Dibattito | Digitalizzazione

Il Bim e la cultura del dato nell’industria delle costruzioni

In un tempo in cui valgono le serie storiche di dati qualitativi (possibilmente strutturati) e la integrale loro leggibilità da parte della macchina, è ovvio che il contributo fornito dalla modellazione informativa, dal Bim, all'attendibilità della valutazione dell'investimento e all'affidabilità della scelta dei contraenti da parte del committente o del promotore dipenda da un'appropriata cultura del dato.
Angelo Luigi Camillo Ciribini | Professore Ordinario, Dicatam, Università degli Studi di Brescia.

La bidimensionalità e, specialmente, la tridimensionalità parametriche sono attualmente particolarmente, giustamente, apprezzate da progettisti, esecutori, manutentori, gestori dei cespiti immobiliari e infrastrutturali.

Le innumerevoli presentazioni relative al Bim fondate sulle rappresentazioni tridimensionali, seppure di grande efficacia comunicativa, molto hanno, tuttavia, nuociuto all’effettiva comprensione dei processi di digitalizzazione del settore.

Ciò è accaduto poiché si è attribuito, stranamente, al termine modello un’accezione che, nelle stesse discipline dell’ingegneria, forse meno dell’architettura, oltre che delle scienze economiche, finanziarie e sociali, possiede pure significati più sottili o meno immediati, come dimostrerebbe, peraltro, anche una corretta comprensione del cosiddetto gemello digitale.

Non si tratta qui di mettere in discussione gli aspetti geometrico-dimensionali quali mezzi di concezione, di comunicazione e di prescrizione in tutte le fasi del processo e del suo ciclo di vita (benché spesso essi inducano, anacronisticamente, a tradurre i dati in documenti) quanto di sottolineare come siano i modelli e le strutture di dati a dover contare in due passaggi fondamentali per un procedimento o per una commessa: la valutazione della fattibilità dell’investimento e la selezione dei contraenti.

Immaginare di utilizzare i modelli informativi, per come li vediamo, anziché per come sono strutturati internamente, sincronizzabili esternamente e interrogabili semanticamente, significa, infatti, invertire negativamente l’approccio al Bim.

Vuol dire trascurare il loro maggiore potenziale, al fine di ricondurre a categorie analogiche ciò che a esse è del tutto irriducibile: come attesterebbe, ad esempio, la dizione di modellazione informatizzata.

Appare, del resto, molto opportuna e sottile l’osservazione di un’acuta studiosa del tema che annotava quanto paradossalmente estetiche appaiano persino molte rappresentazioni dei modelli informativi avvalentisi di strumenti di Visual Programming e di Data Analytics.

Analogamente, la possibile difficile comprensione dei nuovi Loin (Level of Information Need), nei confronti dei vecchi Lod, molto spiegherebbe in futuro della difficoltà degli operatori nel finalizzare, nel progettare e nel configurare, oltre che nel condividere, la richiesta, la produzione e la verifica dei contenuti informativi.

In un tempo in cui valgono le serie storiche di dati qualitativi (possibilmente strutturati) e la integrale loro leggibilità da parte della macchina, è ovvio che il contributo fornito dalla modellazione informativa, dal Bim, all’attendibilità della valutazione dell’investimento e all’affidabilità della scelta dei contraenti da parte del committente o del promotore dipenda da un’appropriata cultura del dato.

È, in effetti, a questo proposito che il rischio, o meglio la sua mitigazione, entra in gioco nelle due fasi determinanti del procedimento e della commessa. Un ragionamento non dissimile vale per la gestione dei processi e dei tempi di attraversamento amministrativi.

Il Bim, sotto questo profilo, vale, perciò, coinvolgendo finanziatori, investitori, committenti, assicuratori; vale, tuttavia, secondo un’ottica computazionale e numerica, fornendo loro elementi utili alle proprie logiche e alle proprie metriche, distanti da quello dei soggetti appartenenti al comparto.

Vale, ancora, laddove, come dimostrano, ad esempio, l’evoluzione digitale del settore dell’autoveicolo o di quello del credito, sia presente una radicale rivisitazione del prodotto o del servizio (in termini di servitizzazione!) e in cui le esperienze (profilabili) del cliente/committente assumano una centralità. Così sarà, sempre più sovente, anche per gli investimenti infrastrutturali e per le operazioni immobiliari.

L’impressione è, di conseguenza, che non di rado il settore stia subendo, nella comprensione epistemologica del fenomeno della digitalizzazione, una stasi, una battuta d’arresto, un’immaturità digitale. Ciò probabilmente accade, ancora una volta, perché non s’intende affrontare la sfida identitaria, che, di fatto, minaccia gli equilibri consolidati, ma, al contempo, indeboliti da una crisi strutturale.

Secondo il Cresme, a saper leggere attentamente il paesaggio economico-organizzativo del settore, da dieci anni a questa parte, proprio la crisi ha ridisegnato i caratteri e i contorni del territorio di mercato. È, però, altrettanto vero che abbia intaccato i connotati più profondi degli attori? E, soprattutto, sarà possibile che ciò non avvenga prossimamente?

di Angelo Luigi Camillo Ciribini, Dicatam & eLux Lab
Università degli Studi di Brescia

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