Imprese di costruzioni | Classifiche

La congiuntura delle maggiori imprese di costruzioni

A tutt’oggi la lista delle grandi imprese in difficoltà (quando non scomparse) si allunga. L’uscita dalla classifica di numerose imprese in crisi ha ripulito in parte i numeri d'insieme delle top 100 dando un quadro meno negativo di quanto la congiuntura lascerebbe immaginare, soprattutto a livello reddituale. Analizzando impresa per impresa l’andamento nel 2018 tra le top 100 spiccano come campioni di crescita cinque realtà medio-piccole.

Avvicinandosi alla fine di un altro “annus horribilis” possiamo fare il punto sullo stato di salute (non buona) delle maggiori imprese di costruzioni italiane. Basandoci sull’insieme dei bilanci 2018, finalmente tutti disponibili al Registro Imprese (quelli delle società non in procedura concorsuale), confrontati nell’annuale classifica “top 100” che include sia le imprese di generali che le specialistiche. Essa è pubblicata in forma cartacea nel Report 2019 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Industry, a cura dell’autore con la collaborazione del dottor Stefano Vecchiarino, e scaricabile dal sito www.guamari.it, che viene aggiornato regolarmente, e allegata a questo articolo. 

Qui Top 100 Costruttori

Bisogna premettere che l’ascesa al potere nazionale del Movimento Cinque Stelle portatore di un’ideologia (?!) che i mass media chiamano della “decrescita felice” ha dato un altro colpo (non ancora “di grazia”) al già traballante vertice dell’imprenditoria delle costruzioni (per fortuna soprattutto nel mercato pubblico, dal momento che il privato ha sue logiche meno “romanocentriche”).

Il “traccheggiamento” sulla realizzazione di grandi opere da tempo in programma (nonché il rallentamento di altre già in costruzione), soprattutto infrastrutturali, ha causato non solo ulteriori default nell’imprenditoria ma – aspetto non sufficientemente sottolineato – “delegittimato” la competitività di numerose società che tentano faticosamente di compensare con l’esportazione il vuoto del mercato nazionale. Con conseguenti cancellazioni di contratti: una sgradita novità rispetto al recente passato, quando invece lavorare all’estero sembrava più sicuro che operare in patria.

A tutt’oggi (prima di addentrarci nell’esame, inevitabilmente “a posteriori” rispetto alla stretta attualità, delle evidenze di classifiche riferite al 2018) la lista delle grandi imprese in difficoltà (quando non scomparse) si allunga.

Né l’assordante “battage” che ha accompagnato il lancio (in verità subito frenato dalle convulsioni della procedura concorsuale di Astaldi) del “Progetto Italia” modifica sostanzialmente un quadro di debolezza dell’offerta che non ha paragoni tra i grandi Paesi nostri concorrenti.

A tutt’oggi esso ha comportato solo il rafforzamento finanziario del “campione nazionale” Salini Impregilo con un aumento di capitale che ha portato i due rami della famiglia Salini a scendere sotto il 50 percento mettendo in sicurezza (per quanto possibile) un’impresa che comunque è solo 14° per dimensioni in Europa e 49° nel mondo.

Se l’ambiziosa “crescita esterna”, per la quale si sono profuse fior di risorse pubbliche, provenienti dalla Cassa Depositi e Prestiti, all’orizzonte del 2021 il nuovo “campione nazionale” (dopo aver fagocitato e metabolizzato Astaldi, Condotte, Glf, ed eventualmente Pizzarotti e forse Rizzani de Eccher) potrebbe aspirare a diventare settimo in Europa e forse 30° nel mondo.

Ma … continuerebbe ad avere una quota di mercato domestico decisamente inferiore a quella dei concorrenti (quindi rimarrebbe esposto ai rischi crescenti della globalizzazione) e soprattutto si segnalerebbe per la “non diversificazione”.

Una scelta sbandierata fin dal 2011, all’inizio della scalata alla (da tempo contendibile) Impregilo e manifestata soprattutto nella vendita delle ricche concessionarie autostradali brasiliane (poi riacquistate, a minor prezzo, dal gruppo Gavio), necessaria per ripagare il costo della “scalata”.

In controtendenza con tutti i colossi stranieri che precedono il nostro in classifica, che dichiarano la diversificazione (nelle concessioni) essenziale per abbattere il rischio dell’attività di sola costruzione.

Rebus sic stantibus, in attesa dei promessi salvataggi pubblico-privati, la lista delle grandi imprese in una o altra forma di procedura concorsuale (anche in questo campo (giuridico) gli italiani si sbizzarriscono) si allunga. Ovviamente tralasciando le storicamente fallite che (quando è andata bene) hanno “rimpolpato” con qualche ramo d’azienda società in grado di praticare la “crescita esterna”.

Astaldi è stata ammessa in agosto alla procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, ma l’accordo con i creditori sembra ancora lontano dopo le accuse lanciate dall’associazione consumatori Aduc e le indagini della Procura di Roma a carico dei commissari giudiziali per il reato di “Corruzione in atti giudiziari”.

Cmc è stata ammessa in giugno al concordato pieno con continuità aziendale e tenta un’improbabile strategia di “stand alone”.

Condotte è iscritta dall’agosto 2018 alla procedura di amministrazione straordinaria e stato d’insolvenza: ha ceduto Cossi a Salini Impregilo nel febbraio 2019 e sta tentando di vendere Inso al miglior offerente.

Grandi Lavori Fincosit, in concordato con riserva dal luglio 2018, ha ceduto nell’ottobre 2018 Glf Usa e Seli Overseas a Salini Impregilo concentrando la propria attività nelle sole opere marittime tramite la newco Fincosit.

Mantovani, in concordato con riserva dal novembre 2018, aveva affittato il proprio ramo d’azienda nell’agosto del 2018 a Coge Costruzioni dando vita a una fantomatica Coge Mantovani, fallita in meno di un anno (!).

Pessina Costruzioni è stata ammessa alla procedura di concordato in bianco nell’agosto 2019 dopo che nel giugno 2018 aveva acquistato (più “sulla carta” che nella realtà) il ramo d’azienda lavori di Oberosler, anch’essa già interessata da procedure concorsuali.

Tecnis è in amministrazione straordinaria e stato d’insolvenza dal giugno 2017, non avendo trovato un compratore (dal momento che l’offerta di Pessina era poi stata ritirata) ha ceduto lavori e rami aziendali a Italiana Costruzioni, Aleandri e D’Agostino Costruzioni Generali.

Trevi, dopo aver venduto nel dicembre 2018 la divisione Oil & Gas al gruppo indiano Meil, nel novembre 2019 ha visto rigettato dal Tribunale di Forlì il proprio accordo di ristrutturazione e ha presentato reclamo alla Corte d’Appello.

Un esempio positivo è invece quello della cooperativa Acmar che, dopo aver ottenuto l’ammissione al concordato preventivo in continuità aziendale nell’ottobre 2015, non solo è pienamente attiva ma ha approvato il suo terzo bilancio in procedura concorsuale, progressivamente riducendo le perdite e puntando a un’uscita in bonis.

I numeri

L’uscita dalla classifica di numerose imprese in crisi ha ripulito in parte i numeri d’insieme delle top 100 dando un quadro meno negativo di quanto la congiuntura lascerebbe immaginare, soprattutto a livello reddituale.

La cifra d’affari complessiva nel 2018 cresce, ma solo del 2,1 percento, toccando i 19,2 miliardi, con un calo della quota internazionale dal 54,5 percento del 2017 al 52,6 percento dell’ultimo esercizio.

Un altro effetto della decimazione del vertice è ovviamente una minor concentrazione del mercato: nella classifica dello scorso anno, infatti, le prime cinque sommavano il 54,5 percento del volume d’affari totale mentre quest’anno il peso di questo stesso gotha è sceso al 46,5 percento. Allontanando ancor più l’Italia dall’Europa (dove, almeno nei grandi mercati) a contendersi la maggioranza del fatturato sono anche solo tre colossi.

Per quanto riguarda la redditività delle prime 100 imprese se l’ebitda segna un calo del 2,7 percento, l’ebit sale del 37,2 percento e il risultato netto dopo aver scontato una perdita di 127,5 milioni l’anno precedente nel 2018 torna in utile per 49,2 milioni.

Anche la situazione finanziario-patrimoniale sembra tutto sommato sotto controllo con un indebitamento netto appesantito solo del 3,8 percento e ampiamente coperto dal patrimonio arricchito dell’8,7 percento. Segno che una certa “operazione pulizia” aziendale, pur sofferta sul piano dell’economia nazionale, è avvenuta.

Considerando la classifica delle 50 imprese specificamente attive nell’edilizia privata il quadro d’insieme risulta a un primo sguardo peggiore rispetto alle top 100: crescono sì di più (7,7 per cento), ma la redditività si riduce del 3,3 percento (ebitda), 9,7 percento (ebit) e 89,9 percento (utile netto), l’indebitamento si appesantisce del 2,2 percento e il patrimonio cala dell’1,3 percento.

Questa particolare indagine è pubblicata per il primo anno nel Rapporto Classifiche “Le prime 50 Imprese Italiane dell’Edilizia Privata), sia in forma cartacea che digitale (www.guamari.it).

Questi numeri sono però ingannevoli perché “sporcati” dalla componente dei lavori pubblici (edilizia e infrastrutture) che pesa sul fatturato di queste top 50 per il 50 percento. Se da questo campione estrapoliamo le 24 società davvero specializzate nel mercato privato (attive quindi per oltre il 90 percento del proprio fatturato in questo settore) la situazione è ben diversa e decisamente positiva.

Nel 2018 la cifra d’affari del campione di 24 società sale del 18,4 percento (con una quota all’estero ancora del tutto marginale del 2,9 percento) e la redditività mostra importanti miglioramenti in tutti i suoi indici: l’ebitda cresce del 23,6 percento, l’ebit del 32,7 percento e l’utile netto dell’86,6 percento (!). Una spiegazione è che la domanda immobiliare (nella componente istituzionale ed estera) è sempre più vivace, soprattutto in quelle grandi città che raccolgono la sfida della globalizzazione.

Anche lo stato patrimoniale di queste imprese è foriero di buone notizie: l’indebitamento finanziario netto si alleggerisce del 4,8 percento ed è ben coperto dal capitale in aumento del 7,5 percento.

Le migliori performance 

Analizzando impresa per impresa l’andamento nel 2018 tra le top 100 spiccano come campioni di crescita cinque realtà medio-piccole: Edile, che in quanto newco vive una fase di forte espansione (dovuta soprattutto alla commessa per la realizzazione del nuovo ospedale Galeazzi a Milano) che la porta a più che triplicare il proprio fatturato; Lamaro Appalti, che grazie ai lavori per la nuova sede romana di Ibm aumenta di due volte e mezzo il giro d’affari; Emaprice, che negli ultimi 10 anni si è caratterizzata per una politica di crescita per linee esterne, nel 2018 più che raddoppia le proprie dimensioni; Paterlini Costruzioni, che grazie all’inizio di alcune importanti commesse acquisite negli anni precedenti aumenta la produzione del 109,2 percento e Pavoni la cui cifra d’affari sale dell’80,8 percento.

Dal punto di vista dell’internazionalizzazione, l’impresa più attiva all’estero è Todini Costruzioni Generali che, di proprietà del gruppo kazako Prime System KZ dal 2016, lavora esclusivamente in quel Paese.

Seguono tre imprese specialistiche: Sicim (99,5 percento), Bonatti (94 percento) e Trevi (92,7 percento) e l’impresa generale Tirrena Scavi (94,6 percento), molto attiva in Romania, ma anche in Macedonia, Armenia e Albania.

Passando alla redditività, particolarmente brillanti risultano gli indici di ebitda margin (rapporto ebitda su fatturato) di due imprese specializzate in opere ferroviarie, ma attive anche nella realizzazione di altre infrastrutture: Micos (33,6 percento) e Centro Meridionale Costruzioni (33,1 percento).

Seguono un’impresa specializzata in linee elettrice, Roda (31,1 percento), una attiva in edilizia privata, Sa-Fer (24,4 percento) e la filiale di un gruppo tedesco specializzato in pipeline, Max Streicher (24,2 percento).

Nel 2018 sono ben 28 le società che possono vantare una posizione finanziaria netta attiva, tra queste le migliori sono quattro particolarmente attive in edilizia Sa-Fer, Techbau, Intercantieri Vittadello e Colombo Costruzioni, oltre che della specializzata in pipeline Sicim.

Aldo Norsa (già professore, Università Iuav di Venezia) e Stefano Vecchiarino (analista/ricercatore, Guamari Srl)

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