Editoriale | Livia Randaccio, direttore editoriale

Via le Province: c’è la città metropolitana

In attesa della Riforma Costituzionale due provvedimenti per il riordino degli Enti Locali. Dal prossimo 1 gennaio si formeranno le Città Metropolitane che sostituiranno le attuali Province e Roma Capitale avrà funzioni e natura giuridica di «Città Metropolitana di Roma Capitale». L'aspettativa è quella di avere una burocrazia più snella che con maggiore autorevolezza eviti sovrapposizioni e conflitti in materia di costruzioni e urbanistica.

È stata discussa in Consiglio dei ministri la bozza predisposta dal ministro per gli Affari regionali, Graziano del Rio, avente per tema il riordino delle Province, in attesa della loro soppressione, secondo quanto annunciato dal Governo in previsione della Riforma Costituzionale.

Graziano del Rio, ministro per gli Affari regionali.

Stando a quanto emerso dal documento di Del Rio,  delle mansioni e delle competenze oggi ad appannaggio delle Province non rimarrà che poca cosa. Saranno svuotate di poteri, dovranno essere a costo zero e avranno competenze solamente in materia di trasporto pubblico, scuola e territorio. Le grandi competenze in tema di pianificazione territoriale, servizi pubblici, mobilità, turismo, sviluppo economico del territorio, passeranno dal prossimo 1 gennaio 2014 alle Città Metropolitane.
Su questa bozza di documento è pesato non poco quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che il 19/7 con sentenza 220 ha bocciato totalmente il riordino delle Province presentato a suo tempo dal Governo Monti. La Consulta infatti ha depositato la sentenza che ha così accolto i ricorsi formulati da alcune Regioni contro la norma del dl 201/2011 (divenuto legge 214/20111) e del dl 95/2012 divenuto legge 135/2011, norme che avevano rivisitato numero, ruoli e funzioni delle Province riducendole a 51 e considerando il taglio di numerose mansioni. E si tratta di motivazioni che manifestano ampiamente le violazioni alla Costituzione (art. 133) della Repubblica intentate dal Governo Monti nel suo tentativo azzardato di impostazione degli enti-Province.

Nel 2017 il primo cittadino metropolitano eletto a suffragio universale
Del Rio ha formulato un documento che si può definire sensato e che fa leva sull’istituzione (in due distinte fasi) delle città metropolitane. Certo c’è il pericolo che le nasciture Città Metropolitane siano soggette al peso dei Comuni capoluoghi anche perché in attesa dell’entrata in vigore della Riforma sarà proprio il Sindaco del capoluogo a guidare il nuovo ente.
Sarà così fino al 2017 quando il primo cittadino metropolitano verrà eletto a suffragio universale, a meno che non subentri una specie di duopolio se, entro il prossimo mese di febbraio un terzo dei comuni della Città Metropolitana formulerà la richiesta a maggioranza piena di non farne parte. Guidate, come detto, dal primo cittadino del comune capoluogo, che non verrà retribuito per questo nuovo incarico amministrativo, le Città Metropolitane verranno gestite da un Consiglio e da una Conferenza metropolitana: questa sarà l’assise di tutti i sindaci appartenente al nascituro ente mentre del Consiglio faranno parte solo i sindaci dei comuni con più di 15mila abitanti compresi territorialmente nel nuovo ente. Non saranno però soli: infatti in consiglio siederanno (gli uni e gli altri sempre senza oneri per le casse della pubblica amministrazione) anche i rappresentanti delle cosiddette Unioni dei comuni della Provincia. I piccoli comuni infatti dovranno necessariamente unirsi per la gestione delle loro funzioni.  Il loro primo beneficio sarà quello di essere esonerati dal Patto di Stabilità come avviene ora per i comuni al di sotto dei mille abitanti.
I nuovi enti subentreranno alle Province di Bologna, Genova, Bari, Reggio Calabria, Firenze, Napoli, Milano, Venezia, Roma e Torino: avranno il loro status di Città Metropolitana tra un anno, a luglio del 2014, data entro la quale devono avere approvato gli statuti e solo allora saranno in vigore a tutti gli effetti.

Città Metropolitana di Roma Capitale

Piazza del Campidoglio, Roma.

Dal prossimo primo gennaio Roma Capitale avrà funzioni e natura giuridica di Città Metropolitana e sulla «Città Metropolitana di Roma Capitale» credo che occorra soffermarci. Erano più di 30 anni che si ipotizzava di fare del Comune di Roma il Comune di Roma Capitale, facendolo divenire un ente locale speciale dotato di maggiori poteri di altri comuni.
A parlarne con maggiore decisione fu negli anni ’80, quando vi era il Governo Craxi, ma allora si arrivò solamente all’approvazione di una legge con caratteristiche infrastrutturali e finanziarie. Sino ad oggi infatti a Roma si è proceduto con la legge n. 396 risalente al 1990 (legge «Interventi per Roma Capitale della Repubblica»). Legge che ha permesso la disponibilità di risorse aggiuntive per lavori pubblici disposti attraverso una procedura che coinvolgeva sia il Governo dello Stato sia l’amministrazione comunale.
Sino a 5 anni fa, di fatto quando è stato inserito nell’ambito della legge sul Federalismo fiscale (legge 42/2009) un apposito articolo (il n. 24) riguardante la delega per il conferimento dei nuovi poteri all’amministrazione comunale di Roma.
La legge ha stabilito che Roma Capitale è a tutti gli effetti un ente territoriale che dispone di speciale autonomia statutaria, finanziaria e amministrativa per svolgere le funzioni riguardanti la pianificazione territoriale, lo sviluppo economico-sociale, l’edilizia pubblica-privata, il turismo, il trasporto locale, la protezione civile. Elementi di deleghe resi operativi grazie a tre specifici decreti legislativi che hanno a loro volta apportato speciali prerogative per le deroghe al Patto di Stabilità e per ulteriori risorse a quelle considerate in proporzione per ogni comune. Un ulteriore impegno per Roma Capitale c’è stato con la giunta regionale guidata da Renata Polverini quando è stato deciso che ai decreti legislativi si aggiungesse un’apposita legge regionale per individuare i poteri da trasferire dalla Regione a Roma Capitale.
Per arrivare a una conclusione si dovette attendere il 21 novembre 2011 (l’atto fu del governo tecnico). Un provvedimento questo che ha semplificato già molto: infatti il 7 marzo di quest’anno è stato approvato lo Statuto di Roma Capitale con la riduzione del numero dei Municipi (da 19 a 15).
L’utente finale del servizio pubblico non avrà più i soliti tre interlocutori ovvero Comune, Provincia, Regione, bensì un solo ente di riferimento, Roma Capitale. «
Non si richiederà più di avere diversi responsi di fronte ai possibili quesiti del cittadino ma si avranno risposte univoche: cosa che permetterà una maggiore autorevolezza delle risposte e della burocrazia efficiente, con i Municipi che dovranno occuparsi in modo più credibile ed efficiente del governo di prossimità», come ha riferito l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
Con il trasferimento di alcuni poteri dalla Regione a Roma Capitale e ora alla Città Metropolitana si avranno sicuri miglioramenti su alcuni aspetti fondamentali: una burocrazia più snella che eviti sovrapposizioni e conflitti, nel caso di tematiche legate alle costruzioni e all’urbanistica. Non dimentichiamo che nel caso di Roma c’era un iter legislativo interminabile e quasi impossibile. Per approvare una variante si passava dalla giunta comunale all’audizione dei cittadini e poi dai pareri dei Municipi interessati, poi si arrivava in consiglio comunale e successivamente in Regione al vaglio del comitato tecnico urbanistico. Se tutto andava bene la variante ritornava alla giunta comunale e poi in consiglio per la delibera finale.
Scherzi a parte, è il caso di dire, i tempi per il varo del provvedimento arrivavano ad un minimo di 28 mesi e ad un massimo di 60 mesi. Con l’inevitabile risultato che al momento dell’attuazione dell’atto urbanistico si era ormai…. fuori tempo massimo.

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