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Progetto di continuità: il laterizio nell’integrazione dell’antico

Un’indagine dedicata all’impiego delle tecniche connesse al laterizio nella conservazione e nel riuso degli edifici storici tracciata attraverso un’analisi di esperienze condotte in Italia nel passaggio tra XX e XXI secolo.

Cil 175 – «L’inserzione del nuovo in un contesto antico sembra riposare su una prassi così vetusta e ininterrotta da non poter essere impugnata se non in base ad un principio che ne sia implicita condanna. E cioè, concesso che dalle epoche più antiche a noi note è rigorosamente accertabile lo stratificarsi e l’intersecarsi delle espressioni artistiche anche su uno stesso monumento, una norma che lo vieti per il nostro tempo deve basarsi su un postulato che non potrà non suonare, almeno simbolicamente, condanna retroattiva per la prassi invalsa fino al nostro tempo» [1].

Soluzioni consigliate per l’integrazione delle lacune murarie [G. De Angelis d’Ossat, 1995].
Tracciare uno sguardo sull’impiego del laterizio in interventi di conservazione e riuso di architetture del passato significa inserirsi in un solco consolidato che interpreta il ruolo dell’architettura contemporanea per il restauro come progetto di continuità con la storia.

Nel decennio che ha segnato il passaggio tra XX e XXI secolo, l’attenzione ai temi della progettazione del nuovo per l’antico è andata amplificandosi nella critica e nei programmi didattici destinati alla formazione dell’architetto: se, in qualche caso, questo rapporto si è manifestato con sovrapposizioni forzate che esasperano l’obiettivo di distinguibilità dell’intervento e istituiscono con le architetture relazioni di prevalenza, in altri è possibile riconoscere un approccio di ricezione del passato inteso come esito della conoscenza e della capacità di ascolto del monumento.

Torre Massimiliana, isola di Sant’Erasmo, Venezia. Stato di abbandono precedente l’intervento.

A quasi vent’anni dal saggio bonelliano Architettura e Restauro [2], Guglielmo De Angelis D’Ossat proponeva un’indagine che articola gli interventi secondo la qualità e l’intensità delle trasformazioni indotte sul manufatto, giungendo a individuare intenti conciliativi o contestativi nei confronti del passato.

Al variare di criteri quali la capacità di attiva contestualizzazione1 [3] e di rispetto della preesistenza, i nuovi elementi sono identificati come rielaborazioni concordanti, sopraelevazioni integrate o come addizioni del tutto estranee alle preesistenze: rispettivamente, sovrapposizioni, superfetazioni, aggiunte non correlate al contesto di inserimento [4].

Le esperienze condotte negli ultimi vent’anni segnano il progressivo affermarsi di una dialettica con il passato non sempre oppositiva. Alla base di questa scelta, l’intento di governare in maniera non urlata le contraddizioni che il patrimonio costruito, fatto di documenti polisemici ed eterogenei, contiene in sé, intessendo un dialogo a più voci tra i valori della contemporaneità e i luoghi della memoria.

Gli interventi considerati non rappresentano opere di mera addizione oppositiva, ma incarnano la scelta di integrazione – o di re-integrazione – dell’opera architettonica per un suo ritorno ad una unità figurata: un innesto critico che, con diversi livelli di attenzione, sia in grado di attivare o di consolidare processi.

Il concetto di innesto [5] va inteso dunque in una correlazione fondata sul riconoscimento di sistemi di valori, i caratteri dei quali sono delineati già a partire dalla scelta dei termini lessicali adottati nella definizione dell’intervento: in quest’ottica, anche il termine brandiano inserzione è in grado di trasmettere «il senso di un rapporto forte, organico, di un aggancio stabile che sposta gli equilibri funzionali e formali» [6].

Torre Massimiliana, isola di Sant’Erasmo, Venezia. Dettaglio delle integrazioni murarie.

Assimilazione – consonanza: integrazione della compagine muraria

Un primo aspetto della questione risiede in quelle scelte di integrazione di ampi brani lacunosi di paramenti murari che lasciano spazio ad un uso, quanto più misurato ed opportuno, del linguaggio contemporaneo (2) [7].

Su questo argomento già Paul Philippot rilevava che, pur rimanendo valide le due esigenze fondamentali del trattamento integrativo delle lacune e della sua immediata riconoscibilità, il campo potesse estendersi soltanto fino al punto in cui l’intervento sarebbe diventato ipotetico, o così esteso, che solo una creazione moderna avrebbe evitato una falsificazione [8].

Anche nella lettura di De Angelis d’Ossat la scelta del più appropriato metodo di integrazione sarebbe stata quella condotta con una sensibilità che emerge «dall’analisi di ogni soluzione possibile e dalla discussione di quelle ritenute preferenziali» [9]. La ‘misura’ dell’intervento costituisce dunque un valore che il progetto fornisce dal punto di vista operativo, semantico e simbolico.

Cinta muraria di Cittadella, Padova. Stato di degrado precedente l’intervento[©Lares].

Torre Massimiliana, isola di Sant’Erasmo (Venezia)

L’intervento condotto tra il 2001 e il 2003 dallo studio C+S è dedicato alla  conservazione e al riuso della torre Massimiliana, struttura fortificata edificata nel XIX secolo sull’isola di Sant’Erasmo, nell’area nord della laguna di Venezia. Sebbene la torre costituisca un’importante testimonianza del sistema di difesa lagunare, essa versava in profondo stato di abbandono e presentava estese aree lacunose nei paramenti murari.

La potenza massiva della struttura in laterizio è interpretata dai progettisti quale caratteristica costitutiva e identitaria del manufatto: per questa ragione, il progetto esclude la possibilità di offuscare le qualità costruttive e figurative della muratura, che diventa invece «protagonista dello spazio» [10].

Concentrati i dispositivi tecnici nel nuovo terrapieno, le murature sono state oggetto di integrazioni che riammagliano il tessuto storico in una continuità che non mira alla completezza: «Il gioco sincronico di storia e contesto si concretava nel divenire del luogo e dell’opera architettonica, nel tentativo di riconoscere quei principi grammaticali, criteri trasformativi, parole, frasi che avevano guidato la fabbrica fino alla sua fase ultima […] e che nostro compito era rileggere per identificare nelle sue parole le nostre parole, nelle sue regole le nostre regole» [11].

I nuovi laterizi impiegati per realizzare l’ampio intervento di scuci-cuci emergono ‘sopra-squadro’ dalle tessiture murarie consunte dall’erosione e si distinguono da esse per cromia ed omogeneità superficiale data proprio dall’assenza dei segni del tempo impressi sulla materia.

Cinta muraria di Cittadella, Padova. L’intervento di integrazione muraria.

Mura di Cittadella (Padova)

Ulteriore intervento che indaga le modalità e il linguaggio di integrazione di lacune di grande entità nella compagine muraria è quello condotto dallo studio Valle tra il 1998 e il 2013 per la cinta di Cittadella, edificata tra il XII e il XIII secolo. L’intervento prende avvio dall’accertamento dell’avanzato stato di degrado dell’oggetto, affetto da dissesti e da estesi crolli per lo più in coincidenza dell’apparato sommitale del cammino di ronda e delle merlature.

Il progetto è stato sviluppato secondo un percorso critico teso tanto al contrasto dei meccanismi di degrado e di dissesto quanto all’individuazione della misura da dedicare alle operazioni reintegrative. Queste ultime, pur significative in estensione, particolarmente nel settore sud-est della cinta, sono state governate con un linguaggio che ha saputo rapportarsi tanto alle caratteristiche delle murature storiche, quanto alla percezione consolidata del paesaggio circostante.

Avviato il consolidamento del piano fondale mediante micropali dalla profondità variabile tra 9 e 12 metri, l’integrazione muraria è stata realizzata a partire da un plinto armato su cui è impostata la ricostruzione parziale della torre 11 e del paramento 5, fino al torresino 10. Anche grazie alle operazioni condotte, il progetto riattiva l’accessibilità delle mura rendendo nuovamente percorribile il camminamento superiore che collega le torri [12].

Innesto/restituzione: nuovi spazi per l’antico

Un ulteriore tema di indagine che emerge dagli interventi considerati si fonda sulle questioni della durabilità e delle modalità di invecchiamento dei nuovi inserimenti in relazione all’antico. Alla scelta, talvolta aprioristica, di esaltazione dei segni del tempo sulle superfici storiche, si affianca quella di perseguire un carattere non effimero dell’apporto contemporaneo.

La scelta di realizzare un progetto di continuità con la storia dell’edificio si esplicita, dunque, anche con l’impiego di materiali e di soluzioni di dettaglio connesse all’obiettivo della lunga durata: l’uso del mattone pieno è suggerito dalla qualità delle murature preesistenti, mentre «materiali sovrastrutturali » [13] come acciaio e vetro, sono generalmente impiegati solo «nell’ambito di una sintassi che tende a distinguere con molta precisione gli elementi portanti da quelli portati» [14].

Le vocazioni dei luoghi sono valorizzate da un percorso conoscitivo in cui l’analisi storica, costruttiva e tipologica costituiscono uno dei momenti fondanti del progetto, che assume i caratteri identitari del contesto attualizzandoli sia in termini espressivi che esecutivi.

Complesso di San Michele in Borgo, Pisa. La corte interna ad intervento concluso [A. Cornoldi, M. Rapposelli, 2005].

Museo di Storia e Civiltà, Varano (Parma)

Il progetto elaborato da Paolo Zermani tra il 1997 e il 1999 per il nuovo Museo di Storia e Civiltà di Varano si traduce in un nuovo elemento di connessione tra due architetture, la chiesa e la canonica, che sostituisce un più recente locale parrocchiale ritenuto di scarsa qualità costruttiva [15].

Il nuovo volume è stato ricavato con la definizione di un elemento di forma absidale che integra le spazialità degli edifici preesistenti.
Il prospetto, rivolto verso il digradare del terreno, è inciso in mezzeria da un lungo taglio che evidenzia il carattere di connessione e, insieme, di separazione, tra le due architetture storiche e che sottolinea, allo stesso tempo, il nuovo accesso destinato al museo (fig.8).

In cerca di equilibri e non di prevalenze, la copertura del nuovo volume, piana, è posta ad una quota inferiore rispetto alle falde delle architetture più antiche. Nel punto di incontro con le preesistenze, i setti murari di nuova introduzione subiscono infine un lieve arretramento, scelta che segna il passaggio tra nuovo e antico.

In assonanza con l’opera di Massimo Carmassi (3) e di Guido Canali (4), la definizione costruttiva dell’innesto si fonda su rielaborazioni del tema del mattone e prende «le distanze dalle avanguardie storiche del XX secolo, dal Post Moderno, dall’estetica della tecnologia» [16]. Al contrario, la scelta dei materiali intende attualizzare «le straordinarie tecniche attraverso cui ci sono state trasmesse architetture che hanno saputo sopravvivere ai millenni» [17].

È lo stesso Zermani a chiarire il suo approccio nei confronti della storia e della tradizione: «a me interessa stare nel tempo senza assumere stagioni circoscritte. Parlo di un’unica grande stagione, un percorso, una lunga durata […]. Il mattone è un materiale antico e quindi legato all’architettura della Tradizione; oggi si rileva un particolare impegno degli architetti nella ricerca di un aggiornamento del suo impiego e della sua immagine» [18].

Complesso di San Michele in Borgo, Pisa. Vista esterna ad intervento concluso.

San Michele in Borgo, Pisa (1979-2001)

L’intervento condotto da Massimo Carmassi muove dalla parziale ricostruzione del complesso conventuale di San Michele in Borgo, settore urbano gravemente danneggiato dai bombardamenti aerei del 1943.

Nel 1979 gli organismi di tutela approvavano un primo piano di ricostruzione dei lati nord e sud dell’area che sarebbero stati completati, tra le alterne vicende che ancora caratterizzano la sfortunata sorte del sito, solo nel 2001.

Nell’idea dell’architetto la volontà di restituire all’isolato il perimetro del convento perduto, limesche indirizza e che governa l’andamento della nuova costruzione (fig.7).

Proprio a partire dal sedime delle preesistenze, il progettista realizza nuove strutture in muratura a sacco armato che, dunque, mostrano assonanze con le caratteristiche costruttive del complesso solo dal punto di vista figurativo: «credo sia importante […] ricostruire con tecnologie non troppo distanti dall’esistente; la nuova architettura deve avere la capacità di invecchiare come gli edifici circostanti. Il momento innovativo si deve integrare al momento conservativo a un analogo livello qualitativo» [19].

Museo di Storia e della Civiltà di Varano, Parma. L’innesto che funge da nuovo ingresso.

Per ottenere un effetto di continuità con il rudere sono state realizzate murature composte da laterizi pieni di colore intenso e uniforme (pezzi speciali sono stati appositamente disegnati dal progettista) sovrapposti senza fuga, generalmente arretrati rispetto al piano delle facciate storiche.

Alla base dell’operare c’è un interesse alle tecniche costruttive della tradizione che parte dalla lettura delle tracce fisiche di quanto resta per riconnetterne i segni nello spazio, accettando e traducendo le memorie che quei segni evocano.

L’intervento agisce conservando e valorizzando le frammentarietà, le piccole mancanze e le interruzioni delle superfici del tessuto storico che emergono sul rigore dell’innesto contemporaneo. Al centro dell’indagine c’è la rinuncia al raggiungimento dell’esaustività e dell’integrità del testo, per il quale si predilige, al contrario, la comunicazione sincronica delle infinite possibilità di interpretazione di forme prive di completezza (5) [20].

Convento di Santa Maria, Gonzaga (Mantova)

Realizzato nel 2015 dallo studio LR Architetti, il progetto interviene su un convento risalente alla fine del XV secolo, oggi adibito a biblioteca comunale. Tenere insieme le istanze normative e conservative connesse alla destinazione d’uso dell’edificio ha significato far coincidere l’esigenza di una nuova scala di sicurezza esterna con l’edificazione di un nuovo volume paratatticamente accostato all’ala nord del complesso.

Il nuovo elemento è un corpo compatto che conclude il limite degli spazi aperti e che integra, senza però citarla, la scansione ritmica della facciata storica articolata da quattro contrafforti. Per la disposizione libera delle bucature che seguono l’andamento della scala, l’innesto si configura come moderna testata in cui la struttura in calcestruzzo armato è dichiarata, faccia a vista, solo al suo interno.

All’esterno la definizione della qualità delle superfici è invece demandata a un rivestimento realizzato in pianelle di cotto delle dimensioni di 25x6x3.5 cm, che proseguono sulla copertura per definire in modo uniforme l’involucro esterno. I setti perimetrali sono realizzati in getti di calcestruzzo armato, sulle superfici interne dei quali sono lasciate visibili le tracce della casseratura in legno.

Ex convento di Santa Maria, Gonzaga (Mantova). Il nuovo volume per la scala di sicurezza.

Conclusioni

Le esperienze considerate delineano un tema ampio, ricco di spunti e criticità, che non si ha la pretesa di tracciare con esaustività nella sintesi del presente contributo. Con diversi gradi di attenzione per la preesistenza, gli interventi illustrati si rapportano con il tessuto storico evidenziando che un aspetto dell’architettura contemporanea risieda proprio nell’istituzione, con il contesto, di relazioni privilegiate fondate su un legame  che presuppone il riconoscimento delle rispettive specificità.

L’impiego del laterizio non significa, dunque, necessariamente, mimesi, ma rappresenta una scelta che sottende responsabilità creativa che nasce tanto dall’interpretazione delle caratteristiche degli edifici del passato quanto dall’attitudine ad inserirsi nella loro storia.

Nell’ambito della conservazione delle superfici emerge poi una volontà di esaltazione dei caratteri dell’antico attraverso la celebrazione della potenza figurativa ed espressiva dei segni del tempo: la scelta di amplificare, attraverso il progetto, la «rilevanza estetica del degrado e della rovina» [21], sembra essere infatti funzionale alla creazione di tensioni oppositive tra parti afferenti a tempi diversi, anche se la volontà, nei casi trattati, non è quella di emergere per contrasto nei confronti del tessuto storico.

Gli orientamenti di metodo delineati sono caratterizzati da scelte comuni fondate sull’individuazione di nuovi elementi appartenenti al medesimo ‘codice linguistico’ del manufatto, in un processo di reintegrazione dell’immagine che non coincide in nessun caso con il ritorno ad una presunta condizione originaria.

Il progetto diviene allora racconto che sceglie di coniugare contributi di epoche differenti inserendoli all’interno di un sistema interpretativo nuovo. Parafrasando Roland Barthes, infatti, interpretare un testo non è solo dargli un senso, è invece valutare di quali pluralità sia fatto (6) [22].

di Sara Di Resta,
ricercatore di Restauro Architettonico (Icar/19), Dipartimento di Architettura Costruzione Conservazione, Università Iuav di Venezia

Ex convento di Santa Maria, Gonzaga (Mantova). L’intradosso superiore della bucatura denuncia la tecnica costruttiva in c.a.

Note

1. Cfr. S. Benedetti 1991 [3].
2. Cfr. G. De Angelis d’Ossat, 1995 [7]. Gli aspetti sollevati dall’integrazione di brani perduti del paramento murario vengono trattati dallo studioso come questione critica e formale che culmina nell’elaborazione dell’abaco riportato in queste pagine. La proposta è imperniata sulla necessità di mediare l’esigenza di distinguibilità dell’aggiunta con quella di contenimento del rischio di contrasto stridente che, proprio dalla prima istanza, deriva.
3. Oltre al caso trattato del complesso di San Michele in Borgo a Pisa si rimanda agli interventi condotti dal progettista per l’ex foro annonario di Senigallia e per la caserma Santa Marta a Verona.
4. Si fa particolare riferimento agli interventi condotti per il complesso di Santa Maria della Scala a Siena e per l’ex mulino del Maglio a Sassuolo.
5. Cfr. B. Pedretti 2007 [20].
6. Cfr. R. Barthes 1981 [22].

Riferimenti bibliografici

[1] C. Brandi, Struttura e Architettura, Einaudi, Torino, 1967, p. 225.
[2] R. Bonelli, Architettura e restauro, Neri Pozza Editore, Venezia, 1959.
[3] S. Benedetti, voce ‘Architettura’, in: Enciclopedia Italiana, V appendice (1979-1992), t. A-D, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1991, pp. 203-205.
[4] G. De Angelis d’Ossat, Restauro: architettura sulle preesistenze diversamente valutate nel tempo, Palladio 2 (1978) 51-68, ripubblicato in G. De Angelis d’Ossat, Sul restauro dei monumenti architettonici. Concetti, operatività, didattica, Bonsignori, Roma, 1995, pp. 93-118.
[5] M. Manieri Elia, Il nuovo nell’esistente: un “innesto possibile”, in M. M. Segarra Lagunes (Eds.), Manutenzione e recupero nella città storica. L’inserzione del nuovo nel vecchio a trenta anni da Cesare Brandi, Atti del IV Convegno Nazionale ARCo, Roma 7-8 giugno 2001, Gangemi, Roma, 2004, pp. 9-13.
[6] M. Manieri Elia, cit., pp. 9-13.
[7] G. De Angelis d’Ossat, Schemi di corretta integrazione delle lacune murarie, in G. De Angelis d’Ossat, Sul restauro dei monumenti architettonici. Concetti, operatività, didattica, Bonsignori, Roma, 1995, pp. 87-92.
[8] P. Philippot, Saggi sul restauro e dintorni, in P. Fancelli (Eds.), Antologia.
Scuola di specializzazione per lo studio e il restauro dei monumenti, Università degli studi di Roma “La Sapienza” (Strumenti 17), Roma, 1998, pp. 43-50.
[9] G. De Angelis d’Ossat, Schemi di corretta integrazione delle lacune murarie, in G. De Angelis d’Ossat, Sul restauro dei monumenti architettonici. Concetti, operatività, didattica, Bonsignori, Roma, 1995, p. 87.
[10] M. A. Segantini, C. Cappai, Torre Massimiliana a Venezia, Progetto e Pubblico 35 (2008) 23-26.
[11] C. Cappai, M. A. Segantini, Osservazioni sul testo plurale. Un progetto per la Torre Massimiliana a S. Erasmo, Galileo 40 (1993) 13.
[12] P. Valle, Restauro e ‘ri-Animazione’, Costruire in laterizio 172 (2017) 52-59.
[13] A. Cornoldi, M. Rapposelli (Eds.), Massimo Carmassi. Pisa. Ricostruzione di San Michele in Borgo, Padova, Poligrafo, 2005, p. 29.
[14] Ibidem.
[15] F. Rossi Prodi, F. Collotti, Paolo Zermani. Architetture 1983-2003, Reggio Emilia, Diabasis, 2003, pp. 152-156.
[16] Ibidem.
[17] C. Donati, A colloquio con Paolo Zermani, Costruire in laterizio 90 (2002) 34-39.
[18] Ibidem.
[19] M. Rapposelli, Intervista a Massimo Carmassi, in A. Cornoldi, M. Rapposelli (Eds.), op. cit., pp. 15-19.
[20] B. Pedretti, La forma dell’incompiuto. Quaderno, abbozzo e frammento come opera del moderno, Utet Università, Torino, 2007.
[21] A. Grimoldi, Architettura come riparazione, Lotus International 46 (1985) 118.
[22] R. Barthes, L’interpretazione, in R. Barthes, S/Z. Una lettura di «Sarrasine» di Balzac, Torino, Einaudi, 1981, pp. 10-12.

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