Su 457 progetti presentati dai comuni, la Cabina di Regia ideata dal Governo Monti ne ha selezionati 28 che si divideranno 317,5 milioni di euro di finanziamento. Poco realistico che il valore degli investimenti attivabili stimato dal Governo raggiunga 4,4 miliardi di euro. Per questo i costruttori Ance chiedono di finanziare il Piano Città utilizzando i 2 miliardi di euro all’anno previsti dai Fondi strutturali e Fas per il periodo 2014-2020 destinati alle politiche urbane.
Il programma di rigenerazione delle aree urbane degradate con interventi per il disagio abitativo e miglioramento delle infrastrutture di trasporto denominato Piano Città è stato avviato a giugno dal ministero delle Infrastrutture con il primo decreto Sviluppo (dl 83/2012). Ad agosto è stato pubblicato il bando e il 5 di ottobre i comuni hanno presentato 457 progetti selezionati dalla Cabina di Regia istituita dai ministeri delle Infrastrutture, Ambiente, Anci, Conferenza delle Regioni, Agenzia del Demanio e Cassa depositi e prestiti. Dei 457 progetti ne sono stati scelti 28 che usufruiranno dei 318 milioni di euro (in totale) disponibili per il cofinanziamento nazionale, ovvero, 224 milioni dal Fondo Piano Città e 94 del Piano azione-coazione per le zone franche urbane. Di questi 318, 11 milioni sono stati destinati agli enti locali del Sud Italia. Ora, secondo quanto previsto dal Piano Città, si attende l’immediata apertura dei cantieri e, ovviamente, il tanto auspicato intervento di capitali privati per attivare investimenti per 4,4 miliardi di euro. Sin qui la notizia ma è il caso di considerare alcuni aspetti di non secondaria importanza.
La Cabina di Regia ha bocciato di fatto le proposte di alcune importanti città (quali Brescia, Bergamo, La Spezia, Parma, Messina, Palermo, Pescara…) favorendo piccoli comuni (quali Pieve Emanuele in provincia di Milano, Erice in provincia di Trapani…) ed enti locali di media entità (quali Foligno in provincia di Perugia, Settimo Torinese…) sostenendo che «si è effettuata la scelta solo facendo riferimento alla qualità dei progetti…». Possibile che alcuni grandi comuni che hanno presentato progetti su aree industriali dismesse da riqualificare, progetti sul recupero di quartieri popolari ad alto degrado, progetti su quartieri periferici che necessitano di una serie di lavori pubblici per una nuova qualificazione non abbiano elaborato progettualità con elementi di qualità? I progetti di La Spezia e Brescia, per esempio, mi pare fossero l’essenza di quanto richiesto dal Piano Città.
Una considerazione sugli investimenti attivabili: saranno comunque inferiori a 4,4 miliardi dichiarati e prospettati dalla Cabina di Regia anche perché i fondi assegnati sono stati inferiori alla richiesta dei comuni e questo sta a significare che i progetti da avviare dovranno essere «limati», ridimensionati e non di poco.
Poi c’è l’intervento dei privati: dove regna molta incertezza anche perché questi sono frenati dalla crisi e da una situazione governativa che non sta favorendo l’imprenditoria.
Come detto i cantieri, secondo il Piano Città, sono immediatamente attivabili ma resta il fatto che sarà possibile avviarli solo nel secondo semestre dell’anno e avranno una durata media di 38-52 mesi. Non è il caso che il Governo (a questo punto quello che uscirà dalle elezioni del 24 febbraio) non deliberi subito un provvedimento per un sostanziale dimezzamento dei tempi d’attesa di apertura dei cantieri e un altrettanto sollecito per abbreviare i tempi di consegna delle opere?
I commenti che abbiamo ricevuto manifestano soddisfazione per quanto stanziato per la riqualificazione dei centri urbani ma proprio sull’intervento dei privati mi sembra non si faccia molto conto. Lo stesso presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, pur dichiarandosi soddisfatto per l’avvio del Piano Città, chiede di finanziarlo integralmente con i due miliardi di euro all’anno previsti dai Fondi strutturali e Fas per il periodo 2014-20 destinati alle politiche urbane.
La scarsità di risorse ci fa dire poi che il provvedimento è paragonabile a… un brodino (ricordiamo che i 28 progetti selezionati sono meno del 7% di quelli presentati) e che davvero si dovranno utilizzare i fondi della Ue che, per le città del Belpaese, saranno di 1 miliardo l’anno.
Da non sottovalutare poi il rischio-ritardi che possono derivare dagli stessi enti locali. Ricordate il Piano Casa del 2009, provvedimento preso dall’allora Governo Berlusconi? Quando è stato varato è stato oggetto di svariati contrasti con i governatori delle Regioni: «non serve», «non bisogna aumentare le volumetrie» si diceva, e ancora «basta con le colate di cemento».
Quel Piano che nelle intenzioni doveva essere un piano lampo, aiutato anche dagli sgravi fiscali, era destinato a rilanciare le costruzioni in assenza di una domanda che iniziava a farsi pesante. Quelle Regioni che lo avevano limitato ad oltranza ora invece hanno deliberato proroghe e deroghe al provvedimento che consente di ampliare edifici esistenti o anche demolirli per ricostruirli con volumetrie superiori in deroga ai vincoli previsti dai vari Prg. C’è da chiedersi perché non si è scelto allora di essere lungimiranti e capire che il provvedimento sarebbe stato davvero una boccata d’ossigeno per il comparto delle costruzioni e per le famiglie italiane che, dati e statistiche alla mano, allora stavano certo meglio di adesso?
Esempi negativi di buoni provvedimenti deliberati e parzialmente attuati non ne mancano: ricordate i piani di riqualificazione urbana approvati in passato quali i Contratti di Quartiere (con Prusst e Pru)? Alcuni sono finiti nel dimenticatoio, altri sono stati attuati con tempi lunghissimi, altri ancora hanno prodotto risultati inferiori alle aspettative. Ora si fa buon viso a cattivo gioco e ci si gongola sul Piano Città come una pietra miliare della programmazione urbana e dello sviluppo del Paese.
Penso che occorra stare con i piedi ben saldi per terra perché un Paese che non sostiene e non promuove azioni di sviluppo per l’imprenditoria rischia di restare fermo al palo. Altro che agende per la crescita!
Credo che siano di assoluto buon senso le severe parole del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi quando dice che «nei mesi scorsi per mettere in sicurezza i conti pubblici si è fatto poco per la crescita» e quando asserisce «… ci aspetta un anno difficile e i prossimi mesi saranno i più duri, le previsioni del Centro Studi che indicano una ripresa del Pil a fine anno non lasciano spazi a facili ottimismi. Bisogna individuare progetti a lungo termine e i fondi strutturali devono essere una parte essenziale di questo sforzo».
Livia Randaccio