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Il mercato dell’edilizia privata resta soddisfacente per le imprese di maggiori dimensioni e più specializzate

Malgrado un contesto di mercato che dopo la pandemia è sconvolto dalla guerra in Ucraina (e dall’inflazione che ne consegue) nel 2021 le 55 maggiori imprese attive in edilizia privata fatturano in totale 8,4 miliardi (in crescita su base annua del 20,8 percento) e nella sola edilizia privata 4,2 miliardi (più 19,1 percento) con una lieve riduzione della sua quota da 51,6 a 50,8 percento.

Sarà pubblicato il prossimo mese dalla società di ricerca Guamari il Rapporto dedicato, per il quarto anno, a un segmento molto specifico dell’offerta italiana di costruzioni: l’edilizia privata (prevalentemente in conto terzi ma in alcuni casi anche in conto proprio) realizzata dalle prime cinquantacinque imprese (con una soglia minima di fatturato 2021 superiore a 19 milioni).

Di ognuna di queste si pubblicano (e commentano) i principali dati di bilancio (alcuni dei quali forniti dalle imprese perché aggiuntivi rispetto a quelli pubblicamente consultabili al Registro Imprese), in una serie storica quinquennale. Illustrando anche posizionamento di mercato, strategie imprenditoriali e un elenco delle commesse recenti più significative.

I numeri e i commenti pubblicati in questo Rapporto saranno lo spunto per un approfondimento delle prospettive delle imprese al vertice (in rapporto al quadro più aggiornato di mercato) previsto in un incontro-dibattito tra i principali operatori della domanda e dell’offerta (privata) ospitato a Milano da Assimpredil Ance il 30 novembre 2022 (mattina).

Lo scenario di mercato

Ai fini di questo Rapporto lo scenario di mercato al quale interessa rapportare le prestazioni delle imprese è quello dell’edilizia per committenti privati, caratterizzata non solo dal carattere puntuale della costruzione ma anche dal prevalere degli spazi interni (fruibili) sugli esterni e dalla verticalità rispetto all’orizzontalità.

Ma non va dimenticata la sempre più interessante e promettente diversificazione dell’attività delle imprese più performanti nella “rigenerazione urbana”. Questo significa non solo contratti di maggior impegno economico, più lunga durata e soprattutto qualità insediativa oltre che specificamente edilizia, ma anche capacità di interlocuzione con le amministrazioni, stimoli alla progettazione anche urbanistica, diversificazione tipologica dei cantieri e, non ultimo, capacità di reperimento di capitali tipicamente sviluppando le forme di collaborazione pubblico/privato.

Venendo alle analisi congiunturali, secondo l’Ance il settore delle costruzioni ha ricominciato a crescere all’inizio del 2021 chiudendo l’anno con un più 16,4 percento in termini reali (con aumenti generalizzati in tutti i comparti) rispetto al 2020 e, ancora più significativo, un 9,1 percento rispetto al 2019 (anno “prepandemico”).

Ripartendo i dati 2021 per comparti gli investimenti in abitazioni (in larga prevalenza privati) sono cresciuti del 21,8 percento (25 percento nella manutenzione straordinaria e 12 percento nel nuovo); le costruzioni non residenziali sono cresciute dell’11,6 percento (15 percento la pubblica e 9,5 percento la privata).

Quanto alle previsioni per il 2022 gli investimenti in costruzioni dovrebbero crescere del solo 0,5 percento con un meno 5,6 percento nelle abitazioni (di cui più 4,5 percento per le nuove e meno 8,5 percento per la manutenzione straordinaria a causa di norme sul “superbonus” sempre più restrittive) mentre quelli nelle costruzioni non residenziali sono attesi crescere del 6,4 percento (5 percento nel privato e 8,5 percento nel pubblico).

Queste previsioni sono motivate dal rischio che il caro materiali fermi molti cantieri, in particolare nelle abitazioni (mentre le infrastrutture, essendo pubbliche, potranno sperare in adeguati adeguamenti ufficiali dei prezzi).

Quanto alle risorse, l’edilizia sarà molto penalizzata dal freno posto agli incentivi fiscali mentre le infrastrutture dovrebbero continuare a fruire di un buon flusso di investimenti a valere sui fondi del Pnrr, sempre che la recessione economica che minaccia l’Italia (come peraltro altri Paesi i cui pil incidono per un terzo su quelli mondiali) non si aggravi.

Le turbolenze e le minacce

Malgrado i numeri d’insieme non negativi (a consuntivo) è certamente dall’inizio del 2020 che il mercato delle costruzioni deve far fronte a situazioni emergenziali che mettono a dura prova la capacità degli imprenditori di essere al contempo reattivi e resilienti.

Questo è soprattutto vero nel mercato internazionale (dove però le nostre imprese, con qualche rara eccezione, si cimentano assai poco nell’edilizia privata), nel quale la globalizzazione è ostacolata in molti modi (sia nei flussi in uscita che in quelli in entrata di ogni Paese più industrializzato) ma con riflessi molto significativi anche sul mercato nazionale.

Esattamente due anni dopo l’improvviso manifestarsi di una  pandemia sanitaria ancora latente (che ha, tra gli altri guasti, imposto mesi di arresto ai cantieri per adeguarsi alle nuove norme e pratiche sanitarie, e inferto un primo grave colpo alla crescente mobilità internazionale degli operatori alla ricerca di opportunità di crescita e di scambi) è scoppiata nel centro stesso dell’Europa una guerra (l’attacco della Russia all’Ucraina) che ha sconvolto gli equilibri macroeconomici a livello mondiale (causando imprevisti rincari e carenze di materie prime e, soprattutto, mettendo in crisi la fiducia tra sistemi Paese senza la quale la globalizzazione non può che arretrare).

Se la prima crisi (pandemica), a volerne cogliere gli aspetti positivi, oltre a uno sforzo benvenuto di miglior organizzazione dei cantieri dal punto di vista della sicurezza (sanitaria, ma non solo) sta portando a nuovi comportamenti nell’uso dell’ambiente costruito (in particolare con una “banalizzazione” dei luoghi di residenza per renderli sempre più adatti anche al lavoro da remoto) la seconda crisi (bellica e geopolitica) è foriera solo di incognite e di minacce (a cominciare da  un’improvvisa impennata dell’inflazione dopo un lungo periodo di deflazione).

La speculazione che accompagna ogni evento bellico sta scaricando su un settore ad alta intensità sia di manodopera che di materie prime (con le relative problematiche di trasporto) come quello delle costruzioni una condizione talmente “fluida” che mina alla base ogni certezza contrattuale e impedisce sia a committenti che a imprenditori di far programmi (e sperare di rispettarli).

La famosa triade “costi/tempi/qualità” che dovrebbe equilibrare i rapporti tra domanda e offerta sulla base di una progettazione davvero esecutiva perde ogni attendibilità a fronte delle quotidiane fluttuazioni dei corsi delle forniture (materiali ma anche immateriali).

Di conseguenza ogni contrattazione (soprattutto nel settore privato, non regolamentato come il pubblico) si trova esposta a un’arbitrarietà che rischia di disincentivare gli investimenti. A meno che un rapido sforzo di accordarsi su “regole del gioco” condivise non riesca a ristabilire una fiducia tra le parti così seriamente minacciata.

Oggi più che mai formule contrattuali collaborative tra domanda e offerta (del tipo “win-win” nella terminologia anglosassone) sono l’unica speranza di affrontare l’incertezza con la resilienza cumulata di tutti gli attori delle costruzioni.

Il ruolo dell’innovazione contrattuale

È tempo, per far fronte a un’emergenza epocale, di affrontare almeno cinque questioni di fondo in grado di aumentare efficienza e certezza del diritto in un settore come il privato che non può basarsi sulla statualità tipica della contrattualistica pubblica (pur spesso travisata e distorta nell’applicazione amministrativa).

Tenendo sempre presente che la sostanziale differenza tra il mercato privato e il pubblico è che il primo si nutre di una fiducia “sostanziale”, il secondo di una fiducia spesso solo “formale” e non confermata “a posteriori”.

Ecco quali sono le questioni di fondo:

  • 1) qualificazione della committenza,
  • 2) centralità del progetto,
  • 3) sua certificazione e validazione,
  • 4) congruenza delle fidejussioni e di altre garanzie richieste,
  • 5) chiarezza sui controlli, i collaudi e gli stati di avanzamento (e di conclusione) dei lavori.

A questi princìpi dovrebbero ispirarsi schemi contrattuali tipo con specifico e fattuale riferimento alle cinque fasi in cui si può dividere la realizzazione di un’opera: 1) ultimazione, 2) collaudo, 3) ritenute, 4) garanzie, 5) consegna. Ma soprattutto ispirati a una fiducia reciproca tra domanda e offerta da conquistare con un dialogo continuo e franco.

Ispirandosi a un documento elaborato da un noto studio legale per conto di Assimpredil Ance (la maggior associazione di costruttori d’Italia) intitolato “Nuove procedure e contratti contro la crisi”, si possono formulare proposte procedurali e contrattuali che producano vantaggi tramite la condivisione preliminare tra committente, appaltatore e filiera.

Se questo obiettivo è comune agli appalti (di lavori) sia pubblici che privati la maggiore discrezionalità dei secondi suggerisce una serie di raccomandazioni oggetto di questo paragrafo.

Gli aspetti critici sono di quattro tipi

1) deviazioni rispetto ai costi e ai tempi preventivati (si intende a pari qualità) perché è ormai quasi fisiologico che la fase esecutiva dell’opera comporti modifiche in entrambi: per combatterle committenti e appaltatori devono prevedere e anticipare problemi e rischi;

2) progetti non condivisi: essi vengono spesso fatti accettare non essendo prima condivisi; per non perdere sinergie ed efficientamenti del dialogo tra chi progetta e chi esegue occorre ricomporre la frattura tra progettazione e costruzione;

3) contratti sbilanciati e disutili: essi sono poco negoziati perché frutto di rapporti di forza e di standard imposti; manca la pratica dei modelli di contratto volti a creare valore attraverso la disciplina del rapporto giuridico: poiché i contratti sono percepiti come formalismi mentre la sostanza è lasciata ai rapporti tra le parti mentre la sostanza è lasciata ai rapporti tra le parti diminuisce la certezza e la trasparenza e genera conflitto;

4) conflittualità della fase esecutiva: i profili più critici riguardano: responsabilità dell’appaltatore derivante da vizi e difformità dell’opera, del committente e del direttore lavori legati ai doveri di vigilanza e controllo del direttore lavori, responsabilità verso terzi, revisione prezzi.

Di quattro tipi sono anche le proposte operative

1) procedure di selezione flessibili e in open book: la fase di selezione, basata su elementi qualitativi e quantitativi, permette un confronto trasparente tra committente e candidati appaltatori, coinvolti in confronti informali in cui si discutono “a libro aperto” i costi attesi e le prospettive di sviluppo del progetto. Il criterio di selezione è l’offerta economicamente più vantaggiosa: l’utilizzo della modellazione digitale permette di valutare in tempo reale le proposte migliorative dei concorrenti;

2) costituzione di un team integrato: l’appaltatore selezionato è inserito in un team costituito dal committente e dai suoi consulenti al quale apporta la sua esperienza nelle problematiche esecutive;

3) coinvolgimento preliminare dei subcontraenti chiave: fin dalla fase di progettazione se ne possono negoziare i contratti mitigando in anticipo i rischi e accedendo a conoscenze ed esperienze in tutti i livelli della catena di fornitura sin dall’inizio del progetto;

4) nuove strutture contrattuali basate sulla collaborazione: poiché le clausole contrattuali che squilibrano i rapporti tra le parti comportano atteggiamenti difensivi da parte dei contraenti e non condivisione delle informazioni le strutture giuridiche vanno allineate alle condotte più virtuose dei cantieri.

Premesse queste problematiche endemiche all’edilizia e queste proposte operative, un’articolata formula che potrebbe subito esser messa in atto volontariamente dagli operatori (sempre che “facciano fronte comune” di fronte alle difficoltà e alle incertezze) restando comunque nell’ambito delle procedure vigenti.

Appalto con coinvolgimento preliminare dell’appaltatore e selezione in open book

Questo sistema di selezione dell’appaltatore, ampiamente sperimentato in numerosi Paesi avanzati, va nella direzione di clausole contrattuali tipo pensate per essere integrate negli standard dei committenti.

Esso è basato sul coinvolgimento preliminare (il cosiddetto early involvement) del soggetto selezionato come esecutore e dei suoi subcontraenti chiave. Esso permette al committente di beneficiare dell’esperienza del team di lavoro integrato con i propri consulenti, con cui studiare efficientamenti al programma: Il cosiddetto design brief) e miglioramenti al concept del progetto prima di avviare l’esecuzione.

L’esame anticipato di eventuali criticità e rischi realizzativi consente al committente di responsabilizzare l’appaltatore e, una volta approvato il progetto esecutivo e autorizzato l’avvio dei lavori, di trasferire il rischio sull’appaltatore e sulla sua supply chain nel modo più fair per tutte le parti coinvolte.

Operativamente il committente sottopone ai candidati appaltatori lo studio di fattibilità e il budget elaborati dal suo progettista e dal suo consulente invitandoli a dialogare con i loro consulenti e a formulare le loro offerte. In fase di dialogo con il committente i candidati appaltatori formulano con il loro team proposte migliorative: le loro offerte economiche, oltre al calcolo dei costi realizzativi, devono indicare gli utili e le spese generali.

La classifica 2022 

Tornando ora da uno scenario “proattivo” alle evidenze concrete dell’indagine sul mercato dell’edilizia privata (dal lato dell’offerta) la quarta edizione del Rapporto ha come principale novità l’ampliamento della classifica dalle prime 50 alle prime 55, una scelta dettata dalla generale crescita delle imprese.

Malgrado siano state ricevute finora 58 risposte valide, anche quest’anno non sono mancate realtà che per  riservatezza hanno preferito non comunicare i dati non desumibili dai bilanci depositati.

Tra queste spicca il colosso Webuild, che nonostante il limitato impegno nell’edilizia sia pubblica che privata (i cosiddetti “green buildings”, come li chiama nella dichiarazione ufficiale di bilancio, pesano solamente per il 5 percento sui ricavi totali 2021: ossia 320 milioni ma, …, nel questionario redatto per la rivista americana Enr, risultano incidere per l’8 percento, che significa 510 milioni fatturati nel 2021) ha dimensioni tali che giustificherebbero comunque la sua presenza in una classifica pur limitata all’edilizia privata (pur non coincidente con la mission aziendale).

Mancano anche due società specializzate nella realizzazione di edifici logistici come Engineering 2K e Akno Engineering & Construction che si differenziano dai due competitor presenti in classifica (Techbau e GSE Italia, caratterizzati da una certa diversificazione progressiva tra residenziale, ricettivo e direzionale/terziario).

Tre sono le imprese che hanno sì partecipato alla ricerca ma avendo nel 2021 fatturato nella sola edilizia privata meno della soglia di 19,1 milioni non hanno trovato posto tra le top 55: Cims, Salc e Ingg. Umberto Forti & Figlio.

In questa edizione si contano otto tra nuovi ingressi e graditi ritorni: Building, CDS Costruzioni, Cogevi, Garc, Giambelli, Guffanti A., ITI Impresa Generale e Mak Costruzioni.

Esse oltre ad ampliare il lotto sostituiscono tre imprese che, presenti nel Rapporto 2021, escono a vario titolo di scena: Emaprice, che nel luglio 2022 ha presentato una nuova domanda di ammissione al concordato preventivo (dopo quella del dicembre 2021), Italiana Costruzioni, che oltre ad aver ridotto l’impegno nell’edilizia privata sconta un ritardo nell’approvazione del bilancio 2021 che non le ha permesso di fornire dati ufficiali, e Pavoni, che nell’ultimo esercizio ha fortemente ridotto i ricavi da committenti privati.

Al netto di queste assenze la classifica delle maggiori 55 imprese conferma al primo posto Techbau e si chiude con Building (che fa il suo ritorno nel Rapporto dopo un anno di assenza) con un range di fatturato nell’edilizia privata che va da 300,5 a 19,1 milioni.

Cambiando punto di vista le imprese attive esclusivamente in edilizia privata si confermano in minoranza (22): in ordine di fatturato, Techbau, Impresa Percassi, GKSD Edile, Colombo Costruzioni, GSE Italia, Devero Costruzioni, Borio Mangiarotti, Sercos, Nessi & Majocchi, Ediltecno Restauri, Cev, Sa-Fer, Guffanti A., Ricci, Mario Neri, Tiemme Costruzioni Edili, Cds Costruzioni, Bruni Giorgio & Ivo, Giambelli, Ars Aedificandi, Mengato e Building. A queste se ne aggiungono 11 che pur non raggiungendo la totalità dei ricavi, fatturano oltre l’85 percento in edilizia privata: Costruzioni Generali Gilardi, Smv Costruzioni, Cospe, Secap, Pasqualucci, Grassi & Crespi, Nigro & C. Costruzioni, Albini e Castelli, Editel, Italia Costruzioni ed Edil Pietro.

Se la graduatoria delle top 55 vede al vertice lo stesso podio della scorsa edizione con Techbau (specializzata in logistica ma sempre più attiva anche nel residenziale e nel direzionale) insieme alla quarta e sesta impresa generale italiana Cmb (anche quest’anno unica cooperativa in classifica) e Rizzani de Eccher, numerose sono le società che si fanno notare per le performance positive del 2021.

A cominciare dalle maggiori crescite di cifra d’affari che appartengono a GSE Italia (unica filiale di un gruppo straniero in classifica che fattura oltre due volte e mezzo la produzione del 2020), CDS Costruzioni (che cresce di 2,4 volte) e Devero Costruzioni (più 111,1 percento), ma meritano di essere citate anche due imprese che hanno particolarmente incrementato la cifra d’affari nella sola edilizia privata: Cobar che ha quasi quadruplicato la produzione nel settore e Cogevi che la ha quasi triplicata.

A spiccare per i maggiori utili (rapportati al fatturato) sono tre imprese che lavorano esclusivamente in edilizia: Guffanti A., società dalla forte componente immobiliare (14,5 percento), Sa-Fer, specializzata nel comparto commerciale (12,5 percento) ed Edil Pietro (10,5 percento).

I maggiori portafogli ordini a fine 2021 (sempre in rapporto al fatturato) spettano a tre realtà fortemente attive nei lavori pubblici come De Sanctis Costruzioni (con commesse che valgono 8,2 volte il giro d’affari), Rizzani de Eccher (4,8) e Pizzarotti (4,6), mentre tra le specializzate in edilizia privata svettano Building (4,6), Techbau (4,3) e Colombo Costruzioni (3,7).

I numeri di insieme 

Nel 2021 le 55 imprese in classifica fatturano in totale 8,4 miliardi (in crescita su base annua del 20,8 percento) e nella sola edilizia privata 4,2 miliardi (più 19,1 percento) con una lieve riduzione della sua quota da 51,6 a 50,8 percento. Un aumento che conferma la ripresa del settore dopo un 2020 segnato da un blocco temporaneo dei cantieri.

L’attività in edilizia privata è ancora limitata nella maggioranza dei casi al territorio nazionale (spesso non si sconfina oltre le regioni limitrofe) tanto che solo nove imprese dichiarano una quota (anche minima) di fatturato internazionale per committenti privati raggiungendo un export del 12,2 percento trainato da tre big delle costruzioni come Pizzarotti, Rizzani de Eccher e Itinera che raggiungono quote rispettivamente del 90,5, 85,8 e 82 percento.

Se alcune società lamentano quest’anno marginalità ridotte dovute al generale aumento dei costi (del lavoro, delle materie prime, dei trasporti, ecc.), a livello totale la redditività mostra miglioramenti nelle sue diverse voci: l’ebitda aumenta del 29,8 percento, l’ebit è quasi due volte e mezza superiore al valore 2020 e il risultato netto passa da una perdita di 72,1 milioni a un utile di 8,9 milioni.

L’indebitamento finanziario netto del campione si riduce del 7,4 percento e vale meno della metà del patrimonio netto in aumento del 2,2 percento anche grazie alla presenza di 19 imprese che possono vantare una posizione finanziaria netta attiva.

Il portafoglio ordini a fine 2021, il cui dato è fornito da sole 41 imprese, vale 25,6 miliardi (più 11,1 percento) con una quota nel privato che sale dal 34,1 al 35,2 percento.

Nel 2021 le top 55 impiegano 15,9 mila addetti, dato in crescita del 7 percento su base annua.

I numeri del privato 

A differenza delle altre edizioni, quest’anno l’andamento delle 33 imprese specializzate in edilizia privata è sì positivo ma non denota una differenza così marcata rispetto ai dati dell’intero lotto.

Questo campione ridotto fattura 2,3 miliardi nel privato, evidenziando un incremento del 27,2 percento, con una quota di cifra d’affari internazionale scesa dal 2,2 al solo 0,9 percento.

I dati reddituali mostrano miglioramenti minori rispetto all’insieme delle top 55 imprese, ma questo si spiega anche col fatto che già nel 2020 queste imprese risultavano in buona salute: dai nostri calcoli l’ebitda aumenta del 22,5 percento, l’ebit del 22,7 e l’utile netto del 42,2 percento.

Sono invece ottimi i numeri dello stato patrimoniale che mostra l’indebitamento finanziario netto ridursi del 59,8 percento (13 sono le posizioni finanziarie nette attive) risultando quasi 20 volte inferiore al patrimonio netto salito del 12,4 percento. Questo malgrado il fatto che alcune imprese, operando anche in conto proprio, sono più indebitate delle altre.

Analizzando il posizionamento competitivo delle 33 imprese più specializzate in edilizia privata (quelle che vi fatturano oltre l’85 percento), l’ebitda margin 2021 (ebitda su fatturato) vale 6,3 percento (rispetto al 5,6 percento delle 28 imprese specializzate in edilizia privata della scorsa edizione) e se non sono presenti i picchi (in positivo e negativo) di due anni fa (2019) in cui due imprese superavano il 40 percento e due presentavano ebitda negativi, quest’anno sono 15 le imprese che espongono  valori sopra la media guidate da due società (con indici che superano di quasi 10 punti percentuali le migliori performance della scorsa edizione) che affiancano alle costruzioni l’attività di sviluppo immobiliare come Guffanti A. (26,8 percento) e Giambelli (25,2 percento) seguite da Ars Aedificandi (16,2 percento).

Quanto al debt equity medio (posizione finanziaria netta su patrimonio netto) esso è quasi nullo ma aumentato rispetto al Rapporto 2021 da 0,01 a 0,05, con solo sei imprese con il valore sopra la soglia di sicurezza dell’unità: in ordine decrescente, Devero Costruzioni (impresa che lavorando molto in proprio è costretta a forti investimenti), Albini e Castelli, Nigro & C. Costruzioni, Italia Costruzioni, Cospe e Impresa Percassi (il cui debt equity però supera l’unità solo di 0,01).

Inoltre vi sono ben 13 imprese con una virtuosa posizione finanziaria netta attiva: in ordine crescente rapportate al patrimonio, GSE Italia, GKSD Edile, Edil Pietro, Colombo Costruzioni, Techbau, Pasqualucci, Sercos, Sa-Fer, Ars Aedificandi, Borio Mangiarotti, Mario Neri, Cev, Grassi & Crespi.

Infine il portafoglio ordini delle 22 società che hanno fornito il dato si incrementa del 14 percento, mentre la forza lavoro (delle 33 che la hanno fornita) cresce del 5,3 percento.

La distribuzione regionale

Ancora nel 2021 la distribuzione geografica delle imprese attive in edilizia privata risulta molto più contenuta rispetto a quella delle imprese generali che, anche se presentano una concentrazione in Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio hanno sedi sparse in tutte le regioni italiane.

Le società di questa classifica al contrario sono dislocate in solo 11 regioni con netta prevalenza del Nord Italia e quasi totale assenza di Sud e Isole (in cui hanno sede solo in due).

Numerose sono anche le aree metropolitane che risultano sguarnite: infatti su 14  ben nove non ospitano sedi (per lo meno principali) di imprese attive nell’edilizia privata: Bologna, Catania, Firenze, Genova, Messina, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Venezia. In un certo senso una rivincita della provincia (dove è più conveniente insediarsi) sulla città.

La Lombardia guida come di consueto questa classifica con una quota sul fatturato totale delle top 55 del 42,9 percento e ben 21 sedi legali. Da notare come Milano, pur essendo il principale mercato in grado di attirare i maggiori investimenti immobiliari ospita solo un terzo delle imprese lombarde, mentre le altre 14 sono sparse tra le province di Bergamo (in testa), Brescia, Como, Lecco, Monza e Varese.

Al secondo posto torna l’Emilia-Romagna (terza lo scorso anno) scavalcando con sette imprese (di cui ben sei nel Modenese) e una quota del 14,7 percento, il Veneto che con nove società distribuite tra Padova, Treviso e Vicenza (nonché le loro province) fattura il 14 percento.

Seguono il Piemonte (con sei imprese che pesano per il 10,9 percento), Friuli-Venezia Giulia in cui la sola Rizzani de Eccher pesa per il 6,3 percento sul totale, il Lazio che con cinque società si ferma al 4,5 percento sottolineando ancora una volta il predominio del mercato (anche in edilizia) su quello privato nella Capitale.

Marginali sono invece le quote di Puglia (unica rappresentante del Sud con un’impresa che apporta il 2 percento del fatturato), Toscana (due imprese a Pisa e a Prato, che totalizzano l’1,7 percento), e Abruzzo, Sardegna e Trentino-Alto Adige, tutte con una sola rappresentante e quote rispettivamente dell’1,7, 0,7 e 0,6 percento.

di Aldo Norsa, Stefano Vecchiarino

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