In Biblioteca | Franco Angeli

Città stagionali: rigenerazione urbana oltre il turismo

Intervista all'arch. Silvia Vespasiani, autrice del volume ora in ristampa, che pone l'attenzione sui territori e sull'urbanizzazione sparsa nel medio Adriatico attraverso focus sulle dinamiche riguardanti la rigenerazione urbana collegata a un turismo che anno dopo anno ha assunto i connotati di turismo di massa.
Arch. Silvia Vespasiani | La sua attività di ricerca si concentra sulle trasformazioni dei contesti insediativi costieri italiani realizzati negli anni del Boom economico.
Arch. Silvia Vespasiani | La sua attività di ricerca si concentra sulle trasformazioni dei contesti insediativi costieri italiani realizzati negli anni del Boom economico.

«Città stagionali: rigenerazione urbana oltre il turismo», edito da Franco Angeli, è stato scritto da Silvia Vespasiani, architetto impegnata professionalmente presso il Servizio urbanistico della Provincia di Fermo.

Dottore in ricerca, l’architetto Vespasiani ha dedicato studio e ricerca sugli eventi e sui fattori che hanno determinato le trasformazioni dei contesti insediativi costieri italiani realizzati negli anni d’oro dello sviluppo industriale del Paese (sviluppo che fu anche sociale oltre che economico) passati alla storia del Novecento come gli anni del boom economico.

Nel suo impegno professionale, in particolare la Vespasiani ha posto l’attenzione sui territori e sull’urbanizzazione sparsa nel medio Adriatico attraverso precisi focus sulle dinamiche riguardanti la rigenerazione urbana collegata a un turismo che anno dopo anno ha assunto i connotati di turismo di massa.

Copertina libro Silvia VespasianiÈ un’azione narrante delle urbanizzazioni per il turismo balneare quella che ci propone l’autrice del volume che si sviluppa a partire dagli anni ’50 del Novecento e che negli anni ’70 raggiunge il suo culmine.

Anni intensi di sviluppo urbanistico caratterizzati da produzioni architettoniche di levatura pregevole ma, purtroppo, anche anni che hanno favorito produzioni e sviluppi figli di logiche speculative di mercato.

L’autrice ci spiega come questo sia il risultato determinato da più fattori quali le visioni e l’agire dei progettisti, il delinearsi di specifiche scelte urbanistiche degli enti locali dislocati sul territorio, risultato di una pianificazione urbanistica collegata esclusivamente a un’espansione che l’autrice definisce sbilanciata, di valorizzazione turistica come punto focale di una crescita economica e non come elemento d’analisi per sviluppare e procedere a una qualificazione coerente dello spazio abitato.

Nel volume gli episodi di turismo balneare e di massa si sovrappongono agli esiti rappresentati dalle seconde case e questi, insieme, determinano la caratterizzazione di una città sparsa.

A Silvia Vespasiani (autrice nel 2012 per conto di Mondadori anche di “Milano Marittima 100. Paesaggi e architetture per il turismo balneare”) abbiamo posto alcune domande.

In Italia con l’inizio degli anni ’50 il turismo diventò un motore economico notevole, un’industria che andava a toccare enormi spazi liberi, fenomeno che raggiunse il proprio apice negli anni ’60. Con gli anni ’50 iniziarono dunque fenomeni di dilatazioni urbane: quali furono e come si caratterizzarono?

“In Italia, negli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale oltre alla ricostruzione si verificò il fenomeno dell’ “inurbamento”, cioè il travaso di abitanti che dalla campagna si riversò nei grandi centri economici e produttivi. Così accanto alla ripresa economica degli anni del “boom” si  determinarono due tipi di dilatazioni urbane: l’espansione delle città verso lo spazio agricolo circostante, con la nascita delle periferie, e l’irradiamento attraverso gli assi principali di comunicazione delle aree più distanti non direttamente protagoniste della crescita industriale ed economica, ma a cui partecipavano in quanto mercati di sbocco e come bacini di accoglienza per le vacanze estive o del fine settimana.

La maggior parte della “litoralizzazione” delle coste italiane si compie in questo periodo, cioè in quel momento di particolare fervore edilizio che accompagna la crescita “miracolosa” dei paesi a economia capitalistica anche in ambito turistico.

Le località costiere italiane, al tempo quasi tutte caratterizzate da una domanda di turismo interno più elevata rispetto a quella estera, guidarono la crescita del settore turistico attraverso iniziative private che volevano promuovere una rapida trasformazione dei litorali per localizzare l’offerta necessaria di strutture e di servizi in grado di soddisfare la ricerca di svago estivo delle fasce di reddito medio-basso.

Fu principalmente questo tipo di approccio, cioè quello della creazione di un ricettivo rivolto al nuovo ceto medio che aspirava a ricalcare i comportamenti e le ambizioni dell’aristocrazia attraverso un’operazione di riduzione sia del livello culturale che della capacità di spesa, che orientò l’assetto dell’edificazione per il balneare italiano e che incise sulle modalità di occupazione del suolo, sulle forme dell’architettura e delle lottizzazioni che nel tempo hanno riempito i litorali.

©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.
©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.

In breve tempo le coste dell’Italia, e in generale del Mediterraneo, diventano le prime destinazioni turistiche nel mondo, ma anche un territorio esteso conquistato dal modello immobiliare di sviluppo quantitativo per cui si assiste alla diffusione di un turismo beach & sun che con le sue “cose e case” modifica radicalmente i litorali e le località balneari aumentando in modo frenetico lo spazio urbanizzato a discapito delle aree libere e naturali.

Nell’ambito di tale fermento, il ritardo della normativa urbanistica e la miopia delle politiche pubbliche incentivarono questa modalità “quantitativa” di sviluppo del fenomeno lasciando ampio margine ad azioni di tipo privatistico e speculativo.

A partire dagli anni ’80 sono molte le città che hanno avuto necessità di riqualificare grandi aree del tessuto edilizio: soprattutto spazi adiacenti alle spiagge. Quali i motivi e come si sono sviluppate le riqualificazioni urbane, con quali progetti architettonici-urbani?

Dopo il consolidamento del turismo internazionale come fenomeno sociale di massa, negli anni ’80 inizia a emergere l’esigenza di rinnovare le destinazioni turistiche più consolidate dei litorali mediterranei che perdevano attrattiva.

Le prime località turistiche costiere a dare segnali di stagnazione e a manifestare l’esigenza del rinnovo sono state quelle dell’Inghilterra che entrano in una fase endemica già alla fine degli anni ’70. Successivamente entrano in crisi anche le località costiere del Mediterraneo dove al problema della competizione con altre destinazioni emergenti, come ad esempio quelle dei paesi del Nord Africa, si sommano il degrado delle strutture di accoglienza, la domanda di turismo alternativo (o estremo) e di quello culturale-urbano.

Sulla base delle teorie utilizzate per descrivere l’evoluzione delle destinazioni balneari, soprattutto dal punto di vista geografico, sono state elaborate diverse strategie di ristrutturazione attuate secondo modalità d’intervento differenziate che si rivolgono sia alla scala regionale, attraverso la pianificazione territoriale, sia a quella locale mediante progetti a scala urbana ed architettonica.

©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.
©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.

La maggior parte delle iniziative tese alla ristrutturazione, rinnovo, rivitalizzazione degli spazi turistici che prendono piede a partire dalla fine degli anni ‘80 si confrontano con situazioni urbane mutate e con organizzazioni geografiche differenziate; pur tuttavia esse si focalizzano principalmente su tutte quelle azioni materiali ed immateriali che si rivolgono al solo turismo (hotel, residenza, attrezzature della spiaggia). Ma se negli anni ‘60 e ‘70 l’architettura poteva affrontare il progetto delle città del tempo libero e delle vacanze come luoghi da costruire ex nihilo, o comunque come separati e diversi da quelli della quotidianità, ora il problema che si pone è un’altro: come incorporare definitivamente la questione dello spazio ricreativo e turistico nello spazio contemporaneo abitato, e contemporaneamente come convertire gli spazi costruiti per la “corsa al mare” in tessuto urbano complementare per abitanti/turisti.

Nel libro si propone un quadro di riferimento ampio di esempi diversi che hanno orientato i principali interventi architettonici ed urbanistici di rigenerazione degli insediamenti turistici costieri del Mediterraneo e che si sono attuati seguendo diverse strategie: aumentare la qualità degli spazi a contatto con la spiaggia; creare nuovi spazi urbani dedicati; Perseguire i criteri di sviluppo sostenibile; spazi ricreativi e parchi a tema; creare percorsi tematici ed eventi per incentivare il turismo effimero.

Nel volume lei entra nel merito di alcune aree urbanizzate (anni ’60-’70) lungo il litorale adriatico delle Marche. Ci spiega come si sono manifestate le urbanizzazioni balneari e in particolare i casi di studio da lei considerati: San Benedetto del Tronto – Porto D’Ascoli, Casa Bianca e Lido Tre Archi a Fermo?

Nelle Marche, il primo spostamento della popolazione verso la costa avviene già prima delle due guerre mondiali e principalmente per cercare impiego in altri settori diversi da quello dell’agricoltura.

Lo sviluppo dell’edificazione legata ai bagni di mare estivi rimane di dimensioni modeste fin verso la fine degli anni ’50, in lieve ritardo rispetto al fervore della vicina costa romagnola anche se Pesaro, Fano, Senigallia ed Ancona vantano già una discreta fama per avere inaugurato, nel 1853, gli “Stabilimenti” costruiti sulla stessa matrice riminese (piattaforma e camerini sul mare, padiglione a terra).

Dal punto di vista urbano, gli stabilimenti a terra e le cabine in acqua sono i primi elementi architettonici che connotano il consolidamento del nuovo rapporto con il mare. Ad essi seguiranno i Villini, i Kursaal e gli Hotel, ma solo più tardi verrà introdotto il “lungomare” come spazio pubblico aperto e ricreativo, collocato tra la spiaggia e l’edificato. Concepito, finalmente, come elemento urbano ordinatore e non più come “distanziatore” dalla spiaggia, intesa come ambiente diverso e ostile, il suo utilizzo si diffonde rapidamente.

©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.
©Silvia Vespasiani | Esempio di urbanizzazione balneare nelle Marche.

Questo elemento lineare di spazio pubblico darà avvio alla trasformazione della struttura urbana delle tante città marchigiane coinvolte dal nuovo fenomeno turistico estivo.

Il lungomare è, in effetti, quello spazio urbano presente ancora oggi che rende riconoscibili le prime città balneari, cioè i centri costieri che hanno pianificato e organizzato gli spazi della “villeggiatura” già prima della successiva ondata delle vacanze di massa. Il modello principale di riferimento è la Promenade des Anglais aperta a Nizza nel 1862 per favorire il passeggio e l’esposizione al sole.

Nei 180 km di litorale marchigiano la situazione si infervora in seguito al contagio della vicina riviera romagnola e si intreccia con l’intenso processo di industrializzazione che continuerà ad avere un tono sostenuto fino agli anni ’80 del secolo scorso.

La mancanza di una pianificazione urbanistica lungimirante e attenta alle nuove esigenze apre la strada allo sviluppo edificatorio che solo nei casi più fortunati può approfittare della struttura regolatrice già presente nella città balneare tradizionale, cioè dell’elemento lineare ordinatore del “Lungomare” appunto.

Negli anni del suo massimo sviluppo il turismo balneare marchigiano fa registrare copiose e rapide espansioni delle città costiere ed incentiva lo sfruttamento del territorio agricolo più vicino al mare con la formazione di “lidi” e la costruzione di “villaggi” dedicati. Il lido come nucleo di fondazione deriva dalla strutturazione della città balneare ottocentesca che abbatte le mura fortificate e si amplia per “gemmazione” creando insediamenti più vicini allo “stabilimento” marino, ma separati dalla città “madre”.

Nelle Marche, quasi tutti i lidi sono stati costruiti a poca distanza dai centri urbani presenti dando origine ad altri nuclei urbani specializzati. Ad esempio le località Marcelli, Casabinaca di Fermo, Lido Tre Archi e Marina di Altidona,  sono insediamenti sorti “ex nihilo” per opera di investimenti privati che negli anni di maggiore diffusione del turismo balneare si sono riversati sulle lottizzazioni residenziali di “seconde case”.

Verificare questi spazi del litorale adriatico, considerare una rigenerazione urbana, riconsiderare le edificazioni del turismo balneare di massa si possono considerare eventi ed occasioni di sperimentazione urbana?

Se pensiamo alle tante città stagionali come sistemi aperti complessi che assorbono le trasformazioni in continuo cambiamento, si mostra evidente la necessità di affidare la rigenerazione degli spazi che esse offrono alle infinite prospettive del progetto dello spazio urbano impegnando ricerche e sperimentazioni nuove che aspirino a fornire nuove soluzioni a nuove condizioni in una prospettiva più ampia che possa andare oltre l’attenzione ai soli flussi turistici.

Ripensare il ruolo degli insediamenti nati e destinati al solo turismo balneare è necessario. Lo dimostrano le tante questioni urgenti che dobbiamo affrontare, in particolare quella dell’immigrazione, della crisi economica e sociale e, non ultima, quella delle catastrofi come il sisma di agosto 2016.

Osservare, esplorare e riflettere sulla dimensione insediativa attuale dei litorali, considerando il turismo e le altre mobilità come componenti affatto secondarie nell’articolazione dello spazio abitato, richiede all’architettura e al progetto urbano di ricalibrare il loro carattere più sperimentale, di impegnare la loro capacità di immaginare i luoghi svelando un rapporto disinibito con il temporaneo, con il transitorio e, dunque, con le nuove modalità di un abitare non necessariamente stanziale.

Il volume tenta di dare un impulso a queste urgenze contemporanee con la volontà di intercettare nuove logiche di rigenerazione urbana degli insediamenti turistici costieri capaci si andare oltre le dinamiche specifiche e le logiche consolidate dell’industria del turismo balenare.

di Carlo Cafasso

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here