Norme e Appalti

La  riserva nel nuovo Codice dei contratti: ritorno al passato o al futuro?

Dopo una ricostruzione storica sulla valenza e l'evoluzione normativa in materia di riserve l'articolo offre un primo parere sulla portata positiva del nuovo Codice dei contratti. L'autore, in materia di riserve, apprezza i requisiti di determinatezza, bilanciamento degli interessi contrapposti  e certezza del diritto di cui è tutt’ora sprovvista la normativa vigente.
Pier Luigi Gianforte | Docente di Appalti Pubblici Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione
Pier Luigi Gianforte | Docente di Appalti Pubblici Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione.

Da sempre la fase dell’esecuzione dell’appalto ha rappresentato un terreno ove i due operatori (stazione appaltante e appaltatore) si sono confrontati, e spesso scontrati, su reciproche pretese non sempre convergenti verso una soluzione condivisa.

Come è facile intuire, circostanze sopravvenute in corso di esecuzione del contratto possono di fatto alterare gli equilibri tra le parti, cosicchè di sovente accade che in tale fase sorgano controversie relativamente a contestazioni poste in essere dall’appaltatore, con pesanti ricadute sui tempi e sui costi della commessa.

In questa dicotomia di contrapposte esigenze, trova la sua ratio, l’istituto delle riserve, strumento attraverso il quale il legislatore ha reso possibile verificare con regolarità e continuità l’effettivo costo dell’opera pubblica, a garanzia di entrambe le parti del contratto di appalto.

Per far valere queste pretese, l’appaltatore deve presentare una “domanda” da iscrivere nei documenti contabili (o nel primo documento disponibile) entro un determinato termine.

La mancata proposizione della domanda nei modi e nei termini stabiliti dalla legge o, come si vedrà meglio, secondo le modalità indicate nella lex specialis di gara, può comportare la decadenza ovvero l’inammissibilità per l’appaltatore di far valere le proprie pretese, seppur fondate.

Evoluzione del quadro normativo in materia di riserve  

La matrice normativa dell’istituto delle riserve è risalente poiché nei lavori pubblici, fin dal Regio Decreto n. 350 del 1895, la disciplina degli appalti pubblici ha regolato le modalità con cui l’appaltatore, durante il corso dell’esecuzione del contratto, poteva avanzare delle pretese nei confronti della Pubblica Amministrazione; per molto tempo tale Regolamento ha rappresentato l’unica fonte giuridica in materia.

Solo il 21 dicembre 1999, con il Dpr n. 554, Regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (legge Merloni), il predetto regio decreto veniva abrogato, riproducendosi tuttavia le norme in esso contenute in materia di riserve.

In epoca successiva il legislatore interveniva con il dm n. 145 del 19 aprile 2000, emanato ai sensi dell’art. 3 comma 5 della legge 109/1994, definendo più nel dettaglio le modalità di applicazione della riserva.

Poi di seguito si sono succeduti tre interventi legislativi che, ognuno per proprie peculiarità, hanno caratterizzato le modalità di formulazione dello strumento in esame.

Innanzitutto il Dpr n. 207 del 5 ottobre 2010, Regolamento attuativo del previgente Codice dei contratti pubblici dlgs 163/2006, ha codificato le norme in tema di riserva, senza modificarne il contenuto, negli articoli da 189 a 191, evidenziando all’articolo 201 che l’ambito di applicazione di tale istituto, inizialmente previsto per i soli appalti di lavori, copriva anche gli appalti di servizi e di forniture.

Tale quadro normativo è rimasto invariato sino all’emanazione del dlgs 50/2016, con l’intento da parte del Legislatore di eliminare l’adozione di un Regolamento attuativo in favore di specifiche Linee guida di indirizzo per l’attuazione delle norme del codice degli appalti.

Il testo di riferimento attuale, almeno sino alla prossima entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti (che nel di esso art. 229 vede come dies a quo il 1 aprile 2023), è il dm n. 49 adottato il 7 marzo 2018 in vigore dal 30 maggio 2018; il dato caratterizzante della vigente previsione normativa, che sino ad oggi ha rappresentato una svolta significativa (e negativa) in tema di riserve, è rappresentato dalla circostanza, che demandare alla disciplina prevista dalla stazione appaltante, e riportata nel capitolato negoziale, la gestione delle riserve tra appaltatore e committente (art. 9), parificandosi, nel contempo, la disciplina prevista per gli appalti di lavori a quelli dei servizi e delle forniture (art. 21)

A fronte di tale “delega” la stazione appaltante non ha certo il potere di sopprimere il diritto dell’appaltatore di applicare l’istituto delle riserve; resta confermato, a titolo esemplificativo l’onere di iscrivere riserve sul registro di contabilità (previsto dall’art. 14 comma 1 lettera c del decreto), di confermarle in sede di conto finale (ai sensi dell’art. 14 comma 1 lettera e) o nei verbali di sospensione e ripresa lavori ( stabilito dall’art. 107 del codice e dell’articolo 10 comma 5 del decreto).

Tuttavia non trovano conferma nel vigente quadro normativo le formalità, tese a garantire il rispetto della spesa pubblica, relative alla formulazione delle riserve, ossia la previsione del termine di decadenza per la loro esplicazione (prima disciplinato dall’art. 190 del decreto), e quelle inerenti ai requisiti di contenuto delle stesse (ai sensi dell’art. 191 del Regolamento previgente).

Osservazioni critiche alla normativa attualmente in vigore

Gli articoli 9 e 21 del dm 49/18  innovando completamente rispetto alla previgente disciplina (artt. li 190 191 del dpr 207/2010), nonché rispetto alle precedenti bozze del decreto stesso, non prevedono , come detto, una regolamentazione specifica delle modalità con cui l’appaltatore ha la possibilità di contestare gli aspetti tecnici che possono influire sull’esecuzione dei lavori né delle modalità attraverso cui l’esecutore stesso possa esercitare il diritto di iscrivere riserva nei documenti contabili.

Pertanto la caratteristica precisa della normativa in vigore è che si rinvia il tutto alla lex specialis di gara, in particolare al Capitolato speciale d’appalto, stipulato unilateralmente dalla Stazione appaltante.

Tuttavia, tale impostazione è risultata nei fatti foriera di ulteriori conseguenze non ultima l’assenza di regolamentazione contrattuale sulle modalità di formalizzazione delle domande con la statuizione delle comminatorie di decadenza.

Occorre infatti tenere bene a mente che la riserva assolve il ruolo di strumento di riequilibrio contrattuale, laddove il sinallagma venga a essere alterato da circostanze e fatti sopravvenuti, non previsti né prevedibili al momento della stipula del contratto.

Per definizione quindi le modalità di esercizio di tale strumento devono essere codificate e formalizzate a priori in modo da consentire si all’appaltatore di poter esercitare i propri diritti in maniera chiara e trasparente permettendo al contempo alla stazione appaltante di verificare in ogni momento il “costo” dell’opera.

L’importanza della “forma” nell’ istituto delle riserve nei lavori pubblici è sostanziale, basti qui ricordare che la mancata apposizione di una riserva o il ritardo nell’esplicazione comportano conseguenze particolarmente rilevanti sia per le imprese, sia per le amministrazioni.

Come pacificamente riconosciuto da un consolidato orientamento giurisprudenziale infatti «l’appaltatore … ove voglia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione e/o avanzare pretese comunque idonee a incidere sul compenso complessivo spettante, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili, ad esporre nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi idonei ad individuare la sua pretesa nel titolo e nella somma e a confermare la riserva all’atto della sottoscrizione del conto finale; l’impresa che, pur avendo tempestivamente formulato la riserva, non la riproduca e non la espliciti nei termini e nei documenti previsti dalla legge, decade dalle relative domande» (Trib. Civ. Palermo, sez. V, 19 giugno 2014, n. 3373; cfr. anche Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 2017, n. 15937).

Come visto, si tratta di un istituto di fondamentale importanza il quale, oltre a comprendere tutte le richieste e le ragioni giustificatrici idonee ad incidere sul compenso spettante all’imprenditore, assolve anche una funzione a tutela della pubblica amministrazione appaltante, «la quale deve essere messa in condizione di esercitare prontamente ogni verifica necessaria a valutare l’esistenza o meno di una propria obbligazione, onde il corrispondente onere a carico dell’appaltatore non subisce deroghe nel caso in cui la pretesa fatta valere si riferisca a lavori resi necessari da eventi non previsti. Pertanto, i lavori addizionali eventualmente effettuati dall’appaltatore, che non siano stati previamente autorizzati e per i quali, quindi, egli non abbia diritto ad aumento di prezzo, possono dare luogo a compenso a condizione che essi formino oggetto di tempestiva riserva ovvero che siano stati, riconosciuti come tali dall’amministrazione committente» (Cass. civ., Sez. I, 11 marzo 2011, n. 5871).

Nella previsione normativa attuale invece nessuna regola viene dettata dal legislatore; sicché spetta alla stazione appaltante stabilire la disciplina applicabile che potrebbe anche variare caso per caso.

Nella pratica professionale si leggono capitolati dagli scenari più disparati: taluni legano la decadenza alla mancata formulazione delle domande nel termine di soli 3 giorni dal pregiudizio sofferto altri non disciplinano minimamente la materia.

Sono quindi evidenti i rischi di una possibile compressione dei diritti dell’appaltatore; le stazioni appaltanti potrebbero infatti stabilire dei tempi di esplicazione delle riserve estremamente ridotti, tali da non consentire all’appaltatore di esporre le proprie ragioni con piena consapevolezza.

Non remoto pare inoltre il caso in cui le stazioni appaltanti (anche per mera negligenza) non prevedano affatto alcuna disciplina delle riserve nei lavori pubblici; in tal caso non ci sarebbe alcuna regola generale applicabile in caso e ci si troverebbe di fronte a un “vuoto regolamentare”.

Tale “vuoto” può comportare, da un lato, l’incertezza dell’appaltatore di non conoscere le modalità attraverso cui poter far valere le proprie pretese, senza incorrere in decadenze; dall’altro lato, esporrebbe l’amministrazione a contestazioni per un arco temporale più ampio previsto dai principi civilistici, con importanti conseguenze dal punto di vista economico.

L’istituto delle riserve nel nuovo Codice

Tra gli impegni assunti dal Governo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che avranno un impatto significativo sul settore dei contratti pubblici vi è quello che prevede una completa revisione del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50/2016).

L’adozione della legge 21 giugno 2022, n. 78 recante la delega al Governo in materia di contratti pubblici rientra in questo preciso scopo; la delega, con i suoi 31 criteri direttivi, interessa molti aspetti della disciplina, e si  pone l’obiettivo di riordinare e razionalizzare le disposizioni vigenti, tenendo conto del diritto europeo e della giurisprudenza nazionale e comunitaria.

Nella riunione del 16 dicembre 2022 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo di riforma del Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della legge 78/22, precisando che il nuovo Codice sarà improntato sui seguenti principi cardine:

  • principio del risultato, inteso come l’interesse primario del Codice stesso che riguarda l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza;
  • principio della fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta della pubblica amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici;
  • principio della digitalizzazione come motore per modernizzare tutto il sistema dei contratti pubblici e l’intero ciclo di vita dell’appalto, con digitalizzazione integrale in materia di accesso agli atti, e possibilità per tutti i cittadini di richiedere la documentazione di gara.

Nel nuovo Codice degli Appalti, che si applicherà a tutti i procedimenti a partire dal 1 aprile 2023, mentre dal 1 luglio 2023 è prevista l’abrogazione del Codice precedente 50/2016 e l’applicazione delle nuove norme anche a tutti i procedimenti già in corso, viene dedicata un’adeguata attenzione all’istituto delle riserve proprio in correlazione con il principio di risultato e fiducia sopra richiamati.

Nello specifico l’articolo 7 dell’Allegato II. 14 dell’articolo 115 del nuovo Codice (Controllo tecnico contabile e amministrativo) è denominato riserve e testualmente recita:

  1. 1. In linea di principio, l’iscrizione delle riserve è finalizzata ad assicurare alla stazione appaltante, durante l’intera fase di esecuzione del contratto, il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica, la tempestiva conoscenza e valutazione, sulla base delle risultanze contenute nel registro di contabilità, delle eventuali pretese economiche avanzate dall’appaltatore e l’adozione di ogni misura e iniziativa volte a evitare che i fondi impegnati si rivelino insufficienti.

Non costituiscono riserve:

  1. a) le contestazioni e le pretese economiche che siano estranee all’oggetto dell’appalto o al contenuto del registro di contabilità; b) le richieste di rimborso delle imposte corrisposte in esecuzione del contratto di appalto;
  2. c) il pagamento degli interessi moratori per ritardo nei pagamenti;
  3. d) le contestazioni circa la validità del contratto;
  4. e) le domande di risarcimento motivate da comportamenti della stazione appaltante o da circostanza a quest’ultima riferibili;
  5. f) il ritardo nell’esecuzione del collaudo motivato da comportamento colposo della stazione appaltante.
  6. Le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonché all’atto della sottoscrizione del certificato di collaudo mediante precisa esplicitazione delle contestazioni circa le relative operazioni Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono rinunciate. Le riserve devono essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali si fondano. In particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità:
  7. a) la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore ritiene gli siano dovute. La quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto, salvo che la riserva stessa sia motivata con riferimento a fatti continuativi.
  8. b) l’indicazione degli ordini di servizi, emanati dal direttore dei lavori o dal direttore dell’esecuzione, che abbiano inciso sulle modalità di esecuzione dell’appalto;
  9. c) le contestazioni relative all’esattezza tecnica delle modalità costruttive previste dal capitolato speciale d’appalto o dal progetto esecutivo;
  10. d) le contestazioni relative alla difformità rispetto al contratto delle disposizioni e delle istruzioni relative agli aspetti tecnici ed economici della gestione dell’appalto;
  11. e) le contestazioni relative alle disposizioni e istruzioni del direttore dei lavori o dal direttore dell’esecuzione che comportare la responsabilità dell’appaltatore o che potrebbero determinare vizi o difformità esecutive dell’appalto.
  12. L’esecutore, all’atto della firma del conto finale, da apporre entro il termine di trenta giorni dall’invito del RUP a prenderne cognizione, non può iscrivere domande diverse per oggetto o per importo da quelle formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori, ed ha l’onere, a pena di decadenza, di confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili per le quali non siano intervenute procedure di carattere conciliativo.
  13. Se l’esecutore non firma il conto finale nel termine di cui al comma 3, o se lo sottoscrive senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, il conto finale si intende come definitivamente accettato.

Da questo testo si possono trarre de plano delle riflessioni:

  • innanzitutto il legislatore reintroduce in buona sostanza le previsioni già contenute nel Dpr 554/99, nel Dm 145/2000 e nel Dpr 207/2010, nelle puntuale disciplina contenuta negli Allegati, aventi natura regolamentare e predisposti su parere e schemi esplicati dal Consiglio di Stato;
  • è salvaguardato l’interesse precipuo della stazione appaltante a perseguire “il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica” durante l’intera fase di esecuzione del contratto;
  • è presente la previsione circostanziata (cfr. art.1) dei fatti o circostanze che “non costituiscono riserve”, ovvero chiarezza e pragmatismo nel regolare l’oggetto del contradditorio tra SA e appaltatore, in ossequio al principio del risultato su cui è fondato il nuovo Codice;
  • vi è una ben precisa connotazione dell’istituto della decadenza, vero spartiacque sulle sorti della riserva e oggetto del concreto interesse dell’appaltatore a che tale evento non si verifichi; all’art. 2 dell’allegato si specifica che le riserve vanno iscritte “ a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle…..in ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche sul registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonché all’atto della sottoscrizione del certificato di collaudo”, all’art. 3 viene evidenziato che l’esecutore, all’atto della firma del conto finale, “ha l’onere, a pena di decadenza, di confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili….”  ;
  • è prevista, ai fini dell’ammissibilità, una esatta e puntuale elencazione di come vadano formulate le riserve (art. 2), ovvero la specificità delle ragioni su cui si fondano, la precisa quantificazione delle somme richieste dall’appaltatore, le contestazioni dettagliate su disposizioni ed istruzioni del dl nonché gli ordini di servizio emanati da quest’ultimo o dal responsabile di progetto.

A parere dello scrivente quindi  il Nuovo Codice,  almeno in materia di riserve, si apprezza per i requisiti di determinatezza, bilanciamento degli interessi contrapposti  e certezza del diritto di cui è tutt’ora sprovvista la normativa vigente (con censura specifica di questa pecca mossa dal Consiglio di Stato a pag. 166 dello Schema definitivo dell’Allegato II.1 4 all’articolo  115 del nuovo Codice ove si precisa che tale allegato ha come base il Dm 49/18 “ma il contenuto di tale provvedimento è ampliato con ulteriori disposizioni intese a colmare le lacune di disciplina evidenti nel codice vigente… a proposito di istituti fondamentali della fase di esecuzione dell’appalto quali…… le riserve”).

Pier Luigi Gianforte | Docente di Appalti Pubblici
Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione

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