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Ornati in laterizio: tradizione e conservazione

La tradizione dei mattoni decorati in rilievo ha un passato glorioso oltre che un’ampia diffusione: si tratta di una tradizione non documentata, ora appannaggio di pochissime fornaci artistiche, che rischia di andare perduta per sempre.

Tradizioni antichissime e fortune ottocentesche

«Facciata fantastica che s’avvicina allo stile bisantino», Tav. XVI dell’Album della ditta Andrea Boni e Compagni di Milano, 1852, acquistabile interamente per catalogo al prezzo di 15.000 lire austriache.

La tradizione dei cotti decorativi è connaturata alle caratteristiche di modellabilità del materiale argilloso. Sia la scultura in materiale lapideo, sia la modellazione artistica di pasta di argilla sono ascrivibili alle origini dell’espressione artistica dell’uomo.
«La produzione di laterizi ornati a rilievo è attestata in tutte le regioni del Mediterraneo, sin dalla tarda antichità» (1, p63). Decorazioni in cotto sono documentate in area pavese sul finire del secolo XI e in area toscana a metà del XII (2). I trattatisti, da Vitruvio all’Alberti, al Filarete, a Francesco di Giorgio Martini, al Serlio, a Vignola, a Palladio, a Scamozzi, rubricano aspecificamente i laterizi ornati a rilievo fra gli apparati decorativi (3). Eppure proprio il Filarete nel 1456 concepì il disegno generale dell’ospedale Maggiore di Milano, Ca’ Granda, i cui laterizi decorati a rilievo furono disegnati da Guiniforte Solari (4). Gli enciclopedisti Diderot e D’Alembert non ne fanno cenno esplicito, pur riportandone i disegni di ornato nella sezione architettura. La manualistica ottocentesca e novecentesca, da Breymann a Colombo a Carioni a Formenti a Donghi, ne rappresenta le modalità di fissaggio senza ulteriori approfondimenti. Soltanto l’Andreani, nei manuali Hoepli, ne illustra le modalità produttive e di messa in opera (5). Eppure l’architettura ottocentesca, prima della fortuna dei cementi decorativi liberty, si caratterizza in modo diffuso con pregevoli ornati in laterizio. E ancora nel ‘900 milanese un architetto della levatura di Portaluppi li utilizza, con lessico sfacciatamente passatista, nella Casa degli Atellani nel 1919, mentre imperversano gli ornati in cemento (6,7).

Nascita delle fornaci artistiche

Tempietto in cotto montato a Villa del Soldo a Orsenigo nel 1853.

Fino al periodo rinascimentale non è noto se i cotti decorativi fossero prodotti a piè d’opera o in laboratori specializzati. «Non esistono, infatti, informazioni relative alle officine di fabbricazione e in particolare non è dato sapere se i mattoni istoriati fossero prodotti in appositi laboratori o se facessero parte di un ciclo di lavorazione più ampio, legato al cantiere» (1,p.73). Ma è documentato che dalla metà del 1400 la produzione avvenisse in laboratori specializzati su disegno del progettista, come nel citato caso di Filarete e di Guiniforte Solari alla Ca’ Granda di Milano. «Sembra chiaro che una fornace si occupasse per ovvie necessità di produzioni molto differenti, dagli utensili per uso quotidiano, ai mattoni per la costruzione, alla decorazione a stampo, alla scultura vera e propria» (8).
La definizione di fornace artistica può essere fatta risalire al periodo dell’architettura rinascimentale, quando la produzione trascende la funzione costruttiva e strutturale del laterizio come elemento base della costruzione, per consustanziarvi un’istanza decorativa che, oltre all’ambito toscano, riscuote grande apprezzamento in ambito milanese.

Arte e serialità produttiva: il contributo di Camillo Boito

Conservatorio di Novara. Dettaglio di pinnacoli, in cotto a stampo, sulla copertura con capolettera «CG» (Collegio Gallarini).

La tradizione dei laterizi ornati a rilievo viene particolarmente valorizzata dagli architetti ottocenteschi lombardi. Camillo Boito, interprete delle istanze culturali e architettoniche dell’epoca, perviene a proporre uno stile nazionale. Del 1872 è il celebre scritto «L’architettura della Nuova Italia» dove in occasione del I Congresso nazionale degli ingegneri e degli architetti indica nello stile lombardo e nelle sue declinazioni regionali la lingua più ricca e più duttile per soddisfare i bisogni della giovane e povera nazione (9,p.15). Si tratta di uno stile che valorizza l’utilizzo del laterizio non solo come elemento costruttivo, ma anche decorativo.
Scrive Boito: «Nello stile lombardo il decoro può associarsi all’economia» (10,p.83). I presupposti teorici sono innovativi: stile, decorazione, struttura, economia della costruzione. «Le terrecotte così caratteristiche dell’arte lombarda e che per molti secoli servirono quasi esclusivamente alla decorazione delle più belle fabbriche, fornirono ampio campo agli architetti di provarne l’applicazione» (11,p.332). Il dibattito si spinge, con geniale intuizione, anche all’apparente paradosso dell’arte industriale e delle arti decorative minori, riuscendo a contemperare, in un’ottica molto avanzata, le istanze artistiche con quelle socio-economiche.
Boito scrive con ammirevole acume: «Le industrie hanno bisogno dell’arte per entrare nel commercio e per cooperare alla ricchezza del paese»(12). Possiamo ritenere che il successo dei cotti decorativi ottenuti con tecniche produttive seriali, come vedremo anche venduti a catalogo, non risieda soltanto nella ricerca, da parte degli architetti, di uno stile nazionale.
Le ragioni sono più ampie, attinenti all’evoluzione del dibattito culturale dell’epoca in ordine alla nascita di una arte industriale. Camillo Boito arriva a sostenere sia la creazione di corsi professionali di arte industriale (scuola superiore d’arte applicata all’industria, istituita a Milano nel 1882), sia la promozione del dibattito attraverso la redazione della rivista «Arte italiana decorativa industriale», da lui diretta ricercando una sintesi, apparentemente impossibile, fra istanze artigianali, irripetibilità dell’opera d’arte e produzione seriale per una più ampia diffusione di oggetti artisticamente validi (13).

Chiesa di San Giovanni Battista a Bergoro. Dettaglio di formella in cotto decorativo a stampo prodotta nel 1960 dalla Fornace artistica Muzio di Fagnano Olona.

Produttori specializzati: la Ditta Andrea Boni

Nel 1852 in Milano viene costituita la «Ditta Andrea Boni e compagni» per la produzione di terrecotte ornamentali. Fra i soci figurano rappresentanti del miglior professionismo lombardo:

  • Luigi Tatti (ingegnere e architetto),
  • Alessandro Sidoli (architetto),
  • Giuseppe Pestagalli (ingegnere e architetto),
  • Antonio Caneva (ingegnere e architetto),
  • Alessandro Negroni Prati (ingegnere),
  • Giacomo Bussi (ingegnere e architetto).

La partecipazione dei progettisti al dibattito culturale sul nuovo stile nazionale improntato al bello, all’utile e all’economico, non si limita all’ambito dell’enunciazione teorica, ma si corrobora di un risvolto imprenditoriale, tipico della mentalità milanese: gli stessi progettisti che disegnano e utilizzano gli ornati in cotto si costituiscono in società per la produzione seriale a catalogo degli stessi. «Non sorprende dunque trovare il Tatti azionista della società del Boni, produttrice di terrecotte ornamentali per ogni uso, dai vasi da fiori ai cornicioni ai comignoli, ispirandosi ad ogni stile in modo tutt’altro che rigoroso»(14,p.88). La Ditta è in grado di fornire ornati in cotto su progetto dei migliori architetti dell’epoca, stampando e diffondendo un catalogo ricchissimo, completo di prezzi per ogni elemento prodotto. Riuscire a mettere in produzione e a commercializzare a catalogo, con prezzi predefiniti, addirittura intere facciate o edifici di grandissima qualità architettonica (come un tempietto disegnato dal Sidoli e montato nel parco della Villa del Soldo a Orsenigo) è un’impresa degna della migliore imprenditoria: connubio tra progettazione artistica, avanzata tecnologia produttiva e strategia commerciale (15).

Testa scolpita sulla facciata di un’abitazione a Enfield (Uk) 1680 -1700.

Gli ornati in cotto e la parabola dei cementi decorativi

Nei primi anni del ‘900 la tradizione artigianale dei laterizi decorati costituisce la base su cui si innesta la produzione di ornati in pietra artificiale, mediante innovazioni tecniche strettamente correlate alle caratteristiche del calcestruzzo.
Tali innovazioni sono documentate dalla letteratura scientifica dell’epoca, grazie a riviste di avanguardia che si proponevano di approfondire e diffondere le conoscenze tecniche sul cemento, con approccio sperimentale.
Tra queste primeggia la rivista milanese «Il Cemento» che dal 1904 al 1920 pubblica il maggior numero di contributi. Ma il primato temporale è ascrivibile al periodico mensile «L’Edilizia Moderna» che a Milano, fin dal 1892, documenta la produzione di ornati in pietra artificiale. In questi ornati cementizi si uniscono le competenze tradizionali di due figure: il mastro fornaciaio e lo scalpellino, in una contaminatio innovativa che riconfigura l’ornato architettonico e dà sostanza alle nuove istanze artistiche del Liberty. Nasce l’inedito ruolo del cementista che provvede alla realizzazione degli stampi, alla formulazione delle miscele, alla formatura e lavorazione finale degli ornati cementizi.
Proprio «l’età del Liberty è il momento in cui gli espedienti tecnici moderni vengono messi al servizio, oltre che delle funzioni pratiche, della felicità formale, nell’intenzione e nella speranza che il progresso e lo sviluppo industriale non neghino creatività e culto della bellezza»(16,p.32).

Archeologia industriale sopravvivente: meriti e rischi della produzione attuale

Chiesa di San Giacomo Maggiore, 1477-1481. Dettaglio del fregio.

La produzione attuale delle fornaci artistiche si differenzia da quella industriale per l’approccio artigianale, per la limitata produzione, per la gamma merceologica di nicchia, destinata a tre settori: oggetti per opere architettoniche di alta fascia qualitativa, manufatti per il restauro architettonico, produzione corrente di minor valore artistico. Possiamo considerare le fornaci artistiche in attività come reperti archeologici vitali della boitiana arte industriale e decorativa.
Archeologia industriale sopravvivente. La definizione non è irrispettosa: i fornaciai artistici appalesano la volontà ammirevole di resistere alle sollecitazioni del mercato industriale globalizzato. Essi mantengono viva una tradizione di conoscenze non codificata, trasmessa in via esperienziale, con declinazioni localistiche la cui per -dita sarebbe non altrimenti colmabile. Questa è la forza e il rischio delle arti cosiddette minori: essere appannaggio di artigiani che ne conservano gelosamente i segreti tecnologici e li tramandano all’interno di un distretto limitato o, addirittura, di una singola famiglia. L’interruzione generazionale comporta la perdita irrimediabile di competenze artigianali non codificate.

Mastri fornaciai a rischio di estinzione

Quale può essere il futuro delle fornaci artistiche? Il mercato del restauro architettonico non può offrire pieno sostentamento economico ad attività la cui componente artigianale è ancora elevatissima, con incidenza rilevante dei costi di produzione. La nuova architettura, pur prescindendo dalla contingente contrazione, difficilmente è in grado di assorbire un’offerta di laterizi artistici. Preoccupante è anche il mancato ricambio delle maestranze. Manodopera altamente specializzata richiede periodi di formazione e affiancamento molto lunghi. Neppure vengono erogati corsi di formazione per mastri fornaciai. Il pensionamento di un fornaciaio non è soltanto una perdita operativa per la singola fornace, ma anche una perdita di conoscenze non pubblicate.
Parimenti la rottamazione di un macchinario storico, non più utilizzabile, è una perdita anche per la storia della tecnologia.

Prevenire il rischio di perdita di conoscenze e di tecniche produttive

Per prevenire il rischio di perdita di conoscenze e di tecniche produttive si possono tracciare prospettive strategiche. Appare efficace una sinergia fra operatori (cultura tecnica e di mercato) e mondo accademico (capacità di approfondimento e organizzazione scientifica) per seguire due fronti di ricerca: la codificazione rigorosa dello stato dell’arte, per elaborare organicamente una storia delle tecnologie produttive; una riflessione sulla prassi del restauro, per indirizzare progettisti e operatori verso un approccio conservativo aggiornato.
Si può formulare una proposta operativa: le associazioni di categoria, cui le fornaci artistiche afferiscono, valutano l’istituzione di borse di ricerca e condividono, con docenti universitari interessati, piano scientifico e modalità di erogazione. Il mondo accademico sollecita gli studenti ad approfondire due filoni di ricerca nell’ambito delle fornaci artistiche: storia della tecnologia e corretta operatività nella tutela del patrimonio. Un livello base coinvolge gli allievi dei corsi triennali e specialistici, assegnando esercitazioni, nei laboratori progettuali, sulle tematiche esposte.
Un livello superiore riguarda corsi di dottorato di ricerca: i fondi raccolti tramite le associazioni di categoria integrano le borse di studio, finalizzando percorsi specifici di ricerca nell’ambito. Ovviamente è necessario prevedere una ricaduta economica favorevole alle fornaci artistiche: la pubblicazione dei progressivi risultati della ricerca sulle riviste di settore consegue il risultato di accreditare le fornaci che partecipano al progetto, sia presso i progettisti che presso gli operatori della conservazione, per sviluppare reti più fitte di contatti commerciali e nuove prospettive di mercato. @Costruire In Laterizio

Vittorio Giola, ingegnere, architetto, phd

Riferimenti bibliografici

(1) Novara, S. Adalberto in Pereo e la decorazione in laterizio nel ravennate e nell’Italia settentrionale, Sap, Mantova 1994.
(2) Gabbrielli, R. Parenti, La decorazione in laterizio. Osservazioni sulle tecniche di produzione, in G. Biscontin, D. Mietto (a cura di), Le superfici dell’architettura: il cotto. Caratterizzazione e trattamenti, Atti del Convegno Scienza e Beni culturali, Arcadia ricerche, Padova (1992), pp. 23-35.
(3) M. Trippetta, Il laterizio nei trattatisti: da Vitruvio a Scamozzi, in G. Biscontin, D. Mietto, Le superfici dell’architettura: il cotto. Caratterizzazione e trattamenti, Atti del Convegno Scienza e Beni culturali, Arcadia ricerche, Padova 1992, pp. 111-125.
(4) Archivio privato Fornace Curti, Milano.
(5) A. Andreani, L’arte dei mestieri. Il muratore, Hoepli, Milano 1915.
(6) G. Bilancioni, Aedilitia di Piero Portaluppi, Città Studi, Milano 1993.
(7) L. Molinari (a cura di), Portaluppi. Linea errante nell’architettura del Novecento, Skira, Milano 2003.
(8) J. Gritti, Piere cocte e intaliate. Tramiti bramanteschi nella diffusione dei lacunari in terracotta in area cremonese, in A. Brodini, G. Curcio, Porre un limite all’infinito errore. Studi di storia dell’architettura dedicati a Christof Thoenes, Campisano, Roma 2012, pp. 23-36.
(9) V. Fontana, Stereometrie boitiane, in Grimoldi A. (a cura di), Omaggio a Camillo Boito, Franco Angeli, Milano 1991.
(10) C. Boito, Architettura del Medio Evo in Italia, con una introduzione sullo stile futuro dell’architettura italiana, Hoepli, Milano 1880.
(11) T. V. Paravicini, Palazzi ed abitazioni civili, Milano tecnica, Milano 1885.
(12) C. Boito, Lettera agli editori, Arte Italiana Decorativa e Industriale, 1 (1892) 5.
(13) V. Giola, Cementi decorativi liberty: storia, tecnica, conservazione, Quasar, Roma 2009.
(14) S. Della Torre, Architetto e ingegnere: Luigi Tatti (1808-1881), Franco Angeli, Milano 1989.
(15) V. Giola, D. Turati, Villa De Vecchi a Cortenova. Riscoperta di un capolavoro, Com. Montana, Lecco 1991.
(16) R. Bossaglia, La decorazione in cemento: le facciate Liberty, Cemento e Calcestruzzo, Atti del Convegno, Artioli, Piacenza 1995.

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