L'approfondimento | Dpcm del 10 aprile 2020

Protocollo di sicurezza per il contenimento del Covid-19 in cantiere: più ombre che luci

Le indicazioni riportate nell'allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020 rappresentano lo “stato dell’arte” per quanto attiene l'individuazione delle procedure anti contagio che devono essere messe in atto dalle diverse figure operanti in cantiere (committente, datore di lavoro, preposto, lavoratori, Cse, direttore dei lavori). Cronistoria ed evidenza di dubbi e incertezze della norma e della prassi.

Il contrasto alla diffusione della pandemia del Covid-19 costituisce una delle maggiori sfide che i Paesi, ormai di tutto il mondo, hanno dovuto affrontare negli ultimi cento anni, in quanto sono stati coinvolti, oltre ai comuni cittadini, anche le imprese che, per poter continuare o riprendere la produzione industriale, hanno dovuto rispettare i protocolli di sicurezza che, a ritmo incessante, in particolare il Governo italiano, ha emanato per cercare di limitare il rischio di contagio.

Volendo fare la cronistoria delle misure di prevenzione da applicare per i luoghi di lavoro in generale e per i cantieri in particolare, per il contrasto e il contenimento del virus Covid-19, è necessario partire da quanto indicato dall’art. 1, comma 1, punto 9 del Dpcm 11 marzo 2020 con cui si invitavano le organizzazioni datoriali e sindacali a raggiungere intese su “protocolli” di sicurezza anticontagio.

In data 14 marzo 2020 è stato quindi firmato da Governo, imprese e sindacati un “protocollo” di regolamentazione delle misure per il contrasto alla diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e successivamente l’art. 2, comma 10, del Dpcm del 10 aprile 2020 aveva “invitato” le imprese a rispettare i contenuti di questo Protocollo.

L’intesa tra Governo e sindacati del 14 marzo è stato quindi aggiornata ed integrata in data 24 aprile, rimanendo però sempre un “protocollo” che non aveva quindi valore normativo, per cui giustamente, per conferirgli la patente di ufficialità, il Governo lo ha inserito nel Dpcm del 26 aprile 2020 rendendone così obbligatorio il rispetto da parte delle diversi soggetti che operano nei cantieri edili.

In particolare, il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19 nei cantieri tra il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali e le organizzazioni sindacali è riportato all’allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020.

Le indicazioni riportate nel protocollo rappresentano lo “stato dell’arte” per quanto attiene all’individuazione delle procedure anti contagio che devono essere messe in atto dalle diverse figure operanti in cantiere, cioè committente, datore di lavoro, preposto, lavoratori, Cse, direttore dei lavori che quindi sono obbligate a rispettare le indicazioni che li riguardano specificatamente.

Dubbi e inceretezze dell’allegato 7

Di seguito si intende prendere in considerazione i punti dell’allegato 7 che possono dare luogo a dubbi e incertezze, in particolare per quanto riguarda gli interventi che sono stati previsti a carico del Cse che risultano in qualche caso imprecisi e anche eccessivi rispetto alla “posizione di garanzia” di questo professionista, delineata, nelle linee generali, dall’art. 92 del D.Lgs n. 81\08.

Può un Dpcm fare qualche precisazione ai contenuti di un decreto legislativo?

Alcuni esperti hanno sollevato qualche dubbio di carattere formale, stigmatizzando la possibilità che disposizioni riportate in un Dpcm, che nel sistema delle fonti del diritto riveste carattere di “fonte normativa secondaria”, possano fare qualche precisazione al contenuto di un decreto legislativo, nel caso particolare dell’art. 92 del D.Lgs n. 81\08, che individua i compiti e le responsabilità del Cse.

Infatti, nella gerarchia delle fonti giuridiche, i decreti legislativi costituiscono una norma “di primo livello”, in quanto atti avente forza di legge emanati dal Governo a seguito di una legge delega parlamentare e che quindi possono essere aggiornati o integrati soltanto da interventi legislativi di pari livello.

Però è opportuno ricordare che il Governo, a causa della condizione di emergenza in cui si è trovato il Paese, per fornire ai cittadini, con immediatezza, precise disposizioni comportamentali, è stato costretto a legiferare utilizzando i Dpcm che costituiscono una forma di predisposizione e di attuazione normativa celere e snella, rispetto all’iter che deve seguire una legge o un decreto legislativo che può richiedere anche qualche mese di tempo per poter arrivare alla pubblicazione.

Comunque, a prescindere dai dubbi nei riguardi della forma utilizzata, l’indicazione fornita dal legislatore nell’allegato 7 è assolutamente corretta poiché, per quanto attiene alle attività dei cantieri edili, è necessario che il Cse intervenga, integrando i contenuti del Psc, per tenere conto dei rischi per la salute a cui possono essere esposti i lavoratori, anche se questi rischi non derivano dalla particolarità delle lavorazioni in corso di svolgimento ma da un virus che proviene da migliaia di chilometri di distanza.

Sarebbe opportuno però che, cessato lo stato di emergenza, siano meglio puntualizzati i compiti e le responsabilità del Cse nei riguardi degli interventi necessari per contrastare il rischio di contagio del Covid-19 nei cantieri edili.

Interventi del coordinatore esecuzione (Cse)

Il punto 5 dell’allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020 precisa che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori provvede a integrare il Piano di sicurezza e di coordinamento e la stima dei costi con tutti i dispositivi ritenuti necessari.

Nulla da eccepire su questa indicazione che è in linea con quanto previsto dall’art. 92, comma 1, del D.Lgs n. 81\08 secondo cui il Cse deve adeguare il Psc in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, anche se le modifiche da mettere in atto per poter proseguire nell’esecuzione dei lavori, nel caso specifico, non sono dovute a varianti in corso d’opera o alla necessità di utilizzare differenti mezzi d’opera, ma dalla necessità di dover contrastare la diffusione di un virus.

È invece certamente errato e fuorviante quanto indicato successivamente e cioè che il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione, con il coinvolgimento del Rls o, ove non presente, del Rlst, adegua la progettazione del cantiere alle misure contenute nel presente protocollo, assicurandone la concreta attuazione.

Questa indicazione risulta sicuramente non corretta in quanto, come richiesto dall’art. 90, comma 3, del D.Lgs n. 81\08, il Csp viene designato dal committente o dal responsabile dei lavori contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, e, una volta svolto il suo incarico e cioè aver predisposto il Psc e il fascicolo, non ha alcun altro compito per quanto attiene all’organizzazione dell’attività di cantiere in quanto se risulta necessario effettuare qualche modifica al Psc, queste devono essere predisposte dal Cse, come stabilito dall’art. 92, comma 1 b), del D.Lgs n. 81\08.

Inoltre è certamente non corretta l’indicazione della sua possibile collaborazione con l’Rls o con l’Rlst in quanto il Csp predispone il Psc quando ancora non è stata neanche espletata la gara di appalto per cui non si conosce l’impresa che eseguirà i lavori e quindi le relative modalità di esecuzione e inoltre il Csp non ha alcun titolo per poter accedere in cantiere e quindi non può certamente avere rapporti con l’Rls o con l’Rlst.

È impropria anche l’indicazione assicurandone la concreta attuazione che certamente non può mai essere di competenza del Csp, ma neanche del Cse che, come indicato anche dalle ultime sentenze di Cassazione, ha il compito di effettuare “l’alta vigilanza” sulle condizioni di sicurezza del cantiere, mentre la “concreta” attuazione delle misure anti contagio è chiaramente a carico del datore di lavoro, del dirigente e del preposto dell’impresa esecutrice.

Infatti, correttamente, l’art. 2, comma 6, sempre del Dpcm 26 aprile 2020, ha precisato che le imprese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, il ministero del Lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all’allegato 7.

Se non è necessaria la nomina del Cse?

È opportuno evidenziare che il protocollo fa quasi sempre riferimento ai cantieri che richiedono la nomina del Cse, quindi ai cantieri di una certa dimensione, mentre avrebbe dovuto fornire qualche indicazione anche per i piccoli cantieri, soprattutto privati, che non necessitano della nomina del Cse e per i quali, in molti casi, non viene nominato neanche il direttore dei lavori e l’attività lavorativa viene controllata direttamente dal committente che molto spesso non ha una sufficiente competenza tecnica.

Sarebbe opportuno che per questa tipologia di cantieri, in mancanza del Cse, il protocollo coinvolgesse, oltre che il datore di lavoro, anche la figura dell’Rspp di cui certamente è stata effettuata la nomina e che ha la competenza necessaria per poter intervenire per assicurare il rispetto delle misure di prevenzione anti contagio.

Invece la figura dell’Rspp è stata piuttosto trascurata nel protocollo in quanto viene citata soltanto una volta per quanto attiene alla periodicità della sanificazione degli spazi comuni di cantiere, mentre, per esempio, la figura dell’Rls o dell’Rlst è citata ben sei volte.

Competenze per la modifica del cronoprogramma delle lavorazioni

Altra imprecisione è contenuta al punto 7 dell’allegato, in cui si indica che le imprese potranno disporre la riorganizzazione del cantiere e del cronoprogramma delle lavorazioni.

Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice può certamente riorganizzare il cantiere ma non il cronoprogramma che può essere modificato dal direttore dei lavori, che può intervenire dopo aver recepito le modifiche apportate al Psc da parte del Cse, e l’impresa si deve “adeguare” a queste modifiche.

Al riguardo, il vademecum per i cantieri temporanei e mobili a seguito del Covid-19 predisposto dall’Ordine degli ingegneri della provincia di Roma, evidenzia che il direttore dei lavori può modificare, di concerto con il Cse, il cronoprogramma dei lavori per cercare di sfalsare spazialmente il maggior numero di attività lavorative, proponendo eventualmente anche turni di lavoro in modo da diminuire il numero delle maestranze presenti in cantiere contemporaneamente.

Quanto detto naturalmente è valido per i cantieri che erano iniziati prima dello scoppio della pandemia che, in molti casi, rimarranno in funzione ancora per parecchi mesi e per i quali è stato indispensabile prendere idonei provvedimenti anti contagio.

Invece non dovrebbero esserci problemi per i nuovi cantieri per i quali il Csp può, già in fase di predisposizione del Psc, prevedere gli adempimenti anti contagio e riportarli nel documento. 

Predisposizione del Protocollo Aziendale Anti-contagio (Paa) e del Protocollo Anti-contagio di Cantiere (Pac)

Il Cse, dovendo integrare il Psc, deve predisporre quello che gli esperti hanno definito “Protocollo Anti-contagio di Cantiere (Pac)”, che deve riportare le precauzioni richieste dal legislatore, costituendo un’appendice del Psc, e che deve essere preso in considerazione da parte del direttore dei lavori per le necessarie modifiche da apportare al cronoprogramma.

Questo protocollo è immediatamente prescrittivo per l’impresa affidataria e le imprese subappaltatrici impegnate nell’esecuzione dei lavori.

Le misure di contenimento del rischio di contagio, come chiaramente indicato dal protocollo, si estendono ai titolari del cantiere e a tutti i subappaltatori e subfornitori presenti nel medesimo cantiere che quindi, a loro volta, devono predisporre il “Protocollo Aziendale Anti-contagio (Paa)” per le specifiche attività svolte, che deve costituire una appendice di ciascun Pos.

L’aggiornamento sia del Psc che dei Pos è necessario, anche se i “nuovi” rischi per gli addetti non sono di “tipo occupazionale” ma costituiscono un “rischio biologico generico” che riguarda indistintamente tutti i lavoratori presenti in cantiere.

Naturalmente per i cantieri per i quali i lavori non sono ancora iniziati il Pac e il Paa devono costituire parte integrante rispettivamente del Psc e dei Pos.

Chi deve sostenere i costi e gli oneri della sicurezza per evitare il contagio da Covid-19?

Nella parte generale dell’allegato si precisa che il coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione, oltre a dover integrare il Psc, deve effettuare anche la relativa stima dei costi.

Nel Pac devono essere riportati i “costi” della sicurezza relative alle misure organizzative e procedurali di contrasto alla diffusione del Covid-19 in cantiere, mentre nei Paa devono essere riportati gli “oneri” della sicurezza a carico delle imprese.

Poiché le implicazioni di carattere economico costituiscono sempre un elemento fondamentale, spesso di contrasto tra committente ed esecutore, negli appalti di lavori, l’allegato avrebbe dovuto fornire qualche indicazione relativamente al soggetto che deve sostenere le spese relative all’attuazione delle procedure anti-contagio, in quanto i “costi della sicurezza” sono a carico del committente, mentre invece gli “oneri della sicurezza” devono essere sostenuti dalle imprese esecutrici.

Nell’allegato si fa sempre riferimento ai “costi” della sicurezza e mai ad “oneri”, sembrerebbe quindi che il legislatore abbia voluto dare una indicazione precisa e cioè che le “spese” necessarie per adeguare il cantiere alla normativa anti contagio sono sempre a carico del committente, pubblico o privato.

Al riguardo invece, per esempio, alcuni esperti sostengono che il controllo della temperatura degli addetti prima dell’ingresso in cantiere e la sanificazione periodica degli ambienti di lavoro sia un “costo” della sicurezza a carico del committente, mentre le forniture di mascherine e guanti, essendo Dpi, costituiscono “oneri” a carico delle imprese.

Infatti il punto 3.2.1 lettera g) dell’allegato XV del D.Lgs n. 81\08 precisa che nel Pos deve essere riportata l’individuazione delle misure preventive e protettive adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere e quindi anche gli “oneri” per proteggere i dipendenti da questi rischi, per le condizioni di lavoro per le quali non è possibile mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro tra gli addetti.

Sarebbe necessario che il legislatore fornisse una chiara indicazione al riguardo in quanto i costi delle misure anti contagio da prevedere in cantiere non sono trascurabili e, in una stima di larga massima, possono arrivare anche al 2 – 4% dell’importo totale dell’appalto.

Però in questa indicazione di massima non si tiene conto dei costi di difficile quantificazione relativi all’inevitabile rallentamento dei lavori conseguenti all’utilizzo dei Dpi da parte degli addetti, della necessità di prevedere spesso un utilizzo scaglionato delle attrezzature, della necessità di provvedere alle precauzioni igieniche personali che devono essere adottate dai lavoratori e del tempo necessario per l’accesso contingentato in cantiere per poter effettuare la misurazione della temperatura corporea degli addetti.   

Chi deve determinare i costi della sicurezza anti virus se non è necessario nominare Csp e Cse?

L’allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020, indicando gli interventi a carico del Cse, ripetutamente precisa, ove nominato ai sensi del D.Lgs n. 81\08, non fornendo però alcuna indicazione per i numerosi i cantieri, soprattutto privati, per i quali non è necessaria questa nomina.

Per i cantieri relativi a lavori pubblici che non necessitano della nomina del Csp e del Cse, l’individuazione del soggetto che deve effettuare la stima di questi costi è immediata, facendo riferimento a quanto previsto dal punto 4.1.2 dell’allegato XV del D.Lgs n. 81\08 secondo cui, per le opere pubbliche per le quali non è prevista la redazione del PSC, le amministrazioni appaltanti, nei costi della sicurezza stimano, per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi delle misure preventive e protettive finalizzate alla sicurezza e salute dei lavoratori.

Il soggetto dell’amministrazione che può effettuare questa determinazione può essere individuato nel Rup o soprattutto nel professionista che ha elaborato il progetto esecutivo, che quindi, oltre ai costi della sicurezza relativi alle lavorazioni di cantiere, deve determinare anche i costi delle misure anti contagio Covid-19.

Il problema invece resta per i lavori privati per i quali il legislatore dovrebbe indicare il soggetto che può essere incaricato della determinazione di questi costi e le uniche figure professionali che potrebbero essere in grado di svolgere questo compito possono essere individuate prima di tutto nel progettista ed, eventualmente, nel direttore dei lavori, che naturalmente dovrebbero essere investiti in forma ufficiale di questo incarico da parte del committente.

Corretto smaltimento di guanti e mascherine

Il punto 5 dell’allegato 7, in coerenza con le disposizioni da attuare in tutti i luoghi di vita e di lavoro, ha stabilito che, qualora la lavorazione da eseguire in cantiere imponga di lavorare a distanza impersonale minore di 1 metro, è necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie).

Considerando che ad ogni lavoratore dovrebbero essere consegnati, giornalmente, almeno due mascherine e due paia di guanti, per un cantiere di dimensioni medio – grandi il numero di Dpi da smaltire al termine di ciascuna giornata lavorativa è notevole e l’allegato, al riguardo, non ha fornito alcuna indicazione relativamente alle modalità di smaltimento.

Si può quindi fare riferimento a quanto previsto dall’Ispra che ha fornito indicazioni riguardo alla gestione dei rifiuti costituiti da guanti e mascherine utilizzate dai lavoratori, precisando che questi rifiuti sono da ricondurre al capitolo 15 dell’Elenco Europeo dei Rifiuti (Eer), relativo a “rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi”.

In particolare i Dpi devono essere classificati in relazione alla “potenzialità del rischio infettivo associato”, con il codice 15 02 03 (non pericoloso), se è possibile escludere con ragionevole certezza il potenziale rischio infettivo, o con il codice 15 02 02 (pericoloso).

Questa scelta compete al soggetto che “giuridicamente” è individuato come “produttore” quindi al datore di lavoro dell’impresa edile che, per esempio, può giudicare non pericolosi i Dpi normalmente utilizzati per l’attività lavorativa e pericolosi quelli indossati dai lavoratori impegnati nella sanificazione degli ambienti, soprattutto nel caso in cui è stato presente in cantiere un lavoratore risultato positivo, e i Dpi utilizzati per la gestione di un lavoratore sintomatico.

Il Cse, nell’aggiornamento del Psc, deve prevedere la dislocazione, in punti strategici del cantiere, di contenitori apribili a pedale, in cui poter conferire i Dpi già utilizzati.  

Necessità di prevedere la sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori dell’edilizia

Analizzando il punto 9 dell’allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020 si potrebbe dedurre che tutti i lavoratori edili sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria da parte del medico competente.

Invece non è così perché, secondo quanto richiesto dal D.Lgs n. 81\08, la nomina del medico competente è necessaria soltanto se gli addetti svolgono attività durante la cui esecuzione sono esposti a rischio rumore, vibrazioni, movimentazione manuale di carichi, chimico, amianto, piombo, agenti pericolosi.

Quindi, nel caso di cantieri di dimensioni modeste in cui non sono presenti questi rischi, il datore di lavoro non ha nessun obbligo di nomina del medico competente.

Però, in seguito alla pandemia da Covid-19, sicuramente tutti i lavoratori delle diverse tipologie di cantieri sono esposti al “rischio biologico” e per questo rischio l’art. 279 del D.Lgs n. 81\08 prevede l’obbligo della “sorveglianza sanitaria”, per cui, almeno sino al termine dell’emergenza, sarebbe necessario prevedere questa sorveglianza per i lavoratori di tutti i cantieri, anche di quelli per i quali, prima dello scoppio della pandemia, non era necessaria la nomina del medico competente.

Questa necessità era stata già indicata dal Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da Sars-Cov-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione dell’aprile 2020 dell’Inail in cui si suggeriva che relativamente alle aziende dove non è già presente il medico competente, in via straordinaria, va pensata la nomina di un medico competente ad hoc per il periodo emergenziale o soluzioni alternative, anche con il coinvolgimento delle strutture territoriali pubbliche.

Questa misura di prevenzione è stata quindi ribadita dall’art. 83 del decreto – legge n. 34 del 19 maggio 2020.

Il comma 2 di questo articolo stabilisce infatti che per i datori di lavoro che, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera a) del D.Lgs n. 81\08, non sono tenuti alla nomina del medico competente  per l’effettuazione  della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal medesimo decreto, fermo restando la possibilità  di  nominarne  uno  per il periodo emergenziale, la sorveglianza sanitaria eccezionale può essere richiesta ai servizi  territoriali dell’Inail che vi provvedono con  propri  medici del lavoro, su richiesta del datore di lavoro.

Il comma precisa altresì che l’eventuale inidoneità alla mansione accertata non può, in ogni caso, giustificare il recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro.

Infatti il medico competente, in questo periodo di pandemia, va a rivestire un ruolo centrale soprattutto per l’identificazione di soggetti suscettibili al contagio, per cui può segnalare al datore di lavoro situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse degli addetti.

Altra importante modifica che sarebbe opportuno prevedere è quella relativa alle modalità di reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da Covid-19.

Infatti, attualmente, come richiesto dall’art. 41, comma 2, lett. e – ter del D.Lgs n. 81\08, il medico competente deve effettuare la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Al riguardo, molto opportunamente, sempre il documento Inail dell’aprile 2020, consiglia che questo controllo, in deroga alla norma, debba essere effettuato indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia, anche per valutare profili specifici di rischiosità, quindi anche se l’assenza dal lavoro è durata meno di 60 giorni, naturalmente previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza. 

Modalità di effettuazione del controllo della temperatura corporea dei lavoratori

Secondo quanto richiesto dal punto 1 allegato 7 Dpcm 26 aprile 2020, il personale, prima dell’accesso al cantiere, deve essere sottoposto al controllo della temperatura corporea e se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°C, non è consentito l’accesso al cantiere.

Riguardo alle modalità di intervento viene precisato soltanto che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento di dati personali e, pertanto, deve avvenire ai sensi della disciplina privacy vigente.

Il protocollo non fornisce alcuna indicazione riguardo alla individuazione del soggetto a cui affidare questo incarico, invece sarebbe opportuno che il legislatore indicasse che questa rilevazione deve essere effettuata da uno degli addetti della squadra di “primo soccorso” che, oltre alla normale formazione richiesta dall’art. 45 del D.Lgs n. 81\08, devono essere formati per la per la gestione di una persona sintomatica.

Inoltre l’allegato non fornisce alcuna indicazione nei riguardi della postazione in cui deve essere effettuato questo controllo, sarebbe opportuno invece indicare la necessità di prevedere un locale chiuso e dedicato, prima di tutto per proteggere dalle intemperie i lavoratori durante la misurazione, poi per poter avere la possibilità di registrare gli eventuali lavoratori infetti e infine, soprattutto, per custodire i Dpi da consegnare con immediatezza ai lavoratori che presentano sintomi di contagio.

Gestione del locale mensa e spogliatoi

Il punto 6 dell’allegato 7 del Dpcm 26 aprile 2020 stabilisce che l’accesso agli spazi comuni, comprese le mense e gli spogliatoi è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazio e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano.

Questa indicazione è certamente corretta ma troppo generica, anche perché per quanto riguarda il locale mensa, durante la consumazione del pasto, ovviamente, è impossibile utilizzare la mascherina e la presenza contemporanea di più lavoratori “a stretto contatto” può certamente essere superiore a 15 minuti.

In ogni caso il primo problema da risolvere, a carico del Cse, è quello di stabilire il numero massimo di lavoratori di cui può essere consentita la presenza contemporanea nella sala mensa.

Al riguardo il CSE può fare riferimento a quanto indicato nel documento Inail – Iss del 10 maggio 2020: Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da Sars-Cov-2 nel settore della ristorazione,in cui si precisa che questo settore deve essere considerato un contesto a rischio di aggregazione medio-alto e che il tempo necessario per il consumo di un pasto veloce durante l’orario di lavoro è di circa 16 minuti.

Questo documento definisce un limite massimo di capienza predeterminato che preveda uno spazio di norma non inferiore a quattro metri quadrati per ciascun cliente, fatta salva la possibilità di adottare altre misure organizzative, come per esempio le barriere divisorie.

Quindi il Cse, conoscendo la superficie in metri quadrati del locale che l’impresa ha adibito a sala mensa può stabilire il numero massimo di lavoratori che possono essere contemporaneamente presenti all’interno della stessa.

Poiché, con molte probabilità, lo spazio a disposizione risulta insufficiente all’utilizzo contemporaneo da parte di tutti i lavoratori del cantiere, il Cse deve prevedere una turnazione tra i lavoratori ogni 25 – 30 minuti per tenere conto, oltre che del tempo necessario per la consumazione del pasto, anche di quello di entrata e uscita e del tempo necessario per la sanificazione di tavoli, sedie e vassoi tra un turno e l’altro e per poter effettuare il ricambio d’aria dell’ambiente.

Inoltre nel locale mensa e nei relativi corridoi di accesso deve essere affissa specifica cartellonistica riportante le informazioni sulle corrette modalità di comportamento da adottare, con particolare attenzione al mantenimento della distanza interpersonale tra le persone e della necessità di evitare assembramenti e di rispettare il posizionamento “a scacchiera” sui tavoli destinati al consumo del pasto, in modo che non ci si possa disporre uno difronte all’altro e devono essere sempre disponibili dispenser di gel igienizzante posizionati all’ingresso della mensa e nei relativi servizi igienici.

A sua volta il datore di lavoro, nel Pos, deve indicare le modalità secondo cui devono venire forniti i pasti ai lavoratori, tenendo presente che non possono essere utilizzati modalità di servizio a buffet o similari e che, in ogni caso, devono essere fornite posate, bicchieri, piatti e salviette monouso, il pane e la frutta devono essere sigillati singolarmente e i condimenti devono essere disponibili in bustina monouso.

Nel periodo estivo si può prevedere l’utilizzo di un cestino col pasto che i lavoratori possono consumare per conto proprio all’aperto.

Utilizzo dello spogliatoio di cantiere

Per quanto riguarda le modalità di utilizzo degli spogliatoi il punto 6 dell’allegato 7, sempre del DPCM 26 aprile 2020, contiene certamente una inesattezza, in quanto precisa che nel caso di attività che non prevedono obbligatoriamente l’uso degli spogliatoi, è preferibile non utilizzare gli stessi al fine di evitare il contatto tra i lavoratori.

Al riguardo è opportuno notare che nessun decreto o circolare ministeriale indica per quale tipologia di cantiere non è necessario prevedere lo spogliatoio e inoltre, analizzando i contenuti dell’allegato XIII del D.Lgs n. 81\08 – Prescrizioni di sicurezza e di salute per la logistica di cantiere, si deduce che per tutti i cantieri deve essere prevista la predisposizione di “spogliatoi e armadi per il vestiario” che, naturalmente devono disporre di adeguata aerazione, essere illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda, muniti di sedili ed essere mantenuti in buone condizioni di pulizia.

Anche facendo riferimento ai contenuti dell’allegato IV del D.Lgs n. 81\08 – Requisiti dei luoghi di lavoro, al punto 1.12.5 si precisa che locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori e qualora i lavoratori svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori gli armadi per gli indumenti di lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti privati.

Le diverse attività di cantiere rientrano pienamente tra quelle che il legislatore considera eseguite in ambiente “insudiciante o polveroso”, qualunque sia il numero degli addetti, per cui, oltre ai servizi igienici, è necessario prevedere anche gli spogliatoi.

Inoltre nessun Csp si sognerebbe di non prevedere nel Psc la necessità della predisposizione degli spogliatoi in quanto l’allegato XV del D.Lgs n. 81\08, tra i contenuti minimi di questo documento, indica con chiarezza anche “i servizi igienico – assistenziali”.

E’ opportuno ricordare che la sentenza di cassazione penale, sezione IV, n. 39343/2018 ha condannato un datore di lavoro che aveva previsto lo spogliatoio di cantiere in una struttura esterna, presso un B&B ubicato nelle immediate vicinanze del cantiere, con la motivazione che lo spogliatoio deve essere un luogo “a disposizione nei cantieri”.

Con quale periodicità deve essere effettuata la sanificazione dei locali a servizio del cantiere?

Anche riguardo alle modalità di pulizia e sanificazione dei locali al servizio del cantiere il protocollo presenta qualche imprecisione.

Infatti il punto 3 stabilisce che il datore di lavoro assicura la pulizia e la sanificazione periodica degli spogliatoi e delle aree comuni e quindi successivamente precisa che la periodicità della sanificazione verrà stabilita dal datore di lavoro in relazione alle caratteristiche ed agli utilizzi dei locali e mezzi di trasporto, previa consultazione del medico competente, dell’Rspp e dell’Rls o dell’Rlst.

Però al punto 6 precisa che il datore di lavoro provvede alla sanificazione almeno giornaliera ed alla organizzazione degli spazi per la mensa e degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igienico sanitarie. 

Inoltre, sempre al punto 3, precisa che ai fini della sanificazione e della igienizzazione vanno inclusi anche i mezzi d’opera con le relative cabine di guida o di pilotaggio.

Si ricorda che l’art. 1 del dm 274 del 7 luglio1997 definisce:

Attività di pulizia: quelle che riguardano il complesso di procedimenti ed operazioni atti a rimuovere polveri, materiale non desiderato o sporcizia da superfici, oggetti, ambienti confinati ed aree di pertinenza.

Attività di sanificazione: quelle che riguardano il complesso di procedimenti ed operazioni atti a rendere sani determinati ambienti mediante l’attività di pulizia e/o disinfezione e/o di disinfestazione.

Il DM n. 274\1997 non fornisce alcuna indicazione riguardo a cosa debba intendersi per “igienizzazione”, per cui sarebbe necessaria qualche indicazione più precisa al riguardo, inoltre, secondo alcuni esperti, l’igienizzazione riesce al eliminare il 99,9% dei batteri ma è poco efficace in presenza di virus.

La sanificazione può essere effettuata da lavoratori dell’impresa?

Anche questo è un punto su cui l’allegato doveva essere più preciso, comunque, poiché non viene esplicitamente indicato l’obbligo o la raccomandazione di affidare l’esecuzione dell’intervento ad una impresa specializzata, l’interpretazione più diffusa è che la sanificazione può essere effettuata in autonomia dall’impresa.

In ogni caso il datore di lavoro, nel rispetto dell’obbligo generale di formazione dei lavoratori previsto dall’art. 37 del D.Lgs n. 81\08, con la collaborazione del medico competente e dell’RSPP, ha l’obbligo di:

  • informare i lavoratori incaricati riguardo alle procedure per una corretta pulizia e sanificazione degli ambienti;
  • fornire ai lavoratori idonei Dpi per lo svolgimento in sicurezza delle operazioni di sanificazione (occhiali di protezione, mascherina di protezione, guanti monouso); dopo l’uso, i Dpi monouso devono essere smaltiti come materiale potenzialmente infetto.
  • Istruire gli addetti sul corretto utilizzo dei Dpi (vestizione, intervento, smaltimento) e dei disinfettanti da utilizzare.

È opportuno però che il datore di lavoro affidi ad una impresa specializzata l’intervento di sanificazione straordinaria nel caso in cui sia stato presente in cantiere un lavoratore risultato positivo al Covid-19 prima di essere ospedalizzato, come richiesto dalla circolare n. 5443 del Ministero della salute.

L’impresa naturalmente, al termine della sanificazione, deve rilasciare una certificazione attestante la regolarità dell’intervento e il personale utilizzato deve essere dotato di idonei Dpi completi (es. tuta protettiva, copri calzari, guanti, occhiali, ecc.) per poter operare in ambienti contaminati, che devono essere poi smaltiti come potenzialmente infetti.

Nel caso in cui l’intervento sia effettuato da dipendenti dell’impresa deve essere predisposto un registro in cui siano riportati i locali ed i mezzi d’opera oggetto dell’intervento e la data e la firma dell’operatore.

Indicazioni dettagliate di precauzione per la sanificazione di ambienti di lavoro sono riportate nel Rapporto Iss Covid-19 n. 5/2020 – Indicazioni per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus Sars-Cov-2 (versione 21 aprile 2020): Misure generali per gli ambienti lavorativi.

Il datore di lavoro può recuperare, in parte, le spese sostenute per la sanificazione degli ambienti di lavoro

Riguardo alle spese sostenute dall’impresa per la sanificazione per gli ambienti di servizio del cantiere è opportuno ricordare che l’art. 64 del Decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 ha stabilito che allo scopo di incentivare la sanificazione degli ambienti di lavoro, quale misura di contenimento del contagio del virus Covid-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione è riconosciuto, per il periodo d’imposta 2020, un credito d’imposta, nella misura del 50 per cento delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro sostenute e documentate fino ad un massimo di 20.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2020.

Eccessiva responsabilizzazione del Cse

L’ultimo punto dell’allegato 7 riporta una “tipizzazione pattizia” delle attività di cantiere a tenore delle quali il rispetto delle misure di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di Covid-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Il punto conclude affermando che la ricorrenza delle predette ipotesi deve essere attestata dal coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori che ha redatto l’integrazione del Piano di sicurezza e di coordinamento.

Al riguardo è opportuno evidenziare che il Cse può certamente attestare la effettività della ricorrenza dei primi quattro punti e cioè l’impossibilità di garantire il rispetto della distanza impersonale maggiore di 1 metro con la contemporanea indisponibilità di mascherine, l’impossibilità di fornire il servizio di mensa assicurando il mantenimento della distanza impersonale, l’impossibilità di riorganizzare il cantiere essendosi dovuti porre in quarantena i colleghi di un lavoratore risultato positivo al Covid-19 e l’impossibilità di garantire un dormitorio fornito delle caratteristiche minime di sicurezza.

E’ invece sull’ultimo punto indicato nell’elenco che il Cse non può avere alcuna competenza e responsabilità e cioè riguardo alla indisponibilità di approvvigionamento di materiali, mezzi, attrezzature e maestranze funzionali alle specifiche attività di cantiere.

Relativamente a questo punto la responsabilità è di competenza del datore di lavoro dell’impresa che deve effettuare le ricerche di mercato finalizzate all’approvvigionamento dei mezzi e dei materiali necessari per la regolare esecuzione dei lavori ed eventualmente del direttore dei lavori che può verificare l’impossibilità di garantire il rispetto del cronoprogramma in conseguenza dell’impossibilità di eseguire alcune lavorazioni.

ing. Giulio Lusardi

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