamento delle acque:

  1. è necessario ridurre la domanda di acqua dolce, introducendo efficienti modalità di impiego;
  2. è opportuno impiegare risorse alternative “secondarie” come le acque piovane e grigie;
  3. è fondamentale un corretto smaltimento delle acque nere, grigie e piovane; l’impiego e il dimensionamento degli impianti di depurazione può essere ridotto grazie all’utilizzo /sfruttamento delle acque piovane.

In ambito edilizio è possibile combinare questi tre approcci in modo da diventare il più possibile autosufficienti in termini di fabbisogno idrico. Questa autonomia presuppone un approvvigionamento di acqua dolce indipendente dalla rete principale, oltre alla depurazione e allo scarico in loco, in modo da evitare o almeno limitare l’allacciamento al sistema fognario pubblico.

Progettare per ridurre consumi idrici e reflui

Ai sensi della norma Uni 9182, che definisce le regole tecniche e i criteri di progettazione, di collaudo e di gestione degli impianti di alimentazione e distribuzione dell’acqua per gli edifici con presenza continua di persone, e le aree pubbliche o private adibite a centri di ritrovo, ricreazione, attività sportive, devono essere dotati di acqua potabile.

L’acqua potabile è l’acqua destinata al consumo umano avente i requisiti di qualità indicati nel Dgls 2 febbraio 2001, n. 31 (Attuazione della Direttiva 98/83/Ce relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano) e ss.mm.ii che sostituisce il Dpr 24 maggio 1988, n. 236. I regolamenti locali di igiene (Rli) richiedono che ogni edificio sia allacciato al pubblico acquedotto.

Ove ciò non sia possibile, l’autorità competente autorizza l’approvvigionamento con acque provenienti da falde profonde o da sorgenti ben protette e risultate potabili. Altri modi di approvvigionamento posso essere ammessi previo trattamento di potabilizzazione ritenuto idoneo dalle autorità competenti in materia.

I pozzi privati ad uso potabili, autorizzati per le zone non servite da pubblico servizio, devono essere realizzati secondo le modalità previste dalle normative vigenti in materia e dall’autorità competente e ubicati a monte rispetto al flusso della falda e rispetto a stalle, letamai, concimaie, depositi di immondizie e qualunque altra causa di inquinamento da cui, in ogni caso, debbono risultare a conveniente distanza.

L’allacciamento all’acquedotto da parte di una rete di distribuzione utilizzatrice deve preservare l’acquedotto da ogni pericolo di contaminazione; le società di gestione di acquedotti per uso pubblico forniscono tutte le prescrizioni necessarie l’erogazione dell’acqua mediante conduttura a rete deve avvenire in modo diretto senza l’utilizzo di serbatoi di carico aperti.

Sono ammessi serbatoi chiusi di alimentazione parziale serviti da motopompe (autoclavi) negli edifici in cui la pressione di regime dell’acquedotto non è sufficiente a erogare acqua a tutti i piani: in tal caso è vietata l’aspirazione diretta dalla rete pubblica. In particolare, ai sensi della norma Uni 9182, una rete di distribuzione di acqua potabile deve corrispondere ai seguenti principali requisiti:

  • garantire l’osservanza alle normative di igiene vigenti:
  • assicurare la corretta pressione e portata a tutte le utenze;
  • essere costituita da componenti realizzati con materiali e caratteristiche idonee e certificate;
  • assicurare la tenuta verso l’esterno;
  • contenere le emissioni di rumori e vibrazioni entro valori limite previsti dalla norma vigente;
  • avere le parti non in vista facilmente accessibili per consentirne la manutenzione periodica e straordinaria.

La rete di distribuzione dell’acqua deve essere separata e protetta rispetto ai condotti di fognatura; nelle vicinanze e negli incroci con tali condotte deve essere posata superiormente a essi (almeno di 0.50 cm).

Quando non sia possibile rispettare queste condizioni, le tubature fognarie dovranno essere collocate in un cunicolo con fondo a pareti impermeabili, dotato di pozzetti di ispezione. Per quanto riguarda il dimensionamento, le reti di distribuzione dell’acqua calda e fredda dell’impianto idrosanitario devono essere opportunamente progettate al fine di soddisfare la domanda da parte degli utenti e favorire allo stesso tempo la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi.

Misure di risparmio idrico all’interno degli edifici

Il ciclo delle acque di un organismo edilizio deve essere progettato in modo da fornire un elevato grado di confort agli utenti e assicurare allo stesso tempo il miglior consumo possibile di acqua potabile (acqua di alta qualità) e l’utilizzo di sorgenti alternative di minor qualità (acque grigie e acque meteoriche) per tutti gli usi di “secondo ordine” concessi dalle normative vigenti all’interno e all’esterno delle abitazioni.

L’acqua potabile dovrebbe infatti essere utilizzata esclusivamente per gli usi alimentare e di igiene personale. Per gli usi differenti, quali l’irrigazione del verde, il lavaggio delle parti comuni e private, l’alimentazione degli scarichi dei bagni, il lavaggio delle automobili dovrebbe essere utilizzata acqua di recupero piovana e se grigia depurata con opportuni sistemi di foto depurazione che utilizzano il potere filtrante e depurativo della vegetazione.

Ridurre i consumi di acqua consente di risparmiare non solo acqua potabile, ma anche combustibile per riscaldarla, oltre che economico, e una riduzione dell’inquinamento dell’aria e dell’effetto serra. Le principali misure di risparmio idrico all’interno di un edificio riguardano:

  • il recupero delle acque piovane e delle acque grigie e il riutilizzo delle stesse per gli usi compatibili tramite la realizzazione di appositi sistemi integrativi di raccolta, filtraggio ed erogazione;
  • l’installazione di cassette d’acqua per water con scarichi differenziati;
  • l’istallazione di rubinetteria dotata di miscelatori e acqua.

    Schema doppio impianti idrico interno – Acque di primo livello e Acque di secondo livello.

Sistemi di recupero dell’acqua piovana

La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria 2008) ha previsto che a partire dal 2009, il rilascio del Permesso di Costruire sia subordinato, tra l’altro, alla presenza di “caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al reimpiego delle acque meteoriche” (art. 288).

Le acque meteoriche rappresentano, infatti, una fonte rinnovabile e locale e necessitano di semplici ed economici trattamenti per un loro utilizzo ristretto a certe applicazioni. Naturalmente il riutilizzo delle acque meteoriche deve essere progettato in modo da garantire una sufficiente disponibilità di acqua relativamente alla domanda giornaliera nei vari periodi dell’anno e un appropriato trattamento prima del riutilizzo.

Una volta depurata da un sistema adeguato e bel installato, l’acqua piovana ha qualità e caratteristiche paragonabili a quella dell’acqua distillata. Gli usi compatibili del recupero dell’acqua piovana riguardano sia gli ambienti esterni che gli ambienti interni agli edifici.

Per quanto riguarda gli usi esterni, sono consentiti:

  • annaffiatura delle aree versi pubbliche, private e condominiali;
  • lavaggio delle aree esterne pavimentate;
  • autolavaggi, intesi come attività private ed economiche;
  • usi tecnologici e alimentazione delle reti antincendio.

Per quanto concerne gli usi interni, sono consentiti:

  • alimentazione delle casette di scarico dei wc;
  • alimentazione lavatrici se predisposte:
  • alimentazioni distribuzione idrica accessoria per lavaggio auto;
  • usi tecnologici relativi a sistemi di climatizzazione e riscaldamento, sia attivi che passivi.

In presenza sul territorio oggetto di intervento di una rete duale di uso collettivo gestita da ente pubblico o privato, come prevista dalla dal Dlgs n. 152/2006 è ammesso, come uso compatibile, l’immissione di una parte dell’acqua recuperata all’interno della rete duale, secondo le disposizione impartite dall’Ente Gestore. Un sistema di recupero dell’acqua piovana si compone delle seguenti parti principali:

  • sistema di raccolta;
  • filtro;
  • serbatoio di accumulo;
  • sistema di pompaggio;
  • sistema ridistributivo.

Per la progettazione, realizzazione e posa in opera si può fare riferimento alla norma tedesca Din 1989. Il dispositivo di filtrazione rappresenta il cuore dell’impianto, il filtro serve a evitare l’immissione nel serbatoio di detriti e corpi estranei raccolti dall’acqua piovana nel suo percorso. Deve essere ubicato a monte dell’accumulo, e può essere installato in punti diversi dell’impianto (fuori terra, interrato, integrato nel serbatoio).

Inoltre, deve essere concepito secondo diversi principi di intercettazione del materiale e deve essere dotato di dispositivi automatici di risciacquo per eliminare il materiale intercettato che, stratificandosi, può diminuire l’efficienza.

Per i casi più comune (raccolta di acqua da tetti in zone non densamente popolate) sono sufficienti semplici filtri, mentre in casi particolari (zone ad alto inquinamento atmosferico, acqua raccolta da piazzali pubblici aperti al traffico, strade ecc.) è necessario il ricorso a veri e propri sistemi di trattamento, quali, ad esempio, fitodepurazione.

Indipendentemente dal tipo di filtro e dalla sua collocazione (integrata nel serbatoio, esterna o interna), al filtro viene principalmente richiesto di trattare il materiale che, sedimentando nel serbatoio, porterebbe a un deterioramento della qualità dell’acqua e al rischio di intasamento delle condotte e del sistema di pompaggio e distribuzione.

Per quanto riguarda la scelta del sistema di trattamento depurativo delle acque meteoriche, molto dipende dalle caratteristiche dell’edifici, dalla dimensione degli spazi disponibili e dalla tipologia di utilizzo previsto per tali acque, strettamente connessi alla definizione dei limiti normativi da applicare sulla qualità chimico-fisica.

In generale, le acque meteoriche non presentano elevati gradi di inquinamento al momento della precipitazione, mentre la loro qualità può deteriorarsi anche fortemente durante il periodo di accumulo prima dell’utilizzo.

La manutenzione dei sistemi di accumulo con pulizia periodica programmata e una disinfezione finale con lampade Uv, garantisce comunque l’igienicità di questa fonte di risorsa idrica.

Si ritiene che una filtrazione più o meno spinta, a seconda della necessità, può assicurare un adeguato trattamento depurativo delle acque meteoriche. Nelle aree urbane e, in genere, ove non siano disponibili aree per trattamenti estensivi all’esterno degli edifici, sono normalmente impiegati sistemi di minimo ingombro quali: filtri centrifughi; filtri a camere; filtri autopulenti.

Nel caso di aree rurali o in presenza di disponibilità do aree esterne, possono essere efficacemente utilizzati sistemi di fitodepurazione, (filtrazione in letti vegetali di materia inerte a granulometria selezionata) che presentano spiccati vantaggi rispetto ai filtri sopracitati, sia come efficacia do rimozione degli inquinanti, sia come semplicità gestionale; va inoltre considerato il positivo inserimento paesaggistico caratteristico di questi sistemi.

Per quanto riguarda il serbatoio, questo deve essere munito di un’entrata calmata, in modo da non riportare in sospensione eventuale materiale sedimentato sul fondo, e di un sifone di troppo pieno.

Il troppo pieno può essere convogliato direttamente ai collettori recettori, possibilmente attraverso una valvola di non ritorno, o ai collettori fognari con una valvola di ritegno posizionata sul sifone, oppure può essere disperso nel terreno, previa valutazione del tipo di terreno e autorizzato da parte delle autorità competenti.

Anche in questo ultimo caso una valvola di ritenzione permette al terreno di smaltire gradualmente l’acqua in arrivo. L’importanza di un corretto dimensionamento è imposta sia per motivi economici, che per motivi più strettamente legati all’uso dell’impianto; ad esempio, un sovradimensionamento del serbatoio, che comporta una permanenza troppo lunga delle acque prima del loro utilizzo, potrebbe causare un deterioramento delle qualità organolettiche dell’acqua e quindi renderla inutilizzabile.

I dati di progetto per il dimensionamento dell’impianto sono:

  1. altezza delle precipitazioni (H) e giorni di secco (Gs);
  2. superficie utile di raccolta (Su);
  3. coefficiente di deflusso(Y) delle superficie di raccolta dell’acqua piovana (copertura dura, ghiaiosa, verde ecc)
  4. efficienza del filtro (Ef);
  5. fabbisogno annuo di acqua per gli usi consentiti (Fa)
  6. volume del serbatoio (Vs).

Sistemi per il riutilizzo delle acque grigie 

Per acque grigie si intendono le acque reflue domestiche diverse da quelle provenienti dagli scarichi wc e dai lavelli da cucina e comprendenti quindi gli scarichi delle docce, dei bidet, dei lavandini. L’adozione di un sistema di riutilizzo delle acque grigie comporta:

  • la separazione delle reti di scarico delle acque nere (contenenti cioè gli scarichi del wc) e delle acque grigie (tutte le altre acque di scarico);
  • un appropriato trattamento delle acque grigie prima del loro riutilizzo, tale da rispettare i limiti imposti dal Dm n. 185/2003;
  • la realizzazione di reti distinte di distribuzione idrica per consentire l’adduzione, separata dalla normale rete dell’acqua potabile, ai vari servizi per i quali è possibile utilizzare acqua di più bassa qualità, quali, ad esempio l’irrigazione di aree verdi, il riempimento delle cassette di risciacquo dei wc, il lavaggio di aree esterne.

Il sistema di depurazione è, in genere, composto da un trattamento primario per l’eliminazione dei grassi e delle schiume, (de grassatore), da un trattamento secondario (fitodepurazione o filtrazione mediante membrane o Sbr) e da un serbatoio di accumulo che può trovarsi nella parte inferiore dell’edificio (garage, cantina ecc.)

A seconda del sistema di trattamento scelto, all’uscita dei filtri e prima dell’ingresso delle acque nel serbatoio può essere necessario collocare un sistema di disinfezione (come una pompa dosatrice di disinfettanti chimici – ad esempio acido per acetico – o camera UV in linea) dimensionato in base al flusso d’entrata dell’acqua per assicurare la disinfezione.

Fitodepurazione 

Il ricorso a tecniche di depurazione naturale per il trattamento delle acque reflue rappresenta ormai una scelta ampiamente diffusa a livello mondiale. I sistemi di depurazione naturale possono rappresentare una soluzione adeguata per il trattamento dei reflui provenienti da centri abitativi sparsi e, in generale, da piccole e medie utenze, laddove la scelta della configurazione impiantistica da adottare non può prescindere da una valutazione costi/benefici, che spesso evidenzia le difficoltà di realizzazione di impianti tecnologici.

Largamente diffusa nella maggior parte dei Paesi Europei, in America del Nord, in Australia, etc., l’applicazione della fitodepurazione trova, ormai, spazio anche in ambiti diversi da quello urbano; infatti la ricerca scientifica e, successivamente, la sperimentazione tecnica, ne hanno confermato l’applicabilità anche per il trattamento di reflui industriali ed in settori particolari come quello turistico (campeggi, hotel, agriturismi, etc.), in presenza di forti variazioni nella quantità e qualità di acque reflue trattate giornalmente.

Negli ultimi anni, anche in Italia è stata acquisita una vasta e dettagliata esperienza di studio, progettazione e realizzazione di sistemi di fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue.

La normativa nazionale auspica, per piccoli insediamenti abitativi (con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 abitanti equivalenti), il ricorso a tecniche di depurazione a ridotto impatto ambientale, quali ad esempio la fitodepurazione e il lagunaggio.

In coerenza con il quadro normativo di riferimento, la presente Guida Tecnica (che si aggiunge ai manuali Anpa, “Linee Guida per la ricostruzione di aree umide per il trattamento di acque superficiali”, 2002, e Apat, “Linee Guida per la progettazione e gestione di zone umide artificiali per la depurazione dei reflui civili”, 2005), intende integrare le conoscenze maturate sull’argomento e fornire indicazioni metodologiche e tecniche in ordine alla progettazione e gestione dei sistemi di depurazione naturale per il trattamento delle acque reflue urbane con particolare riferimento alle configurazioni impiantistiche più adatte, sia in relazione alle caratteristiche dei reflui da trattare, sia alle differenti esigenze depurative connesse alla maggiore o minore vulnerabilità dei corpi idrici recettori finali degli scarichi.

La classificazione in funzione delle caratteristiche delle specie vegetali utilizzate, comunemente accettata nei settori tecnico-scientifici che si occupano di depurazione naturale, è quella proposta da Brix (1993):

  • Sistemi con macrofite galleggianti (Lemna, Giacinto d‟acqua, ecc.);
  • Sistemi a macrofite radicate sommerse (Potamogeton, Myriophyllum, ecc.);
  • Sistemi a macrofite radicate emergenti (Fragmiti, Tife, ecc.);
  • Sistemi misti.

In relazione al percorso idraulico del refluo, i sistemi di fitodepurazione si distinguono in:

  • SFS-h o HF (Subsurface Flow System – horizontal o Horizontal Flow): i sistemi a flusso sommerso orizzontale sono bacini riempiti con materiale inerte, dove i reflui scorrono in senso orizzontale in condizioni di saturazione continua (reattori “plug-flow”) e le specie vegetali utilizzate appartengono alle macrofite radicate emergenti;
  • SFS-v o VF (Subsurface Flow System – vertical o Vertical Flow): i sistemi a flusso sommerso verticale sono vassoi riempiti con materiale inerte, dove i reflui scorrono in senso verticale in condizioni di saturazione alternata (reattori “batch”) e le specie utilizzate appartengono alle macrofite radicate emergenti;
  • FW o FWS (Free Water o Free Water Surface): i sistemi a flusso libero riproducono, quanto più fedelmente, una zona palustre naturale, dove l‟acqua è a diretto contatto con l‟atmosfera e generalmente poco profonda, e le specie vegetali che vi vengono inserite appartengono ai gruppi delle idrofite e delle elofite.

Le diverse tipologie di sistemi di fitodepurazione possono essere combinate con l’obiettivo di ottimizzare le rese depurative di un particolare tipo di refluo. Questi sistemi combinati prendono il nome di “Sistemi ibridi” (Vymazal, 2005).

Attualmente in Europa sono in funzione alcune decine di migliaia di impianti di fitodepurazione, la maggior parte dei quali localizzata nei Paesi del Nord dove già da molti anni sono utilizzati come strategia per la riduzione dell’inquinamento proveniente da piccole e medie utenze.

In Europa sono maggiormente diffusi i sistemi a flusso sommerso orizzontale e verticale (più del 75%), utilizzati prevalentemente per il trattamento secondario di acque reflue domestiche e civili (Vymazal ed altri). Tali sistemi risultano essere i più appropriati nel contesto europeo, sia per il miglior rapporto tra superficie necessaria ed efficacia di trattamento, sia per il loro inserimento in aree urbane e/o periurbane.

Per il trattamento terziario (o post-trattamento) di depuratori esistenti si annoverano invece, numerose esperienze con sistemi a flusso superficiale FWS, che si configurano spesso come la migliore alternativa in caso di ingenti quantità di acque da trattare con ridotto grado di inquinamento.

Inoltre, la realizzazione di questi sistemi fornisce l’opportunità di ricreare habitat ideali per specie animali (piccoli anfibi, uccelli, etc.) e vegetali (idrofite ed alofite) fortemente a rischio per la sempre maggiore semplificazione delle forme d’uso del territorio e la conseguente scomparsa dei microhabitat adeguati alla loro riproduzione. 

Schema Impianto di Fitodepurazione – SFS-h o HF (Subsurface Flow System – Horizontal Flow).

Abitante Equivalente

L’Abitante Equivalente (AE) costituisce l’unità di misura utilizzata nel campo della depurazione delle acque reflue per uniformare le stime degli abitanti residenti, di quelli fluttuanti (pendolari e turisti) e di quelli equivalenti derivanti dagli scarichi delle attività economiche.

La normativa nazionale di riferimento (Dlgs. 152/2006), all’articolo 74 comma 1 lettera a), definisce l’abitante equivalente come il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno.

Nel caso in cui non sia disponibile il dato analitico di carico organico, alcune regioni fanno riferimento al volume di scarico di 200 litri per abitante/giorno o provvedono a determinare il carico in abitanti equivalenti sulla base delle dimensioni volumetriche dell’insediamento e sul suo numero dei vani, valutati sulla base dei criteri tecnici utilizzati per la progettazione degli stessi e dettati dalla buona norma tecnica dell’edilizia residenziale. 

Criteri di individuazione dei reflui assimilabili a quelli domestici

La legislazione nazionale di riferimento ha previsto che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche, le acque reflue aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale.

L’art.101 del D.lgs. 152/2006 ha previsto al comma 7, lettera e) i criteri per l’assimilabilità del refluo a quello domestico, salvo quanto previsto dall’art. 112, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:

  • provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;
  • provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame;
  • provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarità funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;
  • provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;
  • aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;
  • provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.

Sono quindi assimilate alle acque reflue domestiche quelle acque reflue che, in base a quanto stabilito dalla normativa regionale, presentano analoghe caratteristiche qualitative pur provenendo da edifici non residenziali, ossia da edifici o impianti in cui si svolgono attività produttive, sia artigianali sia industriali o commerciali.

Per quanto sopra, oltre ai criteri di assimilabilità stabiliti dalla normativa nazionale, talune regioni hanno definito valori limite di emissione che le acque reflue devono rispettare a monte di ogni trattamento depurativo affinché possano ritenersi “assimilate” alle acque reflue domestiche.

Schema Impianto di Fitodepurazione – SFS-h o HF (Subsurface Flow System – Horizontal Flow).

Servizio a cura di Marco Caserio

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