L'Editoriale |Livia Randaccio, direttore editoriale

Finisce la crisi ma le imprese ci credono?

Secondo Draghi, con il piano Bce l'Italia guadagnerà un punto di Pil nel 2016. Per Confcommercio a fine anno il Pil sarà su dell'1,1%. Dal Governo più prudenza: solo lo 0,7% in più. Molta attesa per il 10 aprile quando verrà presentato il Def ma intanto l'interrogativo di fondo rimane: le imprese vedono la ripresa? E sono ancora capaci di essere elementi propulsivi?
Livia Randaccio| Direttore editoriale
Livia Randaccio| Direttore editoriale

Ennio Flaiano anni fa ha scritto: «… la situazione politica in Italia è grave ma non è seria!». Per la proprietà transitiva l’affermazione dello scrittore è più che mai attuale per l’economia italiana. Versioni diverse ed altrettante molteplici considerazioni su dati e statistiche: è la regola del «bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto», rimane il fatto che diviene problematico delineare una sintesi di quanto emerge.
Proviamo a considerare quanto ha sostenuto Mario Draghi nelle sue vesti di presidente della Bce alla Camera dei Deputati di fronte ai componenti delle commissioni Finanze, Bilancio, Politiche Ue: «… sappiamo che la politica monetaria non può assicurare da sola una ripresa stabile… quella che abbiamo di fronte è solo congiunturale. Quando sarà conclusa ritorneremo al punto di partenza». Il piano di acquisti di titoli pubblici vale per l’economia italiana un punto di maggior prodotto di qui al 2016. Si fanno due conti e questo sta a significare che senza questo piano la crescita anche per quest’anno sarebbe ferma. Per questo la preoccupazione di Draghi è di dare un taglio a un aggiustamento di bilancio definito «poco amico» della crescita perché fatto di aumenti delle tasse, della spesa corrente e di tagli agli investimenti pubblici. Nelle sue considerazioni Draghi ha posto in rilievo l’elemento «produttività»: in 13 anni, da inizio secolo al 2013, quella del lavoro è cresciuta del 9,5% in area euro, del 26% negli Usa, in Italia dell’1,2%.

RISCHIO DEFLAZIONE
Che le tasse in Italia sono troppo alte lo abbiamo sentito affermare da più parti così pure che questa ripresa è da considerarsi ciclica e tutt’altro che strutturale, di positivo c’è che è ormai patrimonio comune la consapevolezza che la politica dell’austerità ha colpito pesante, aggravata dalla manovra di rientro come prescritto dalle disposizioni europee «in tempi rapidi» andata a braccetto con scelte di politica economica risultate dannose (Governo Monti) che hanno aumentato gli effetti negativi recessivi. Che lo scorso anno ci hanno portato a parlare di deflazione. A rimarcare la situazione strutturale del Paese è lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: «… non c’è più inflazione in Italia ma, anzi, c’è il rischio di deflazione». Per lui i problemi si possono leggere nei tassi di crescita Pil «regolarmente bassi».

DA CERNOBBIO LA CONFCOMMERCIO…
Eppure segnali di risveglio non mancano e sono segnali dopo 7 anni di buio pesto: alla fine di quest’anno davanti all’indicatore del Pil tornerà il segno positivo. Non si tratterà di decimali ma, per Confcommercio, sarà un buon +1,1%. A far da traino a questa situazione economica i due grandi eventi che si chiamano Expo e il Giubileo straordinario del Vaticano. Secondo Confcommercio infatti per l’Expo si può ipotizzare un impatto benefico pari a 2,7 miliardi che significano lo 0,2% del Pil e per l’evento religioso si può azzardare un buon 0,3% del Pil. Carlo Sangalli dall’assise di Cernobbio ha lanciato ancora una volta un monito chiarissimo: per raggiungere questo risultato il Governo dovrà sfruttare il recupero della spesa per interessi e le risorse della lotta all’evasione per abbattere l’Irpef così da ridare ossigeno al portafoglio. Per lui il nodo da sciogliere è quello delle tasse: sono troppe e sono sempre in crescita. Alcuni dati sono espliciti: l’Iva ha già palesato due aumenti, è stata introdotta una tassazione che penalizza il turismo (considerato da tutti una risorsa strategica), il prelievo fiscale sulla casa è salito del 115% in tre anni (2011-2014). Regioni ed enti locali hanno aumentato le tasse per far quadrare i bilanci: «questo è un circolo vizioso – dice Sangalli – l’operazione tanto auspicata e definita meno spesa pubblica e meno tasse è stata un’occasione persa…».

GOVERNO OTTIMISTA MA PRUDENTE
«L’Italia si appresta a uscire dalla crisi con tutta la prudenza necessaria» dice il Presidente della Repubblica Mattarella in un’intervista a Le Figaro e il Governo illustra i nuovi numeri previsionali per questi mesi. Nel Documento di economia e finanza che sarà presentato il 10 di aprile vi sarà un +0,7% di revisione al rialzo. Da Cernobbio il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi specifica che la crescita «non è un obiettivo semplice ma i primi dati positivi ci dicono che siamo sulla strada giusta». Le stime ottimistiche sviluppate da Confcommercio proiettano la salita del Pil ma per il Governo è «… troppo. Nel Def che presenteremo saranno considerati margini più bassi di crescita. lo 0,7% – dice la Boschi -, non vogliamo essere ottimisti ma prudenti». Si tratta comunque di una revisione al rialzo rispetto allo 0,6% stimato in precedenza, inoltre la stima del Governo non si discosta dalle previsioni Ocse e Bankitalia: per la prima l’anno si chiuderà con un +0,6%, per la seconda più dello 0,5%.

L’AUSPICIO DI SQUINZI: ARRIVARE AL 2% DI CRESCITA
«Stiamo strisciando sul fondo, ma sono convinto e mi auguro che nei prossimi mesi le cose possano migliorare: mi auguro una crescita forte. Dobbiamo arrivare al 2% di crescita, è necessario per il Paese, dobbiamo mettercela tutta. Altrimenti avremo difficoltà a mantenere il sistema di Welfare». Così Giorgio Squinzi che, intervenendo al convegno della piccola industria, ha auspicato che si tolga «tutto quello che è piombo nelle tasche del corridore Italia che sta scalando una salita impegnativa… Gli imprenditori italiani sono straordinari, hanno la capacità di essere competitivi in maniera fantastica. C’è un motivo se siamo il secondo paese manifatturiero in Europa, il quinto al mondo, se esportiamo 500 miliardi all’anno. Imprenditore è bello, anche piccolo, però imprenditore. Bisogna partire dal piccolo e avere la tensione per andare verso la crescita».

L’ISTAT
Positivo e corroborante è l’auspicio di Squinzi, per ora tocca accontentarsi dei primi segnali di ripresa. Secondo l’Istat a gennaio le vendite al dettaglio sono ripartite: +0,1% su dicembre e +1,7% sullo stesso mese del 2014. C’è un passo indietro invece per l’industria: il fatturato è sceso dell’1,6% e gli ordinativi del 3,6%.

ATTENZIONE AL NORD
Le imprese come motore dello sviluppo del Paese nelle parole dei presidenti di Confindustria e di Confcommercio ma le nubi per l’imprenditoria italiana però non mancano e c’è chi sostiene che anche specifiche aree del Paese hanno perso le loro caratteristiche di elementi propulsivi di sviluppo. Un esempio che merita attenzione per l’autorevolezza del pensiero e dell’analisi sviluppata ci viene dallo storico Giuseppe Berta quando, nella sua ultima pubblicazione («La via del Nord. Dal miracolo economico alla stagnazione», edizioni Il Mulino) lancia una precisa accusa alla classe dirigente del Nord, su tutti imprenditori e classe politica. Il Nord Italia per Berta ha perso la sua via strategica: non è più il motore dello sviluppo, incapace di arginare una crisi inarrestabile, povero di idee e di progetti per il futuro, incapace di allontanarsi dagli eventi di corruzione. Berta ci spiega come le grandi città del triangolo industriale (Genova, Torino e Milano) una volta esaurita negli anni ’70 la spinta propulsiva dell’industria hanno smarrito identità. Milano, messa da parte l’industria, ha optato per il terziario, all’insegna di moda e design e il «ruolo perduto di capitale morale è seppellito sotto un’ansia di modernità che non concede scampo né tregua». Sembra un assurdo per Torino il progetto di trasformarla in una «città della conoscenza»: figura al terzultimo posto delle aree metropolitane per il numero di laureati in rapporto al numero delle imprese. Per Berta l’industria e la società del Nord Italia (tutto il Nord, Ovest ed Est) hanno perso le peculiari caratteristiche. Forse è il caso di approfondire il perché di questa situazione che, perpetuata, può portare davvero alla sparizione di quel che rimane dell’industria italiana.

Livia Randaccio, direttore editoriale

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