Punti di Vista | Lorenzo Pianigiani, Università di Firenze

Rigenerazione urbana e sviluppo delle città

Da futuro progettista mi pongo una nuova domanda: perché di un piano urbanistico dei nostri giorni ci ricordiamo solo delle emergenze, qualunque esse siano, architettoniche, economiche o sociali? La "città di qualità" è fatta di sottili, ma importanti equilibri, dove l'ordine delle cose ne rappresenta il fondamentale impianto.

Chi risolve il problema delle periferie in Italia?
Politici? Ministri? Presidenti? Professori? Architetti? Oppure, perché no, i grandi urbanisti? Nessuno sembra in grado di risolvere un problema che di base sembra molto semplice. Perché? Anche il più blasonato architetto e adesso anche senatore a vita, il grande Renzo Piano ha voluto impegnare il suo cospicuo stipendio relativo alla sua carica politica cercando di risolvere questo problema.

Lorenzo Pianigiani, studente di architettura Università di Firenze Gruppo 2p+r

G124, così si chiama questa sua nuova iniziativa! Trattasi di sei giovani leve dell’architettura italiana, tutti provenienti da scuole diverse, che saranno impegnati nella ricerca della famigerata formula segreta che potrà curare l’ormai cronica malattia delle città italiane: la periferia.
Un’iniziativa rara e lodevole, senza alcun dubbio, infatti non accade proprio tutti i giorni che un parlamentare impieghi il proprio stipendio per creare lavoro. “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” e infatti non è un caso che questo riconoscimento gli sia stato concesso proprio per quel lavoro che ha contribuito a far conoscere e rispettare l’Italia nel mondo. Quindi, bravo Renzo Piano!
Bisognava scomodare una mente di tale levatura per capire che i problemi, di qualunque natura essi siano, vanno affrontati impiegando persone e mezzi adeguati per competenze? E che queste persone debbano essere anche pagate?
In poche parole non potendo abbandonare la strada dei “grandi progetti”, una strada densa di impegni e nella quale è sempre difficile entrare, ha scelto di affidare la ricerca di questa fantomatica formula per le periferie a dei giovani architetti. Esiste veramente questa Formula? Una soluzione comune?

Personalmente credo che questa sia più che altro una chimera una bella illusione per la soluzione di un problema tanto semplice quanto impossibile. Quello che mi domando soprattutto è solo una questione di soldi? Forse è vero, soldi per i progettisti, soldi per i tecnici, soldi per la messa in opera…, servirebbero davvero tantissimi soldi. Chi è disposto a investire oggi nell’urbanistica? Io non lo so, ma resta il fatto che questo tipo di impegno economico resta assolutamente necessario, ma ancora più importante è che questo tipo d’investimento non vada sprecato e che punti alla ricerca della qualità, intesa come qualità di vita, come qualità della soluzione, qualità degli interventi e a una qualità della città.
Una città è formata dall’aggregazione di varie esigenze, queste vengono messe in relazione a seconda delle finalità e degli obiettivi da raggiungere: ma mentre la città storica rappresenta un ordine giustapposto dando di se l’immagine di bellezza e funzionalità, la periferia molto spesso rappresenta il disordine e l’approssimazione delle nuove società.

Dopo queste considerazioni da presunto o futuro progettista mi pongo una nuova domanda: perché di un piano urbanistico dei nostri giorni ci ricordiamo solo delle emergenze, qualunque esse siano, architettoniche, economiche o sociali? È veramente raro il ricordo di un intervento urbanistico nella sua complessità e funzionalità, mentre d’altro canto è più facile ricordarsi del nuovo progetto dell’archistar del momento, o dell’ultimo centro commerciale o di quel nuovo auditorium patrocinato dall’imprenditore emergente locale. Ho notato che si riesce a parlarne solo quando questo diventa una sorta di manifesto politico di rappresentanza, forse giusto e intelligente, ma sempre bandiera da sventolare quando fa più comodo.
Mi riferisco ad esempio all’ultimo piano urbanistico fiorentino detto “a metri cubi 0”, inteso come nuovi interventi, esibito dal sindaco Renzi nelle sue svariate campagne propagandistiche. A mia memoria di studente, unico esempio di piano menzionato a livello nazionale inteso come globalità degli interventi da effettuare e da non effettuare. Questo mi conferma che pochi riescono a capire che il singolo progetto altro non è che uno dei tanti conci all’interno di un unico grande arco che rappresenta la “città di qualità”. Il mio professore di fondamenti di urbanistica nelle sue lezioni diceva che basta posizionare male anche solo uno qualsiasi di questi elementi, a prescindere dalla sua qualità, e l’arco non potrà che crollare.

La “città di qualità” è fatta quindi di sottili, ma importanti equilibri, dove l’ordine delle cose ne rappresenta il fondamentale impianto. Capisco che la pubblicazione e la pubblicizzazione dei piani urbanistici sia molto difficile da eseguire: tavole a grande scala, macchie di colore, legende, tabelle, numeri e normative non possono essere accattivanti come le immagini di un progetto di una singola opera. Questo però non significa che non sia necessario un progetto unitario complessivo che armonizzi ogni singolo elemento, nel quale sia presente quel legante essenziale che oggi manca nelle realtà delle nostre periferie. Su questo argomento, c’è però un’altra osservazione che va fatta: spesso, a un bel progetto urbanistico non ne segue la sua paritaria esecuzione, troppo spesso le realizzazioni sono stravolgimenti quasi totali di ottimi impianti urbanistici. Io non sono un urbanista e quando compro una rivista le immagini della realizzazione dei nuovi megaprogetti dei Renzo Piano mi catturano, ma nel prossimo numero sarei contento di vedere un progetto di un G124 per la riqualificazione di una periferia italiana.

Lorenzo Pianigiani, studente di architettura Università di Firenze Gruppo 2p+r

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