Editoriale | di Livia Randaccio

Terremoto in Centro Italia: non parliamo di «destino cinico e baro»

L'Italia è un Paese a elevato rischio sismico. Parlare di fato quando avvengono queste catastrofi è fuori luogo. Ora però servono ancora una volta provvedimenti e strategie d'urgenza, in emergenza, per dare una speranza a chi non ha perso la vita sotto le macerie. Provvedimenti in Italia e in Europa.
Livia Randaccio
Livia Randaccio | Direttore editoriale

La terra ha tremato ancora, anche stavolta nel cuore della notte. Le scosse hanno devastato interi paesi e Amatrice e Accumoli (in provincia di Rieti) ora non ci sono più. Lo stesso è accaduto ad Arquata del Tronto (Ascoli Piceno). Il bilancio delle vittime sale con il passare delle ore, man mano che i Vigili del Fuoco e i volontari soccorritori scavano fra i detriti alla ricerca dei superstiti.

Lasciamo alla cronaca quotidiana e alle immagini dei telegiornali le descrizioni di quanto è accaduto a uomini, donne, bambini, molti dei quali ora non sono più tra noi. Lasciamo ai credenti gli attimi per la preghiera e a chi non ha il dono della fede il bisogno, più che comprensibile, della rabbia che non può essere contenuta e alla quale, a volte, segue lo sconforto.Amatrice

A noi questa tragedia del Centro Italia lascia lo spazio per esprimere alcune considerazioni legate al lavoro che svolgiamo ogni giorno: quello di comunicare. Prima di tutto ci dà sollievo dire che se sullo sfondo di quelle immagini dei luoghi vi è ormai il deserto con le macerie, noi tutti abbiamo visto e conosciuto ancora una volta il grande cuore dell’Italia: Croce Rossa, volontari, Protezione Civile, tutti gli enti regionali, strutture sanitarie, Polizia e Carabinieri, la Forestale, le associazioni professionali di categoria, i geometri e gli ingegneri, i geologi e gli architetti, tutti disponibili a intervenire e a fare la propria parte con ogni mezzo.

È una storia quella del sisma in Italia come un deja-vu. Se pensiamo solo agli ultimi 110 anni la storia dei terremoti nel nostro Paese è iniziata a Messina nel 1908: uno degli eventi più catastrofici del ‘900. Nel 1915, a pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia (nel primo conflitto mondiale) altre vittime furono causate dal terremoto della Marsica (in Abruzzo il 13 gennaio) e quindici anni dopo un altro sisma colpì l’Irpinia. Il 14 gennaio del 1968 toccò al Belice e nel 1976 fu colpito il Friuli. Nel 1980 toccò ancora all’Irpinia: e furono scosse che raggiunsero anche i paesi vesuviani. Chi scrive ricorda ancora le urla della gente che si riversava nelle strade, l’odore dei calcinacci e la polvere che avvolgeva ogni cosa. Avevo 16 anni e abitavo a Terzigno, in provincia di Napoli. Nel dicembre del 1990 terremoto ancora in Sicilia e sette anni dopo (il 26 settembre 1997) la terra tremava nelle Marche e in Umbria. Poi, sembra ieri, nel 2001 e nel 2002 violente scosse in Alto Adige e in Molise, nel 2009 (il 6 aprile) la distruzione in Abruzzo con L’Aquila come epicentro e nel 2012 il terremoto non ha risparmiato la provincia di Modena.

Spesso sui nostri siti ci occupiamo di sismica e in particolare facciamo riferimento alla prevenzione del rischio sismico. Sono sempre in aumento enti, associazioni e aziende che operano nella produzione di soluzioni, programmi e materiali capaci di contenere i danni di questo rischio. Purtroppo quando poi si ha notizia di questi eventi catastrofici viene spontaneo pensare che si conduce una battaglia persa in partenza.

L’imprenditoria edile sostiene da sempre che la prevenzione costa meno della ricostruzione e che ogni euro speso in sicurezza e prevenzione farebbe risparmiare ben 4-5 euro in interventi di ricostruzione post sisma. Oltre ai congrui effetti positivi su crescita economica e occupazione in edilizia.

Personalmente ho la convinzione che il tema della prevenzione del rischio sismico in Italia sia ancora in uno stato embrionale, siamo ancora troppo legati alla sola “predisposizione normativa” cosa che, inevitabilmente, allontana dalle “cose da fare” con il rischio che poi, puntualmente, dobbiamo agire per contrastare l’emergenza con gestioni urgenti e, purtroppo, non sempre azzeccate. Il risultato? Avere territori ricostruiti senza servizi e collegamenti, interventi di manutenzione sospesi per mancanza di fondi e centri storici pressoché vuoti.

Il nostro è un Paese dalla spina dorsale fatta di colline e montagne, tutte a elevato rischio sismico. Come abbiamo scritto sopra i terremoti in passato non sono mancati ma parlare di “destino cinico e baro” non è più d’uso. Il crollare degli edifici, sia pubblici sia privati, in cemento armato o in pietra, a causa del tremare della terra è colpa di un costruito privo di criteri antisismici, è colpa di un patrimonio architettonico-edilizio non mantenuto a regola d’arte e ormai vecchio. A chi si occuperà delle nuove costruzioni in quei luoghi e a chi provvederà, dove possibile, al restauro dei manufatti spetta il compito di metter mano da subito a soluzioni costruttive realmente capaci di resistere ai terremoti che potrebbero manifestarsi in futuro.

Per ora rimaniamo in doverosa attesa di conoscere attentamente strategie e provvedimenti di chi ci governa in Italia e in Europa per dare una speranza di nuova vita a chi non è rimasto sotto le macerie.

di Livia Randaccio, direttore editoriale

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