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Nuovi solai per il restauro del Castello di Montecchio Vesponi

L’intervento di restauro del Castello di Montecchio Vesponi dimostra che, anche nel settore della tutela, l’uso di soluzioni e materiali della tradizione riescono a garantire ottime prestazioni sia in termini di resistenza meccanica, sia di qualità estetica.

L’evoluzione storica dei solai è scandita da fasi temporali ben definite ed è strettamente legata all’introduzione di materiali innovativi, all’incremento prestazionale dei materiali della tradizione, all’evoluzione delle tecnologie produttive e all’industrializzazione edilizia che, negli ultimi quaranta anni, ha condizionato fortemente le fasi di produzione e messa in opera degli impalcati orizzontali [1]. Tra le prime soluzioni a essere adottate per separare due spazi sovrapposti si sono avuti i solai lignei con pianelle di laterizio e le volte in mattoni; progressivamente gli elementi strutturali in legno sono stati sostituiti da profilati metallici che garantivano migliori (anche se non ancora ottimali) prestazioni in termini di resistenza al fuoco, mentre alle superfici curve delle volte sono state preferite superfici orizzontali, per il minor volume occupato, per l’assenza delle spinte gravanti sulle strutture verticali e per il collegamento strutturale che assicurano con le murature portanti.

Vista del castello.
Vista del castello.

Dalla prima metà del Novecento l’avvento del calcestruzzo armato ha di fatto rivoluzionato il settore dei solai, permettendo la realizzazione di parti strutturali in cemento armato, più affidabili anche in caso di incendio1; abbinati agli elementi in calcestruzzo armato, gli elementi di alleggerimento in laterizio sono diventati sempre più grandi e, al contempo, sempre più leggeri. Nello stesso periodo vengono sperimentati e brevettati i primi sistemi prefabbricati, basati sull’uso di blocchi forati in laterizio disposti «a correre» e tenuti insieme da tondini in acciaio e getti di calcestruzzo all’interno di scanalature opportunamente create, in modo da realizzare dei travetti semi-prefabbricati, da terminare poi in opera con un getto di completamento.

Dalla metà del secolo scorso si registra l’ampio impiego di tre tipologie di impalcati, sempre in latero-cemento, che sfruttano a pieno le potenzialità insite dei materiali coinvolti e le innovazioni che in quegli anni cominciavano a essere sperimentate e brevettate con maggiore frequenza, grazie, soprattutto, all’abbassamento dei costi di produzione: le pignatte vengono disegnate e prodotte con profili a T rovescia per permettere l’alloggiamento delle armature, vengono utilizzati travetti prefabbricati sempre a T rovescia in cemento armato precompresso, e compaiono i primi travetti semi-prefabbricati con fondello di laterizio e traliccio metallico.

01b. vista del castello

Con lo sviluppo della prefabbricazione nascono i primi solai a predalles, caratterizzati da tralicci metallici annegati in una soletta in c.a. ed elementi di alleggerimento, e i primi pannelli in latero-cemento standardizzati, composti da due (a volte tre) file di pignatte, realizzati in officina, per lunghezze variabili fino ai 7,50 metri, e assemblati in cantiere. Alla fine del Novecento, con l’obiettivo di razionalizzare la messa in opera, di integrare altri sottosistemi tecnologici e di innalzare i livelli di sicurezza in cantiere, vengono sperimentati e prodotti molteplici sistemi che prevedono, per esempio, l’allargamento del travetto in latero-cemento, l’eliminazione dell’elemento di alleggerimento, un opportuno studio geometrico dei laterizi per garantire il passaggio degli impianti e/o l’integrazione con i pannelli isolanti.

Nell’ultimo decennio, invece, coerentemente con le tendenze evolutive di molti comparti produttivi del settore delle costruzioni, la soluzione tecnologica che registra maggior impiego è quella basata sui sistemi misti collaboranti che prevedono l’impiego del laterizio in abbinamento con altri materiali. Tale soluzione risulta vincente anche negli interventi di conservazione e tutela del patrimonio esistente, come dimostra il recente restauro del castello di Montecchio Vesponi, nel comune di Castel Fiorentino (fig. 1), che ha previsto l’impiego di un solaio misto in laterizio e legno, a conferma del fatto che se correttamente utilizzati, tali sistemi, sono in grado, di fornire particolari garanzie in termini di sicurezza statica e di qualità estetico-formale.

Planimetria generale con individuazione delle aree oggetto di scavo e restauro.
Planimetria generale con individuazione delle aree oggetto di scavo e restauro.

Il castello di Montecchio Vesponi Il castello di Montecchio Vesponi, con il suo profilo e la sua torre, alta circa 30 m, si erge sulla Val di Chiana, e le sue mura, intervallate da otto piccole torri, si sviluppano per un perimetro di circa 260 metri, entro cui svetta il mastio, attualmente adibito a residenza privata. Le mura presentano al loro interno ancora i segni delle abitazioni contadine, mentre tra gli oliveti circostanti sono tuttora visibili i resti di alcuni edifici dell’antico borgo [2]. Le prime notizie certe riguardanti la proprietà del castello risalgono all’anno Mille2: successivamente, intorno al 1234, dopo essere stato di proprietà dei Marchesi del Monte e di altri feudatari, passò in mano agli aretini che ne fecero un baluardo di difesa a protezione soprattutto delle fazioni di Castiglion Fiorentino e Cortona.

Nel 1281 furono ampliate le mura castellane e inglobati al loro interno nuovi nuclei familiari, dando luogo all’attuale configurazione. Più tardi, a seguito delle continue lotte tra Firenze, Arezzo e Perugia, il castello passò prima sotto il possesso di Firenze (a seguito della famosa battaglia di Campaldino del 1289, nella quale sembra combatté anche Dante Alighieri), poi tornò ad Arezzo (1303) e infine divenne la dimora del celebre capitano di ventura inglese John Hawkwood3, che vi abitò fino alla morte, nel 1394, quando il castello tornò di proprietà di Firenze e divenne sede di funzionari fiorentini. Nella seconda metà del 1700, conseguentemente alle riforme sulle autonomie del Granduca Pietro Leopoldo, il Comune di Montecchio fu unito al Comune di Castiglion Fiorentino e nel XIX secolo, dopo l’unificazione d’Italia, il Castello, abbandonato e suddiviso fra numerosi piccoli proprietari, fu acquistato dal banchiere e politico senese Giacomo Servadio che lo restaurò e successivamente lo vendette a Maria Gattai la quale, dopo il consolidamento della torre e di alcune parti strutturali delle mura, nel 1979 ne cedette la proprietà alla contessa Orietta Floridi Viterbini.

Fasi di montaggio del solaio.
Fasi di montaggio del solaio.

Il restauro del castello. L’operazione più interessante dell’intervento di restauro apportato da Servadio e dalla moglie Adelaide Cortesi4 ha riguardato la realizzazione di un giardino-teatro al di sopra delle vecchie case, che ha di fatto convertito uno spazio tipicamente medievale in un palcoscenico ottocentesco a cielo aperto. Il progetto, innovativo per lo specifico periodo storico, ha previsto l’aggiunta di 6 metri di terreno su una superficie di circa 6.000 m2, lasciando la casa del prete e il palazzo di giustizia alle altezze originarie. Il restauro ha previsto, inoltre, la costruzione dei merli guelfi sull’alta cinta muraria, precedentemente non presenti [3].

Le campagne di scavo eseguite dal 2006, sotto la direzione scientifica della prof.ssa Alessandra Molinari dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, durate ben cinque anni, hanno permesso di riportare alla luce le vecchie strutture abitative sepolte, i loro ingressi, la chiesa con le sue sepolture e numerosi reperti, consentendo lo studio sistematico della trasformazione del castello di Montecchio, dall’origine, attraverso i secoli e fino ai giorni nostri. L’obiettivo del più recente intervento di restauro e consolidamento, a opera dell’architetto Maria Carolina Zambelli, è stato quello di conservare in superficie l’immagine ottocentesca e romantica, integrando le porzioni di tessitura muraria mancanti e ricoprendo gli ambienti sottostanti con soluzioni tecnologiche che consentissero, oltre al corretto uso del teatro all’aperto, anche la possibilità di visitare gli ambienti sotterranei.

03b- fasi montaggio solaio

Attraverso un sistema di scale si accede ai piani interrati dove le vecchie canalizzazioni delle acque sono state recuperate come teche espositive dei reperti ritrovati, mentre il tetto giardino, di tipo semi-intensivo, oltre a contribuire all’isolamento termico degli spazi sottostanti, permette, grazie a una cisterna di raccolta dell’acqua piovana, l’irrigazione delle aree verdi. Le integrazioni del paramento murario sono avvenute utilizzando le stesse pietre macigno di Montecchio, con il proposito di intonacarle, per rendere riconoscibile l’intervento di restauro rispetto allo stato originale. Proprio per la specificità del luogo e dell’intervento, la scelta del tipo di solaio da utilizzare per coprire gli spazi ipogei ha assunto un ruolo fondamentale nel progetto di restauro. La tipologia adottata è stata quella con travetti lignei con interposti elementi forati curvi in laterizio: tale soluzione consente l’utilizzo pedonale della copertura con il giardino pensile, soddisfacendo sia requisiti statici, in conformità alla vigente normativa, sia quelli estetici.

Le caratteristiche dei nuovi solai misti. I solai misti utilizzati nell’intervento di restauro sono caratterizzati da peculiari qualità formali che prevedono l’uso di travetti di abete in sostituzione di quelli in calcestruzzo precompresso o tralicciati e l’utilizzo di blocchi forati curvi in laterizio, simili, a opera ultimata, agli impalcati della tradizione toscana (e non solo) con le pianelle a vista. Dal punto di vista meccanico il solaio, a comportamento elastico, è paragonabile a un diaframma rigido5 e garantisce un collegamento efficace con le strutture portanti verticali [4]. La sezione resistente è costituita da una trave superiore a T in calcestruzzo armato e da un travetto inferiore a sezione rettangolare in legno lamellare dotato, nella parte superiore, di una fresatura a incastro e denti lungo il tratto centrale. Nella fresatura viene realizzato un getto in malta cementizia antiritiro ad alta resistenza e, successivamente, inserito un traliccio metallico tipo «bausta» 6.

Intradosso del solaio a lavori terminati.
Intradosso del solaio a lavori terminati.

Il solaio così concepito funziona in quanto risultano impediti gli scorrimenti relativi fra le superfici a contatto degli elementi che compongono la sezione (più sono impediti e meglio il solaio funziona): la rigida connessione tra loro permette di sfruttare al meglio le caratteristiche dei diversi materiali realizzando sezioni più performanti a partire da dimensioni ridotte rispetto agli stessi materiali non mutuamente collaboranti. Gli sforzi di compressione sono affidati alla soletta in calcestruzzo e alla pignatta in laterizio, mentre quelli di trazione e flessione sono affidati prevalentemente ai travetti. Alla soletta e alle pignatte è affidato anche il compito di ripartire i carichi e assorbire le azioni nel piano del solaio7. Travetti di sezione 12×20 cm sono stati inseriti, a interasse di circa 58 cm, per 10 cm nel cordolo in calcestruzzo armato perimetrale; successivamente sono state posate le pignatte forate «a volta» in laterizio alte 12 cm.

Le operazioni sono proseguite con il puntellamento dei travetti ogni 250 cm, la posa della rete elettrosaldata di 20×20 cm con diametro di 6 mm e il getto della soletta di almeno 5 cm di spessore. La soluzione adottata garantisce, quindi, un corretto rapporto tra leggerezza e massività. Il solaio è inoltre dotato di una pellicola autoadesiva in polietilene (facilmente rimovibile a lavori ultimati) che ha prevenuto l’imbrattamento dei materiali durante le fasi di getto e durante le operazioni di finitura che hanno interessato i locali ipogei. Questa tipologia di solaio è stata scelta dai progettisti anche in virtù dell’ottimo comportamento, dimostrato da ulteriori verifiche effettuate presso il Centro Ricerche Enea della Casaccia (Roma) [5]. Le prove di caratterizzazione dinamica e le prove sismiche8 hanno confermato che l’impalcato è in grado di: sollecitare le strutture verticali con comportamenti non massivi perché i pesi propri sono pressoché dimezzati; dissipare notevoli quantità di energia di isteresi dentro le aree del solaio sotto forma di deformazioni di trazione, di ripristino della forma iniziale e di deformazione per compressione; interrompere la propagazione delle eventuali lesioni dalle murature al solaio; di realizzare una sorta di piastra bidirezionale monolitica.

Claudio Piferi, architetto, Phd, Università degli Studi di Firenze

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Chi ha fatto Cosa
Oggetto: Castello di Montecchio Vesponi
Località: Castiglion Fiorentino (Ar)
Committente: Orietta Floridi Viterbini
Responsabile scientifico indagini e scavi: prof.ssa Alessandra Molinari
Ispettori di zona: arch. Rossella Sileno, dott. Luca Fedeli
Progetto architettonico e direzione lavori: arch. Maria Carolina Zambelli
Progetto strutturale: arch. ing. Paolo Faccio

Bibliografia
[1] Baratta, A. «Tendenze innovative nei solai in laterocemento», Costruire in Laterizio, n. 102 (dicembre 2004), pp. 58-61.
[2] Molinari, A. Castello di Montecchio Vesponi. Relazione di fine scavo, Castiglion Fiorentino (Ar) 2007.
[3] Zambelli, M. C. Castello di Montecchio Vesponi. Relazione di progetto, Venezia 2010.
[4] Bacco, V. Il manuale dei solai in laterizio. Il progetto e la normativa, ed. Laterservice, Roma 2010.
[5] Giaquinto, P.; Poggi, M. Il progetto Campec WP2, Enea, Roma 2006.

Note

  1. L’imprenditore-costruttore francese François Hennebique utilizzerà per il suo brevetto del calcestruzzo armato lo slogan pubblicitario «Plus d’incendies desastreux», ovvero «Basta incendi disastrosi».
  2. Il castello viene menzionato per la prima volta come Castrum Montis Guisponi in un documento del 1014 in cui l’Imperatore Enrico II conferma alla potente Abbazia di Farneta un privilegio sul castello.
  3. Il condottiero fu reso celebre in Italia con il nome di Giovanni Acuto attribuitogli da Niccolò Machiavelli e dall’affresco dedicatogli da Paolo Uccello nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
  4. Adelaide Cortesi fu, tra l’altro, la cantante lirica che decretò il successo di Giuseppe Verdi con la sua interpretazione in Violetta (La traviata).
  5. Per tale tipologia di orizzontamenti la normativa in vigore, il D.M. del 14 gennaio 2008 recante «Norme tecniche per le costruzioni», prescrive che questi «possono essere considerati infinitamente rigidi nel proprio piano» rispetto agli elementi verticali «a condizione che siano realizzati con soletta in calcestruzzo armato di almeno 50 mm di spessore collegata da connettori a taglio, opportunamente dimensionati, agli elementi strutturali in legno». Il solaio deve quindi costituire un diaframma orizzontale in grado di trasmettere le forze tra i diversi sistemi resistenti a sviluppo verticale (telai e/o murature).
  6. Il travetto bausta è un prodotto prefabbricato in latero-cemento, ovvero è composto da una parte con il fondello (laterizio) e dall’altra con calcestruzzo: il tutto è assemblato con un pezzo di traliccio inserito all’interno del fondello e come armatura tondini aggiuntivi.
  7. Specifiche indagini numeriche e prove sperimentali, volte a determinare le sollecitazioni massime applicabili ai modelli e a definire le caratteristiche di resistenza e deformabilità degli stessi, sono state svolte presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Strutturale dell’Università di Trento.
  8. Le prove eseguite sono a impulso a diversa intensità e di azioni sismiche su tavola vibrante con intensità crescente.

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